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EUROPA E ITALIA PER LA SOSTENIBILITA’ IN AFRICA E NEL MEDITERRANEO

EUROPA E ITALIA PER LA SOSTENIBILITA’ IN AFRICA E NEL MEDITERRANEO

 

Lunedì 4 marzo 2024 a Roma presso la sede del Parlamento e della Commissione europea in Italia, Enrico Molinaro, Segretario Generale della “Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo” (Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo - Capofila della Fondazione Anna Lindh in Italia),), ha aperto i lavori della Conferenza Internazionale “L'Unione europea e l'Italia per la sostenibilità in Africa e nel Mediterraneo allargato”, assieme ai rappresentanti istituzionali. La RIDE ha promossotale conferenza in collaborazione con la Rappresentanza della Commissione Europea in Italia e Prospettive Mediterranee, con il contributo dell’Ufficio del Parlamento Europeo in Italia, laFondazione PRIMA (Segretariato italiano), il Dipartimento delle Scienze Sociali, Politiche e Cognitive dell'Università di Siena (UNISI), Euro-Gulf Information Center (EGIC).

La conferenza in oggetto costituisce la prima di una Trilogia di conferenze in Italia su Sostenibilità e la Cucina Identitaria, seguito da un evento a Roma Lunedì 20 Maggio 2024, e un evento a Scicli, in Sicilia, Giovedì 12 Settembre 2024, nel contesto dell'iniziativa annuale inter-istituzionale Euro-Med diMedi-Jer, quest’anno alla VI edizione.

 

Tra i temi affrontati, innanzitutto si sottolinea l’importanza della salute del territorio del vicino Continente africano che è primaria per la diffusione dell’acqua, delle emergenze e dell’emigrazione. Curare la terra significa alimentarsi senza aiuti. L’impegno continuo deve essere teso dunque allosviluppo sostenibile ed al ciclo produttivo economico.

Inoltre, l’Italia al centro del Mediterraneo è in posizione strategica con l’Africa.

Cooperazione poi significa supportare i Paesi africani, per una nuova sostenibilità nostra e loro.

L’Europa non ha fatto molto per gli investimenti, la sicurezza e la prevenzione.

La cooperazione complessiva per l’estensione di un euro-piano può partire dal Mediterraneo, serbatoio di risorse e relazioni.

Sono questi anni difficili, di crisi economica, crisi sanitaria, crisi militare: dunque Europa e Africa devono interagire in un dialogo continuo ed aperto, per la salvezza del pianeta.

Da considerare che l’Italia ha una conoscenza millenaria con il Nord Africa, con la cultura, la storia e le tradizioni.

E’ necessario dunque un approccio nuovo con i Paesi africani, non tralasciando le dolorose vicende coloniali, per rappresentare mutua assistenza per una transizione possibile.

Esistono divari tra Nord Africa e Africa subsahariana, dove si assiste ad una fuga costante dalla campagna alla città e l’emigrazione dal continente per tensioni e povertà diffusa. I Paesi più poveri richiedono dunque una pianificazione agricola.

L’irrogazione dell’acqua può registrare falle nello scorrimento idrico.

Il recupero delle terre degradate deve andare poi a beneficio delle comunità locali, dove non vi è una produzione su larga scala.

Le piante indigene salvaguardano i terreni per l’ombra e l’umidità.

La partecipazione alla coltivazione dei terreni contribuirà a rendere accessibile a tutti la risorsa alimentare nell’ambito di una certa sostenibilità ambientale. L’insediamento dalle aree rurali in città determina agglomerati di costruzioni urbane, dove parte della popolazione vive in condizioni precarie.

Ma la cultura multietnica però è molto lontana ancora.

L’Africa ha una grande variazione ambientale ed un clima differente. Ed a tale proposito si discute dei meccanismi che regolano gli eventi estremi, di medio-lungo periodo per i cambiamenti climatici.

Dunque più ragioni spingono ai movimenti all’interno ed all’esterno di un Paese. Tra questi la mancanza di coesione interna accelera l’instabilità in Africa. Quindi l’obiettivo è di migliorare l’esistenza, gli approvvigionamenti e viaggi culturali e socio-economici.

Bisogna dunque pianificare l’emigrazione e l’immigrazione comuni.

I problemi d’altronde non sono di oggi, stanno sul tappeto da più di un decennio. Ma il Governo meloni è il primo ad aver preso posizione netta nella situazione incresciosa e difficile nella quale versa il nostro Paese sia per quanto riguarda il versante immigrazione clandestina che si registra da una parte all’altra delle sponde del Mediterraneo, sia nei confronti dell’Africa e dei Paesi afro mediterranei, sia nei confronti dei Peasi europei, il tutto reso più difficile dall’approvvigionamento di energia fino ad oggi giunte dalla Russia di Putin. Che oggi la guerra Ucraina Russia ha reso impossibile. Dunque il governo Meloni si è precipitato ad aprire negoziati di partnenariato con i Paesi d’Africa. Ne è testimonianza il Vertice Italia Africa che si è tenuto lo scorso 29 gennaio presso il Senato. Per la primavolta infatti il Vertice si è tenuto presso il Parlamento, di qui il carattere politico istituzionale che havisto il coinvolgimento di tutte le rappresentanze istituzionali, dal presidente della Repubblica Mattarella che ha ospitato i Capi di Stato africani presso il Quirinale il 28 gennaio ai rappresentantiistituzionali politici, in primis Giorgia Meloni e Tajani, ministro degli affari esteri, che hanno aperto i lavori del vertice alla presenza delle istituzioni europee ivi presenti.

Bisogna incrementare le relazioni per l’emergenza che viviamo, che deve vedere in primo piano Italia, Europa e Africa interagire con rapporti di partenariato tra Stati.

La cultura è molto importante ed investire sui giovani è fondamentale: saremmo pronti ad una cooperazione con gli studenti delle università del Mediterraneo. Lo studio delle arti, dell’opera lirica potrebbero essere oggetto di studio per conoscere un patrimonio di tradizioni. A tale proposito si registra la presenza della ormai famosa cantante lirica, Felicia Bongiovanni, che tra l’altro ha portato la musica lirica italiana in Africa, in partcolare in Etiopia in occasione dell'inaugurazione dell'Auditorium "Giuseppe Verdi" dove la soprano si è esibita in concerto, alla presenza del Presidente della Repubblica italiano.

Il patrimonio culturale marittimo euromediterraneo è stato caratterizzato negli ultimi tempi da azioni tese alla conservazione e valorizzazione socio-ambientale.

Questa consapevolezza comune diviene strumento per valorizzare il territorio e il paesaggio e per dareforza al lato economico e sociale.

L’interesse al patrimonio archeologico subacqueo è oggetto di un piano partenariale di consorzi, grazie a progetti di partner istituzionali e territoriali di sette Paesi dell’area euromediterranea.

Importante è la visione del patrimonio culturale marittimo con l’idea di integrare il patrimonio materiale e immateriale con le filiere tradizionali artistiche, dell’artigianato e della gastronomia.

Diversi attori sono interpreti dei processi di una possibile valorizzazione del patrimonio culturale marittimo su base locale, nazionale e internazionale: coloro che hanno strutture e servizi per la protezione del patrimonio nazionale e/o regionale ed i soggetti dalla comprovata esperienza tecnica e scientifica.

Partendo dalla situazione dei Paesi nello spazio geografico, dal limite delle acque e dal programma di attuazione è stato possibile accertare esperienze significative, per l’area euromediterranea.

Punti di forza del progetto sono studi e ricerche, come supporto ad interventi mirati.

Bisogna promuovere mostre, convegni sulla cultura e storia del mare per sensibilizzare il pubblico, promuovere il patrimonio turistico, garantire la protezione delle coste marine per conservare lo stato dei luoghi.

Bisogna promuovere tutte le conoscenze che danno visione del patrimonio culturale euromediterraneo per valorizzare il rapporto socio economico tra i Paesi del Mediterraneo.

Davide Dionisi, già responsabile del Servizio internazionale de L’Osservatore Romano e per oltre 25 anni a Radio Vaticana - Vatican News, inviato speciale del Governo italiano per la libertà religiosa, infine risponde a questioni poste per AfricanPeoplenews, per cercare un dialogo che esalti, enfatizzi una diplomazia della pace fondamentale in questo momento per la questione che si è riaperta in Medio Oriente, di pari passo con la diplomazia religiosa e diplomazia primaria , dove bisogna salvaguardare i civili poiché la perdita di vite umane è incolmabile. La religione non può essere utilizzata come pregiudizio. Di qui l’importanza di un appello che apra una via alla soluzione del conflitto nel riconoscimento delle minoranzereligiose, dove la tutela della vita offre possibilità di redenzione a chi ha compiuto atti gravissimi.







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01 Aprile 2024

LE CURE PALLIATIVE COME POSSIBILE ALTERNATIVA ALL’EUTANASIA di Alessandra Di Giovambattista

LE CURE PALLIATIVE COME POSSIBILE ALTERNATIVA ALL’EUTANASIA
di Alessandra Di Giovambattista

08-02-2024


Il suicidio assistito come tecnica utilizzata per procurare anticipatamente la morte di un malato che non ha possibilità di guarigione, e che pertanto si trova di fronte ad una patologia irreversibile, non è regolamentato nello Stato italiano. Ad oggi non esiste una legge nazionale bensì solo una sentenza della Corte Costituzionale (la n. 242 del 2019) che ha dichiarato non punibile colui che agevola la richiesta di suicidio assistito, ma solo nel caso ricorrano quattro condizioni: che il soggetto sia capace di formulare in modo consapevole, autonomo e libero il proposito di suicidarsi, che il malato sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e sia affetto da patologia irreversibile, che tale stato sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che il malato reputa intollerabili, e che le modalità di esecuzione siano verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale (SSN), previo parere del Comitato etico territorialmente competente.
Occorre sottolineare che, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale, il SSN così come i Comitati etici territoriali spesso non sono in grado di fornire risposte immediate alle richieste di morte volontaria assistita ed impiegano mesi prima di verificare la presenza delle quattro condizioni. Per tali motivi alcune regioni hanno ritenuto che, in presenza della citata sentenza e vista la difficoltà di operatività nazionale, la disciplina possa passare alla competenza della normativa regionale; così sono 12 le Regioni che hanno iniziato l’iter di leggi regionali ad iniziativa popolare che predispongano la richiesta di suicidio assistito e garantiscano tempi adeguati affinché i controlli necessari vengano svolti dai soggetti competenti.
Secondo l’Associazione “Luca Coscioni”, che porta avanti la battaglia per il diritto al suicidio assistito, nel 2023 sono state tre le persone che hanno avuto accesso alla pratica della morte volontaria assistita nelle regioni Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Toscana. Invece altri tre malati si sono recati in Svizzera per la pratica dell’eutanasia. E’ di questi giorni, tuttavia, la notizia che in Veneto la legge sul fine vita, spaccando il voto dei rappresentanti di centro destra contrari alla norma, non sia stata approvata mancando il quorum della maggioranza assoluta.
Questa in sintesi la situazione in Italia; si potrebbe dire una situazione di stallo che dovrebbe per conseguenza, predisporre ad un’apertura e ad un incentivo verso l’organizzazione ed il finanziamento di forme di cure palliative che si potrebbero porre come valido sostituto alle pratiche dell’eutanasia. Queste ultime presentano sicuramente un impatto psicologico, etico e medico molto dirompente e sicuramente difficile da accettare da parte dei diversi attori coinvolti in questa pratica estrema, primo fra tutti il malato.
Vediamo nello specifico: in Italia il diritto fondamentale alla tutela della salute è garantito dall’articolo 32 della Carta Costituzionale. La legge n. 38 del 2010, sulla scia di tale norma e delle sollecitazioni formulate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha sottolineato il diritto ad accedere alle cure palliative ed alla terapia del dolore, modalità di cura spesso fornite da Enti del terzo settore e da varie realtà associative, che hanno come obiettivi sia il sollievo dal dolore sia di evitare nella maniera più efficace, inutili sofferenze. In tale legge le cure palliative non sono associate al momento prossimo alla fine della vita, ma sono concepite prima di tutto come cure iniziali di malattie inguaribili con evoluzione infausta al fine di accompagnare sin da subito il paziente, anche pediatrico, ed i propri familiari in un percorso di terapia, affiancata a quella più strettamente medica e specialistica. Questo percorso dovrebbe consentire di affrontare in modo più sereno e condiviso il decorso della patologia, anche in coerenza con lo sviluppo della ricerca scientifica e la crescente disponibilità di farmaci che siano in grado di permettere un prolungamento dell’aspettativa di vita in condizioni umane dignitose. Le cure palliative sono da intendersi nell’accezione più ampia del termine dove, pur nella consapevolezza che molte situazioni croniche non possono essere guarite, si cerca di lenirle e curarle non solo negli ultimi momenti di vita, ma anche durante percorsi di durata pluriennale.
In tale ambito la carta europea dei diritti del malato del 2002 così recita: ”Ogni individuo ha il diritto di evitare quanta più sofferenza possibile in ogni fase della sua malattia. I servizi sanitari devono impegnarsi ad assumere tutte le misure utili a questo fine, fornendo ad esempio cure palliative e semplificando l’accesso dei pazienti ad esse”.
Ma quando sono nate le cure palliative e in cosa consistono? Si deve all’infermiera e medico Dott.ssa Cicely Saunders, di origine inglese, la nascita delle moderne cure palliative portate avanti dal movimento “hospice”. Fu promotrice di un metodo innovativo con il quale dimostrò che c’è sempre qualcosa che si può fare per alleviare il dolore del malato, a prescindere dalla speranza di vita, rispettando dignità e decoro, ma soprattutto sottolineando che fare del bene può cambiare la vita non solo di chi riceve ma anche di chi dona.
In particolare il movimento “hospice”, che ha origine nel XIX secolo a Lione (in Francia) dove per la prima volta viene utilizzato il termine Hospice, si prende cura dell’assistenza dei malati in fase terminale. Il principio su cui si basa questo movimento è quello che la persona anche se gravemente malata ed inguaribile, può comunque essere curata, cioè le possono essere somministrate delle cure che vanno aldilà delle terapie mediche fino ad arrivare ai supporti psicologici, etici e sanitari a favore del malato, dei familiari e degli amici. La Saunders fondò nel 1967 il St. Christopher hospice dopo circa venti anni di ricerche e studi; è non solo un luogo di accoglienza e assistenza ma è anche un luogo in cui la cura si connette con l’esperienza della ricerca e dell’insegnamento. Da qui parte il moderno modello di hospice che si diffonderà in Europa ed in diversi altri paesi del mondo.
In Italia le cure palliative hanno fatto il loro ingresso intorno al 1980, grazie alla spinta del Dott. Vittorio Ventafridda (fondatore della Società italiana di cure palliative) e della Fondazione Floriani (di cui il Dott. Ventafridda fu direttore scientifico); da quel momento si sono sviluppate nel nostro paese soprattutto organizzazioni non-profit che hanno provveduto, con la loro attività a colmare le lacune del servizio sanitario ospedaliero in questo ambito. Solo nel 1999 le cure palliative sonno state riconosciute ufficialmente ed inserite tra gli obiettivi del nostro SSN e da allora la crescita degli hospice è stata esponenziale. Da sottolineare che con la legge n. 12 del 2001 si è agevolata la prescrizione di farmaci oppiacei per il trattamento del dolore severo utilizzati per la terapia del dolore. Ma è grazie alla citata legge n. 38 del 2010 che si sono definite le cure palliative e la terapia del dolore come un diritto inviolabile di ogni cittadino, ampliando la tipologie di patologie su cui intervenire – non solo quelle oncologiche – e riferendosi a tutte le malattie ad andamento cronico evolutivo per le quali non vi è possibilità di guarigione.
Ma il profondo significato delle cure palliative lo si può ritrovare in un interessante passaggio dell’intervista rilasciata dal dott. Ventafridda prima della sua scomparsa nel 2008 dove riassume il senso della medicina palliativa e il suo netto contrasto all’eutanasia. “Le cure palliative guardano alla qualità della vita residua, non alla sua soppressione. Noi come medici abbiamo il dovere di capire le cause di questa richiesta e di cercare di risolverle. Il malato che chiede di essere aiutato a porre fine alla propria esistenza, nella maggior parte dei casi, è in preda al dolore, non ha supporto psicologico e spirituale, si sente di peso. Vive un’ esperienza umana disperata e insostenibile. Il lavoro di questi anni come medici palliativisti ci ha insegnato che quando si elimina la sofferenza fisica utilizzando in modo appropriato la morfina, si garantisce un’ assistenza infermieristica adeguata, si riempie il vuoto di comunicazione che si crea intorno a questi malati (la morte oggi è un tabù), la richiesta eutanasica scompare o si attenua”.
Ed è allora in questo senso le cure palliative sostengono la vita, e guardano alla morte come ad un processo naturale e non la anticipano o la pospongono ma piuttosto aiutano ad affrontare l’evento attraverso un approccio curativo sinergico. Meglio, attraverso un approccio olistico nella cura del malato dove sono coinvolti familiari e persone care nel momento più delicato dell’esistenza, quello in cui si prende coscienza che la vita sta sfuggendo via.
Volendo poi dare un’impronta statistica a questa breve riflessione si sottolinea che - secondo l’indagine “I numeri della long-term care” condotta nel 2022 da Italia Longeva, Associazione nazionale per l’Invecchiamento e la longevità attiva - solo una persona su tre, malata di tumore, ha ricevuto assistenza con cure palliative; tuttavia l’offerta di cure palliative a domicilio ed in hospice ha continuato ad aumentare seppur con notevoli differenze tra sud e nord del Paese. Nel Veneto sono stati circa il 57% i pazienti che hanno ricevuto cure palliative, nell’Emilia Romagna la percentuale è stata del 53%, in Toscana del 50%, in Lombardia del 49% e a Bolzano del 47%; per contro in Calabria hanno avuto accesso a tali cure solo il 12% dei malati, in Campania il 16% e nel Lazio il 17%.
Un ulteriore aspetto - evidenziato invece nella ricerca condotta da IPSOS e dall’associazione VIDAS dal titolo “Conoscenza, percezioni, opinioni sulle cure palliative in Italia” pubblicata ad ottobre 2023 - è dato dal fatto che il 57% circa degli intervistati non sa assolutamente se questo tipo di terapie sono somministrate sul proprio territorio di residenza, mentre il 60% è però a conoscenza del fatto che tali terapie possano essere erogate sia a domicilio, sia in ospedale sia in hospice. Per la maggioranza degli intervistati il luogo di cura prescelto in questi casi è la propria casa, anche se nel 20% dei casi questo desiderio non è possibile da soddisfare.
Dal punto di vista della formazione di personale specializzato si sottolinea che, a decorrere dall’anno accademico 2021-2022, nelle università italiane è stata istituita la scuola di specializzazione in “Medicina e cure palliative” ed il corso di cure palliative pediatriche nell’ambito dei corsi obbligatori delle scuole di specializzazione in pediatria. In tal modo si è quindi riconosciuta la specificità delle conoscenze e delle abilità mediche dei professionisti che intraprendono il percorso delle cure palliative; alla disciplina possono accedere gli specialisti in ematologia, geriatria, malattie infettive e tropicali, medicina interna, neurologia, oncologia, pediatria, radioterapia, anestesiologia, rianimazione e terapia intensiva, terapia intensiva e del dolore, medicina di comunità e delle cure primarie.

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08 Febbraio 2024

Il fenomeno del greenwashing. un esame delle aziende non sempre virtuose di Alessandra Di Giovanbattista

28-11-2023

Il fenomeno del greenwashing. un esame delle aziende non sempre virtuose di Alessandra Di Giovanbattista

 

Il fenomeno del greenwashing ha fatto emergere una realtà in cui esistono aspetti ingannevoli nelle dichiarazioni e nelle politiche pseudo ambientaliste contenute nei messaggi e nelle strategie di marketing pubblicizzati dalle aziende. Ci si può trovare quindi di fronte a situazioni in cui le filiere produttive oltre a non essere rispettose dell’ambiente possono addirittura essere più nocive delle precedenti produzioni di beni/servizi. L’ecologismo di facciata ha quindi aperto scenari rischiosi di vera e propria illegalità nell’agire da parte delle aziende.
Una delle prime ricadute negative nelle pratiche di greenwashing la si riscontra nella perdita di fiducia da parte dei consumatori; quando essi scoprono di essere stati ingannati scatta un meccanismo di punizione in cui l’immagine aziendale viene annientata e la sua reputazione distrutta. Si può così verificare una perdita di valore, un danno che può anche essere superiore rispetto al beneficio che l’azienda sperava di trarre dal greenwashing. Un altro rischio, molto più sostanziale ed importante riscontrabile nella pratica dell’inganno ecologico, risiede nella perdita di interesse da parte dell’azienda di intraprendere un effettivo percorso di miglioramento ambientalistico; infatti se un’impresa vede premiata la sua politica ingannevole potrebbe essere soddisfatta dei risultati ottenuti senza di fatto ricercare un miglioramento concreto delle proprie linee produttive attraverso strategie di ricerca e sviluppo. Un’altra considerazione importante riguarda le modalità con cui i singoli produttori rendono conto della propria politica di sostenibilità attraverso indicatori di bilancio (c.d. ESG cioè: indicatori di ambiente, fattori sociali e governo dell’azienda e misurano la sua propensione al rispetto dele politiche green) che consentono soprattutto agli investitori di diminuire il rischio di finanziare progetti ed imprese che potrebbero risultare non virtuose nel perseguire gli obiettivi ambientali.
Un aiuto per evitare di cadere nella trappola dell’inganno ecologico ci verrà fornito in Europa attraverso l’emanazione di una normativa stringente su ciò che può essere identificato come azione a favore dell’ambiente; un maggior numero di aziende sarà obbligata a fornire un resoconto circa le modalità seguite per lo svolgimento delle attività sostenibili ed i risultati conseguiti attraverso attività di reporting di natura non finanziaria. Queste misure però potrebbero non risultare sufficienti se le normative non saranno chiare e rese obbligatorie per tutti; noi consumatori avremo l’obbligo di informarci accuratamente prima di acquisire un prodotto/servizio al fine di valutarne il reale impatto ambientale. Ultimamente l’Unione europea ha cercato di rafforzare il percorso avviato verso il modello di sviluppo economico-sociale sostenibile. Dal punto di vista legislativo ha individuato la direttiva sugli indicatori di sostenibilità che dovranno adottare le aziende (c.d. CSRD Corporate Sustainability Reporting Directive) che sostituirà l’attuale direttiva sulla rendicontazione non finanziaria (c.d. NFRD Non Financial reporting Directive).
L’Europa su questo fronte ha posto come obiettivo la neutralità climatica (c.d. net-zero) nel 2050; pertanto le aziende dovranno modificare le proprie strategie ed investire in ricerca e sviluppo al fine di raggiungere l’obiettivo prefissato. La transizione verso produzioni ecosostenibili è un processo necessario ed urgente non solo per motivi ambientali e sociali, ma anche economici; infatti il deterioramento dell’ambiente rappresenta una minaccia concreta per le aziende e per la stabilità del sistema economico. E’ evidente che la transizione implicherà costi notevoli riconducibili a maggiore tassazione se l’azienda è più inquinante, maggiori oneri in termini di strategie di ricerca e sviluppo, maggiori costi per consumi energetici; il tutto influirà negativamente sul ricarico che l’azienda è in grado di percepire come rapporto tra prezzo di un bene/servizio ed il suo costo (c.d. markup aziendale). I notevoli costi che le aziende dovranno sostenere renderanno necessari aiuti di stato in termini di risorse a fondo perduto (in tal senso si vedano alcuni degli aiuti contenuti nel Piano nazionale di resistenza e resilienza c.d. PNRR). Purtroppo ancora una volta saranno le imprese che si trovano nel territorio del mezzogiorno a farne le spese perché esposte a maggior rischio di transizione; le loro produzioni sono essenzialmente concentrate nel settore automobilistico e della lavorazione dell’acciaio (in particolare si pensi alle zone di Potenza, Taranto, Terni, Campobasso).
Si comprende così, in termini economici, il perché le aziende cerchino di presentare come ecologici processi e prodotti che spesso non lo sono o lo sono solo in parte; scorriamo ora i casi più eclatanti di aziende che hanno fatto greenwashing al fine di essere consapevoli ed attenti ed imparare dagli errori compiuti nel passato.
Cominciamo dalla Coca-Cola: già nei primi anni del 2000 l’azienda è stata al centro di problemi legati al tema della sostenibilità. Nel giugno del 2021 è stata citata in giudizio da un’organizzazione ambientalista senza scopo di lucro (Earth Island Institute) con l’accusa di fare marketing ingannevole sul tema ecologico; in particolare è risultata essere una delle aziende più inquinanti tra quelle che producono bevande anche perché i propri contenitori (bottiglie e tappi) non sono risultati riciclabili al 100%. Secondo la denuncia la Coca-Cola è il principale produttore di rifiuti plastici del mondo, ed utilizza circa 200.000 bottiglie al minuto, pari ad un quinto della produzione mondiale di bottiglie in polietilene tereftalato (PET). Inoltre, poiché la linea produttiva di tale plastica si basa sull’uso di combustibili fossili, si aggiungono anche danni causati da emissioni di CO2. L’eccessiva produzione di rifiuti in plastica è dovuta alla carenza di sistemi di riciclaggio; si è calcolato che solo il 30% delle bottiglie riesce ad essere effettivamente riutilizzato e ciò è dovuto non solo ad una mancanza di strategia produttiva ma anche perché l’azienda si oppone all’applicazione di una piccola tassa sull’acquisto delle bottiglie di plastica che verrebbe restituita al consumatore nel momento in cui la bottiglia viene conferita in un impianto di riciclaggio. Sul punto si vuol solo ricordare il potere, economico e politico, della Coca-Cola che ha impedito che la tassa sui manufatti in plastica MACSI (c.d. plastic tax) e la tassa sulle bevande zuccherate (c.d. sugar tax) - aventi anche una valenza ambientalista e salutare - entrassero in vigore in Italia dal gennaio 2020, inducendo i nostri politici a prorogarne periodicamente la decorrenza; con la legge di bilancio per il 2024 tale entrata in vigore è stata portata al luglio 2024, ma penso, a mio modesto avviso che, ahimè, assisteremo ad un’ulteriore proroga!
Anche ENI, il colosso energetico italiano, è stato accusato di greenwashing; in particolare tra il 2016 ed il 2019 ha presentato il prodotto “ENIdiesel+” come avente le caratteristiche di prodotto biologico, green e rinnovabile, con la possibilità anche di abbattere le emissioni di CO2 fino al 40%. Di fatto è emerso successivamente che gli additivi vegetali presenti nella citata tipologia di diesel sono altamente inquinanti e non riducono né l’impatto ambientale né i consumi. Pertanto le è stato proibito di continuare ad utilizzare una pubblicità ingannevole riguardante un prodotto altamente inquinante, che per sua natura non può essere considerato green; il Tar del Lazio ha stabilito una multa di 5 milioni di euro.
Nel 2019 la società H&M attiva nel campo della moda è stata posta sotto accusa dall’autorità governativa (Norwegian Consumer Authority) che si occupa di pubblicità ingannevole; in particolare esaminando la collezione c.d. “Conscious”, pubblicizzata come rispettosa dell’ambiente, si è visto che le informazioni fornite in merito ai processi produttivi erano vaghe ed imprecise con riferimento, in particolare, alla maggiore sostenibilità di essi rispetto agli altri prodotti in vendita. L’azienda non ha ricevuto multe, ma è stata indotta a fornire una più approfondita comunicazione sulla sua filiera produttiva.
Altra grande azienda che ha sempre puntato su un’immagine di produzione eco sostenibile, ma che si è trovata invischiata in problematiche riguardanti il greenwashing è stata Ikea; nel 2020 è stata accusata dal un gruppo ambientalista britannico (Earthsight) di essersi rifornita di legname abbattuto in modo illegale in Russia ed in Ucraina. L’associazione ha documentato come grand parte delle imprese ucraine non avessero rispettato le norme sulla provenienza del legname, senza peraltro valutarne l’impatto ambientale, e disboscando oltre i confini dei territori autorizzati. Inoltre è stato stimato un consumo di un albero al secondo per soddisfare la domanda globale di prodotti Ikea. La sua politica di produzione si basa su un modello a bassi prezzi di vendita, che utilizza il legname per arredamento a basso costo (il c.d. fast-fashion dell’arredamento); tale strategia ha la caratteristica di cavalcare l’onda del consumismo sfrenato che porta il consumatore ad acquistare beni di cui non ha bisogno, e che hanno una durata molto limitata nel tempo, con ciò incentivando la deforestazione. Per rispondere a queste accuse l’azienda ha predisposto un programma di riacquisto e vendita di mobili usati.
A giugno del 2022 un’indagine condotta da Reuters ha evidenziato che l’azienda britannica multinazionale Unilever ha eluso i divieti circa l’utilizzo di bustine monouso per la vendita di prodotti in piccole quantità. In particolare tali bustine vengono utilizzate soprattutto nei paesi in via di sviluppo ed essendo contenitori usa e getta rappresentano una delle forme principali di inquinamento dell’ambiente e in particolare dei  mari.
Di recente, ad aprile 2023 è stata accusata di greenwashing la compagnia aerea KLM per pubblicità ingannevole; in particolare si utilizzava la pubblicità per suggerire che il viaggio in aereo non è una scelta sbagliata dal punto di vista ambientale (campagna c.d. Fly Responsibly). La compagnia aerea sottolineava l’uso di carburante eco sostenibile e l’adozione di aerei ad idrogeno quando la relativa tecnologia sarà sviluppata. Tra gli accusatori diversi gruppi non profit tra cui Fossil Free, ClientEarth e Greenpeace che hanno sottolineato l’ingannevole pubblicità rappresentata da giovani speranzosi e possibili tecnologie future non ancora presenti. La campagna pubblicitaria è stata interrotta.
Anche l’azienda italiana San Benedetto ha dovuto pagare una multa di 70.000 euro per aver fatto pubblicità ingannevole basata su bottiglie prodotte con meno plastica, risparmio di energia e di emissioni di CO2, e quindi ecosostenibili. In realtà l’Antitrust ha evidenziato che all’epoca non sarebbe stato possibile calcolare il reale risparmio di energia e la diminuzione delle emissioni di CO2 in quanto non erano disponibili strumenti idonei a quantificare tali benefici ambientali.
Nel 2021 l’azienda petrolifera statunitense Chevron è stata accusata di pubblicità ingannevole in quanto aveva sopravvalutato i suoi investimenti in energie rinnovabili e nelle strategie per la riduzione delle emissioni di gas serra. In particolare i gruppi non profit Global Witness, Greenpeace e Earthworks hanno individuato le pratiche ingannevoli contenute nella pubblicità di Chevron in quanto gli investimenti in fonti rinnovabili rappresentavano il solo 0,2% delle spese in conto capitale. Sono state quindi richiamate le linee guida del 2012 della Commissione Federal Trade che mirano ad impedire che le aziende rilascino false dichiarazioni ambientaliste. Sono state così riconosciute illegali 15 campagne pubblicitarie della Chevron tra cui le pubblicità “Human energy” e “We Agree”.
Non ci rimane che dire: vigiliamo attentamente perché il benessere del pianeta dipende prima di tutto da noi consumatori, da ogni nostro piccolo gesto!

 

 

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28 Novembre 2023

lotta all'evasione fiscale: le cause di Alessandra Di GIOVAMBATTISTA

LA LOTTA ALL’EVASIONE FISCALE: LE CAUSE 

di Alessandra Di Giovambattista

3-04-2023 

Dopo aver chiarito il fenomeno dell’evasione fiscale, e sottolineato che esso va contrastato e condannato, cerchiamo di iniziare a comprendere quanta verità e oggettività ci sia nelle affermazioni che spesso sentiamo in merito a questo fenomeno. Infatti ogni problema va contestualizzato e ragionato al fine di escludere strumentalizzazioni da parte di eventuali gruppi di potere o coperture di inefficienze amministrativo politiche.

Gli argomenti più utilizzati dai mass media e dalle forze politiche si possono riassumere in quattro punti:

  • l’evasione fiscale è uno dei principali problemi del nostro paese;
  • il contante è il mezzo attraverso il quale si può evadere per cui limitarne l’uso implica il contrasto all’evasione;
  • tra evasione fiscale ed eccessiva pressione fiscale c’è proporzionalità diretta;
  • gli evasori fiscali sono meno numerosi di coloro che pagano regolarmente i tributi.

L’affermazione che l’evasione fiscale sia il vero problema del paese, in realtà serve per far deviare l’attenzione su una serie di altrettanto seri problemi che affliggono la politica e la società italiana. Vorrei subito sottolineare che una seria lotta all’evasione deve prevedere sistemi di controlli ed incroci dei dati che le forze politiche non hanno mai voluto potenziare; perché non utilizzare il codice fiscale per controllare le posizioni dei contribuenti più rilevanti e più dubbie? Vediamo invece che gli uffici fiscali si scatenano contro i soggetti che, pur presentando regolare dichiarazione fiscale, incappano in errori relativi a deduzioni/detrazioni fiscali che generano accertamenti di misero valore (forse 100, o 200 euro); ma qui vale la famosa frase del grande comico Totò: “è la somma che fa il totale!”.

Invece non si riflette sul fatto che gli errori commessi dai contribuenti il più delle volte sono il frutto di una legislazione complessa, farraginosa e confusa che può indurre il contribuente all’errore; è lecito pensare che forse proprio questo potrebbe essere l’obiettivo? Creare confusione e fumus per consentire di interpretare le norme per gli amici e di applicarle per tutti gli altri contribuenti: e attenzione per questi ultimi gli uffici finanziari sono impietosi…. Vogliamo, solo per fare un esempio, parlare del madornale pasticcio del superbonus al 110% che ha agevolato, oltre alle banche, essenzialmente i possessori di ville unifamiliari che sono state rimodernate a spese dei contribuenti onesti? E allora c’è da pensare che forse i diversi politici di turno in parte vogliono creare situazioni di confusione normativa ad hoc, come garanzia a favore di determinate lobby e/o per sfruttare al massimo le opportunità di potere che vengono loro offerte.

Ma c’è da aggiungere che molto probabilmente, evidenziando il fenomeno dell’evasione fiscale, in realtà si vuol camuffare l’incapacità degli uffici finanziari di recuperare gettito mediante controlli ed approfondimenti seri e mirati; la verità e che gli uffici finanziari sono del tutto inefficaci: sono forti con i deboli e deboli con i forti. I condoni, le rottamazioni, lo scudo fiscale non sono altro che esempi di inefficienza nell’incasso derivante dall’incapacità di controlli mirati da parte dell’Erario circa la effettiva capacità contributiva dei soggetti. Ad esempio se prendiamo la relazione tecnica (documento che espone le risultanze finanziarie generate dal provvedimento legislativo presentato dal Governo) annessa al regime fiscale dello scudo fiscale, cioè il rimpatrio dei capitali dall’estero, possiamo notare che gli effetti finanziari sono stati considerati positivi, cioè come effetti di maggior gettito. Questa impostazione in realtà è davvero un artificio contabile che nasconde una grande impostura: l’incapacità e forse anche la non volontà di colpire effettivamente i grandi evasori. Infatti come è possibile considerare una misura di condono come un provvedimento di maggior gettito? Il vizio mentale è basato su questa logica: preferisco recuperare gettito subito, anche se di importo minore rispetto a quanto avrei potuto incassare utilizzando le metodologie di accertamento ordinario. Il risultato finale è che se con l’accertamento ordinario avrei potuto incassare 100, di fatto lo Stato, nei confronti dei grandi evasori, si è accontentato di introitare 20 per poter incassare subito e senza contenzioso; allora viene da chiedersi: ma l’operazione era davvero un’operazione a variazione positiva o piuttosto era un’operazione in perdita (secondo il nostro esempio per un importo di 80) dovuta all’incapacità degli uffici di svolgere un serio ed efficace controllo?

Ecco quindi che effettivamente il problema dell’evasione non è imputabile esclusivamente ai soggetti, ma piuttosto allo Stato incapace, volente o nolente, di recuperare quanto dovuto da ogni contribuente in ragione della propria capacità contributiva. D’altronde si sa che l’occasione rende l’uomo ladro….

Ma questo porta anche ad altre considerazioni. Ma perché i cittadini sono spinti all’evasione? Oltre all’inefficienza dei controlli da parte degli uffici che induce i contribuenti ad evadere, laddove possibile, e garantisce l’impunità ai grandi evasori, c’è da sottolineare la totale inadeguatezza dei servizi pubblici offerti. I cittadini si rendono conto, specialmente nel periodo più recente, che a fronte dell’ingente imposizione fiscale, anche da parte degli enti locali, non c’è assolutamente una adeguata corrispondenza con i servizi offerti. La spesa pubblica finanziata attraverso il sistema fiscale non è percepita come un fattore di rilancio e di sviluppo dell’economia, ma come un fattore che spreca risorse. Nessuno ha mai affrontato seriamente il problema del confronto tra costi/benefici in capo ai singoli contribuenti, provando a darne una stima; tuttavia l’evidenza empirica ci porta a vedere strade invase da rifiuti, attese anche di 24 ore presso i pronto soccorso, liste di attesa bibliche presso le strutture ospedaliere, scuole fatiscenti, casi di corruzione.

Proviamo allora a cambiare prospettiva. Gli uffici devono iniziare a controllare coloro che presentano situazioni poco conciliabili tra tenore di vita e dichiarazioni fiscali. Se, ad esempio, si fosse utilizzato il codice fiscale quale indicatore dell’effettiva capacità contributiva, forse non si sarebbero erogati sostegni economico finanziari (es. il reddito di cittadinanza o sostegni durante il Covid-19) a soggetti assolutamente non bisognosi. Occorre comprendere quanto dell’ammontare delle attuali spese statali garantisca davvero il welfare e quanta parte di esse invece alimenti le clientele e i nepotismi. Le spese non produttive contribuiscono ad aumentare il fabbisogno che sovente viene finanziato con deficit, ciò crea incremento della pressione fiscale perché il debito pubblico oltre a dover essere restituito (linea capitale) aumenta gli interessi che debbono essere pagati periodicamente (in genere semestralmente) ed irrigidisce la struttura finanziaria. Riassumendo ci troviamo di fronte ad un cane che si morde la coda: a parità di condizioni, all’aumentare della spesa pubblica improduttiva, aumentano le richieste ai cittadini di risorse finanziarie attraverso i tributi ordinari e quando questi non sono sufficienti si istituiscono dei tributi straordinari (es. le patrimoniali); da ciò deriva un incremento della pressione fiscale che alimenta il fenomeno dell’evasione/elusione fiscale. 

Inoltre occorre sottolineare che le spese pubbliche vengono anche finanziate con gli ipotetici incassi da evasione fiscale; questa forma di copertura del fabbisogno di finanziamento pubblico, che emerge dalla lettura delle relazioni tecniche, è stata più volte sanzionata dalla Corte dei Conti che ha sottolineato la totale natura di aleatorietà di tali tipologie di entrate. Per esse non è sicuro né se si riuscirà ad ottenerne l’introito, né l’ammontare effettivo, né il momento reale di incasso. Si potrebbe concludere dicendo che il tutto delinea un vero e proprio falso in bilancio. Naturalmente, come già detto, se non si avrà l’effettivo introito delle entrate da recupero dell’evasione fiscale, si produrrà aumento della spesa pubblica finanziata in deficit che renderà sempre più vulnerabile il sistema economico finanziario nazionale. Alla lunga ciò ci consegnerà nelle mani di speculatori e di nazioni che acquistando il nostro debito pubblico ci renderanno totalmente asserviti a loro.

Più aumenta la pressione fiscale più si rende insoddisfatto il cittadino che viene spinto o a non produrre oltre un certo livello di reddito (in tal modo però si deprime la potenzialità produttiva del Paese) e lo si induce all’evasione fiscale perché oltre un certo livello di imposizione non è più conveniente continuare a pagare i tributi per servizi inesistenti o scadenti. E notiamo che in questa trappola - che potremmo definire da iper tassazione - possiamo caderci tutti: infatti in questo senso ognuno di noi è un potenziale evasore e forse tutti già lo siamo perché, ad esempio, ogni volta in cui l’idraulico, il falegname, l’avvocato ci chiedono il pagamento delle prestazioni sicuramente per evitare di pagare l’IVA, che grava sul consumatore finale, quindi su di noi, rifiutiamo la fattura. Ciò non solo produce un mancato gettito da IVA ma anche per imposte dirette che i percettori mai dichiareranno. Ma questa è la risposta del consumatore ad un semplice problema di convenienza economica che va a scontrarsi però con un meccanismo erariale miope in cui non mettendo in conflitto di interessi il consumatore con il percettore delle somme - offrendo ad esempio la possibilità di detrarre almeno in parte le spese sostenute (come già accade per le spese mediche) – si inducono tutte le parti della transazione ad evadere sia le imposte indirette (IVA), sia quelle dirette (imposte sui redditi).

A questo punto si potrebbe ribattere che la limitazione del contante potrebbe essere una valida soluzione al problema dei compensi c.d. “in nero”. In realtà non è provato che sia così; secondo alcuni studi (ad esempio della banca d’Italia e della BCE) non vi è correlazione tra limite del contante e diminuzione dell’evasione fiscale anche se il limite al contante definito nelle ultime legislature sembra aver contributo al recupero di una parte dell’evasione, almeno in Italia. Tuttavia tale misura rappresenta una forte limitazione della libertà e lede il diritto alla privacy; ci siamo accorti che il riepilogo della carta di credito inviato dalle banche analizza i nostri acquisti suddividendoli per categorie merceologiche e tipologie di servizi acquistati? Ci siamo domandati poi questi dati da chi potrebbero essere analizzati e per quali finalità? Piuttosto tornando a quanto detto sopra sarebbe forse più proficuo incrociare le informazioni finanziarie ed utilizzare le strumentazioni informatiche: in tal senso ottime modalità di contrasto all’evasione sono state la fatturazione elettronica e lo split payment (un sistema che vede il cessionario pagare l’Iva direttamente allo Stato e non al cedente; tale modalità di riscossione dell’IVA è stata permessa dall’unione europea fino al 30 giugno del 2023).    

Pertanto se il problema dell’evasione fiscale c’è esso è legato a motivazioni diverse rispetto a quelle che vengono utilizzate di frequente dalla stampa prezzolata e che tendono a criminalizzare indiscriminatamente i soggetti e a creare conflitti sociali e generazionali. Le riflessioni presentate in questo articolo, a ben vedere, impongono una riflessione sull’operato dei Governi e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e non al contrario sull’indagine dell’uso personale delle risorse provenienti dal lavoro di ogni contribuente (es. redditometro, spesometro, controllo del contante). Pertanto l’analisi conduce a riflettere sui quattro punti sottostanti:

  • mancanza di corrispondenza tra costi (ammontare dei tributi pagati)/benefici (servizi pubblici);
  • normativa farraginosa e confusa;
  • mancanza ed inefficacia dei controlli;
  • sistema fiscale percepito come spreco di risorse, con spese pubbliche sovente improduttive e finanziate in deficit, espressione spesso di politici/amministrativi incapaci e corrotti.

Cerchiamo di ragionare secondo queste categorie per provare a fare un’analisi personale del fenomeno cercando di essere più oggettivi possibile, senza cadere in tranelli che il più delle volte vengono tesi da mass media asserviti al potere di turno. E soprattutto cerchiamo prima le cause delle problematiche e vedremo che, di conseguenza, emergeranno anche i colpevoli. Se si invertono i termini di questa analisi si rischia, non comprendendo fino in fondo le motivazioni che inducono  determinati comportamenti, di consentire di perpetuare cattive pratiche politico amministrative.

  

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03 Aprile 2023

Il mercato del lavoro di Alessandra Di Giovambattista

 

Il mercato del lavoro di Alessandra Di Giovambattista

 26-01-2023

 

 

Il mercato del lavoro deve contare sulle forze giovani, deve cercare di fidalizzarle  al sistema Italia e forse una tassazione più generosa, almeno all’inizio dell’attività, potrebbe sicuramente aiutare al fine di consolidare il lavoro nel nostro Paese. Inoltre le attività professioni, artigianali ed imprenditoriali, creano a loro volta lavoro in quanto attività che generano strutture capaci di utilizzare fattori della produzione volti all’utilizzo efficiente ed efficace delle risorse, perché solo così l’azienda sarà capace di perdurare nel tempo.

La paura che tale regime possa incrementare l’evasione fiscale va forse ricondotta al problema molto più ampio dei controlli. Il sistema dei controlli in generale e di quelli fiscali in particolare, oggi si basa esclusivamente sulle posizioni fiscali conosciute dal fisco, mentre molto di più si dovrebbe fare analizzando il territorio, così come spesso fa la Guardia di finanza. Gli strumenti informatici e tecnologici oggi a disposizione degli uffici finanziari dovrebbero aiutare a sconfiggere le sacche di economia sommersa, così come l’elusione. Quest’ultimo aspetto induce anche ad una riflessione più profonda circa la chiarezza e semplicità, principi alla base della scienza delle finanze, che il sistema fiscale dovrebbe incarnare.

Inoltre gli uffici finanziari dovrebbero usare ed incrociare di più le informazioni che possono dedursi dai codici fiscali, dai dati INPS ed INAIL, dalle informazioni in possesso dei Comuni e del sistema sanitario. Pertanto ripensare il sistema fiscale verso un alleggerimento della pressione iniziando proprio dalle attività produttive che nascono al fine di rendere autonomi, vivi e produttivi i nostri giovani che rappresentano lo sviluppo e la crescita del Paese è, secondo me, un buon inizio e deve rappresentare un primo livello per studiare un nuovo sistema fiscale equo e più efficiente, lasciando alle spalle un sistema oggi pesante caotico e che crea disordine e sacche di elusione.

Questi aspetti riconducono alla necessità di affrontare il problema della riforma fiscale nell’ambito della tassazione personale; in particolare dovrebbe crearsi una zona no-tax per tutti i lavoratori dipendenti e pensionati, basata almeno sulla soglia di povertà, perché in caso di perdita di lavoro il problema riguarderebbe tutti i lavoratori e dovrebbero entrare in gioco delle forme di ammortizzatori sociali, mentre i pensionati per l’aumento delle difficoltà di vita vedono giocoforza diminuire il potere di acquisto delle proprie pensioni.

Alessandra Di GIOVAMBATTISTA 

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26 Gennaio 2023

FLAT TAX: PRO E CONTRO di Alessandra Di Giovambattista

I pro ed i contro della flat fax.    di Alessandra Di Giovambattista 

 

24-01-2023

 Al fine di poter essere in grado di formarci un’opinione personale, ma più oggettiva possibile si evidenziano i PRO Ed i CONTRO  supportata da elementi sociali, economici e fiscali.
In prima analisi è opportuno rammentare che l’economia non è una scienza esatta e le sue teorie sono sempre soggette a presupposti e concetti di base dai quali dipende la giustezza o meno della teoria stessa. Ed infatti occorre evidenziare che non esistono ricette preconfezionate, ma ogni nazione, in ragione della congiuntura e delle caratteristiche sociali, di mercato ed economiche (legate essenzialmente alla tipologia e quantità dei fattori della produzione), dovrebbe ragionare in maniera autonoma ed indipendente, traendo piuttosto spunti di riflessione da possibili misure analoghe, implementate in paesi diversi, analizzandone gli elementi di successo o di fallimento.

Icontro sono i seguenti: da diversi soggetti, anche istituzionali (in particolare si vedano i contributi dell’ufficio parlamentare di bilancio – UPB – sul tema) è emerso come un tale sistema possa creare effetti 

distorsivi, frenare la crescita dimensionale delle imprese ed incentivare la sotto-fatturazione e l’evasione. Gli effetti distorsivi, che pongono problemi di equità, si rinvengono quando si parla di redistribuzione di risorse dai contribuenti più ricchi a quelli più poveri; tale obiettivo viene maggiormente conseguito in un sistema impositivo progressivo (così come oggi è l’IRPEF basata sull’imposizione per scaglioni di reddito). Va da sé che un sistema proporzionale così come quello della flat tax non sembra permettere di raggiungere l’obiettivo della redistribuzione, con ciò determinando un maggior peso, in termini di utilità marginale, delle imposte sui più poveri rispetto ai più ricchi.
La soglia degli 85.000 euro entro i quali si può godere del regime agevolativo sembra porre un freno alla crescita in quanto il contribuente pur di rimanere al di sotto del limite massimo può decidere di non espandere la propria attività in modo autonomo e legittimo; ma potrebbe essere anche incentivato alla sotto-fatturazione, con ciò introducendo pratiche non legali di incassi non registrati e non fatturati (c.d. incassi in nero che generano il fenomeno dell’economia sommersa) sempre al fine di non superare il limite che garantisce il regime in esame.
È evidente che in caso si verifichino tali presupposti il gettito per l’erario, a parità di condizioni diminuirebbe, con possibile contrazione delle spese pubbliche tra cui quelle a favore del walfare. Questa considerazione conduce all’aspetto più generale di possibile incostituzionalità di un sistema basato su un’aliquota proporzionale il quale non garantisce il principio per cui “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Infine, con un semplice calcolo matematico è possibile confrontare i due regimi all’esame, quello della flat tax, cioè imposta proporzionale calcolata su un reddito forfetario (redditi di lavoro autonomo al di sotto della soglia degli 85.000 euro), e l’imposta progressiva per scaglioni (redditi di lavoro dipendente e altri redditi compresi quelli da lavoro autonomo al di sopra della soglia). Con reddito di 50.000 euro il contribuente flat tax con coefficiente di redditività del 40% pagherà IRPEF per 3.000, il contribuente con coefficiente di redditività del 78% pagherà IRPEF per 5.850 euro, mentre un lavoratore dipendente con reddito di 50.000 euro, per effetto degli scaglioni pagherà IRPEF per 14.400 euro (con aliquota media del 28,8%). Si faccia attenzione al fatto che questo semplice calcolo è basato sui soli redditi percepiti, ma guardando l’aspetto fiscale come fenomeno macroeconomico occorre tener presenti anche altre variabili, come dopo vedremo; se queste ultime non vengono considerate adeguatamente, si rischia di rappresentare in modo distorto il problema e di ingigantire il gap fiscale tra i due diversi gruppi di contribuenti.
I punti a favore sono i seguenti: gli argomenti che spingono all’utilizzo di tale tassazione proporzionale sono: una diminuzione della pressione fiscale, il contrasto all’evasione fiscale, e la semplificazione degli adempimenti.
I fautori della tassa piatta sostengono che una riduzione del carico fiscale potrebbe indurre un calo dell’evasione fiscale; in tal modo si avrebbe una compensazione tra perdite di gettito dovute alla diminuzione dell’aliquota fiscale ed incremento del gettito derivante dall’emersione di una parte dell’attuale economia sommersa (evasione fiscale). Nel merito tuttavia occorre evidenziare che le analisi empiriche hanno registrato un effetto netto di perdita di gettito.
Altro aspetto di favore è la notevole semplificazione degli adempimenti fiscali e contabili, rivolta agli imprenditori di piccole dimensioni; in questo senso occorre ricordare i limiti di accesso con riferimento al personale dipendente (20.000 euro lordi). Si ricordi anche che in tale situazione il reddito tassabile non si determina con il metodo analitico, ma applicando delle aliquote di redditività (che vanno di un minimo del 40% ad un massimo dell’86%), per cui i costi sono decurtati a forfait.
La diminuzione della pressione fiscale per famiglie e piccole imprese rappresenta uno degli obiettivi cardine del sistema; il contribuente deve percepire che lo sforzo che sostiene per contribuire alle spese dello Stato è ripagato da un livello di servizi adeguato al carico erariale sostenuto (deve essere garantito un equilibrato rapporto costi/benefici). Tale obiettivo deve però assicurare anche la progressività dell’imposta, per cui a tale diminuzione deve conseguire un ripensamento generale della fiscalità a favore dell’equità fiscale. Per tale ragione al fianco della tassa proporzionale i fautori di essa includono un sistema con una no tax area totalmente esente dall’imposizione, e sistemi di deduzione/detrazione più aderenti alle reali condizioni del contribuente.
Nel prossimo articolo fornirò degli ulteriori elementi di analisi per provare ad aiutarvi nel discernimento.

 

Alessandra Di Giovambattista 

 

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24 Gennaio 2023

LA FLAT TAX: UN APPROFONDIMENTO PER IL DISCERNIMENTO. di Alessandra Di Giovambattista

LA FLAT TAX: UN APPROFONDIMENTO PER IL DISCERNIMENTO di Alessandra Di Giovambattista 

 

 23-01-2023 

 

Il regime della flat tax (tassa piatta o proporzionale) al 15% (applicabile a determinati contribuenti con redditi fino ad 85.000 euro) che prendiamo oggi in esame - e che ha dato luogo a diverse polemiche durante l’esame parlamentare della legge di bilancio per il 2023 per via delle diverse modifiche che poi vedremo nella sostanza – è nato con il preciso obiettivo, così come si legge nella relazione illustrativa al disegno di legge istitutivo contenuto nella legge di stabilità per il 2015, di favorire la nascita di nuove attività economiche e successivamente, con la legge di stabilità per il 2016, di potenziarne ulteriormente lo sviluppo. A latere si osserva che contribuisce in questa direzione l’aver creato un regime che presenta notevoli semplificazioni in materia di IVA e di imposte dirette, nonché l’aver semplificato la normativa previgente, mediante l’eliminazione dei precedenti regimi fiscali . Questa direzione è stata intrapresa anche per effetto delle direttive contenute nella delega fiscale dell’11 marzo 2014, n. 23, il cui articolo 11, comma 1, prevedeva l’introduzione di regimi semplificati per i contribuenti di minori dimensioni, nonché, per i contribuenti di dimensioni minime.

Si rammenta che la legge di stabilità per il 2015 ha introdotto il nuovo regime forfetario, a favore degli operatori economici di dimensioni piccole. Tale regime ha subito modifiche successive, in particolare con la legge di stabilità per il 2016. Tale modalità di imposizione prevede semplificazioni in termini di IVA e a fini contabili permette di determinare forfetariamente il reddito da assoggettare ad una imposta sostitutiva che prevede l’applicazione di un’unica aliquota a fronte del vigente sistema di tassazione per scaglioni per le persone fisiche (IRPEF) e con aliquota proporzionale del 24% per le imprese (IRES); agevolazioni, opzionali, sono stabilite anche in ambito contributivo per le imprese. Tale regime, che non prevede una scadenza legata ad un numero di anni di attività, è quello naturale per le persone fisiche che esercitano un’attività di impresa, arte o professione in forma individuale e purché presentino i requisiti richiesti per accedervi . Sono poi individuate diverse cause di esclusione dal regime forfetario riconducibili ad esempio, a particolari regimi speciali IVA, alla residenza dei soggetti per cui sono esclusi i non residenti in Italia, nella UE e nello SEE, all’opzione per il regime della trasparenza fiscale, ecc. E’ inoltre disciplinato il caso in cui il regime forfetario cessi di avere efficacia qualora venga meno anche uno solo dei requisiti di accesso previsti o qualora si verifichi una delle condizioni di esclusione. Al reddito, determinato utilizzando dei coefficienti di redditività differenti per ogni tipologia di attività (individuata secondo i codici ATECO) si applica un’unica aliquota di imposta sostitutiva nella misura del 15%; tale aliquota scende al 5% per i primi 5 anni di attività qualora il contribuente non abbia esercitato nei tre anni precedenti attività artistica, professionale o d’impresa, oppure l’attività non costituisca semplice prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, o l’attività rappresenti il proseguimento di un’attività svolta precedentemente da altro soggetto.

La legge di bilancio per il 2023 ha apportato delle modifiche, con anche la finalità di ridurre la pressione fiscale, in particolare:
- ha elevato a 85.000 euro la soglia dei ricavi e compensi, conseguiti nell’anno 2023, a cui si applica il regime fiscale forfetario in esame; il vecchio limite era di 65.000 euro ed era stato individuato con la modifica al comma 54 dell’originaria legge di stabilità per il 2015, contenuta nell’articolo 1, comma 9, lettera a) della legge di bilancio per il 2019 (L. 145/2018). Ai fini dell’applicazione del regime in argomento è contestualmente necessario non aver sostenuto spese per un importo complessivo superiore a 20.000 euro lordi per lavoro accessorio, dipendente e assimilato.
- Il regime in esame cessa immediatamente - e si rientra nel regime ordinario ed è dovuta l’IVA sulle operazioni in eccedenza rispetto al limite degli 85.000 euro - senza pertanto aspettare l’anno fiscale successivo, qualora i soggetti abbiano conseguito compensi o ricavi superiori a 100.000 euro; qualora i maggiori compensi o ricavi siano all’interno dell’intervallo compreso tra 85.001 e 100.000 euro si uscirà dal regime in esame a partire dall’anno successivo a quello di sforamento.

Rimane invariata l’aliquota del 15% sostitutiva delle imposte sui redditi, addizionali e IRAP, così come previsto dalla normativa previgente, nonché le norme relative alle cause di esclusione e di cessazione dal regime agevolato in argomento. Le semplificazioni IVA riconosciute per questo regime riguardano:
-la non applicazione dell’IVA (non si addebita l’IVA in fattura ai clienti e non si detrae l’imposta sugli acquisti);
-l’esonero dalla presentazione della dichiarazione annuale IVA e della liquidazione e versamento periodici;
-la non registrazione delle fatture emesse, dei corrispettivi e degli acquisti;
-il non obbligo di fatturazione elettronica; in caso di sola fatturazione elettronica (qualora, ad esempio, la fatturazione avvenga esclusivamente nei confronti della pubblica amministrazione) è previsto un regime premiale per il quale il termine di decadenza per gli avvisi di accertamento si riduce di un anno passando dagli attuali 5 a 4 anni.
Restano invece soggetti agli obblighi di numerazione e conservazione delle fatture di acquisto e delle bollette doganali; di certificazione dei corrispettivi; di integrazione delle fatture per le quali risultano debitori di imposta, senza diritto a detrazione; di fatturazione elettronica nei confronti della Pubblica amministrazione.
Le semplificazioni previste a titolo di imposte sui redditi, riguardano:
- esonero dagli obblighi di registrazione e tenuta delle scritture contabili di natura tributaria;
- esclusione dall’applicazione degli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA);
- esonero dall’operare le ritenute alla fonte, nonché esonero dall’assoggettamento a ritenuta d’acconto in relazione a ricavi o compensi percepiti.

 

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23 Gennaio 2023

IL GREEN DEAL: L'EUROPA LEADERSHIP INDUSTRIALE IN MATERIA DI ZERO EMISSIONI NETTE Di Alessandra Di Giovambattista

IL GREEN DEAL: L'EUROPA LEADERSHIP INDUSTRIALE IN MATERIA DI ZERO EMISSIONI NETTE 
Di Alessandra Di Giovambattista

 

25-02-2023

La commissione europea ha presentato il 1 febbraio 2023 un piano industriale per rafforzare la competitività dell'industria europea a zero emissioni nette e sostenere la rapida transizione verde verso la neutralità climatica, con gli obiettivi da raggiungere entro il 2050: il Green Deal. Si riporta la dichiarazione della Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen: "Abbiamo l'opportunità, unica per la nostra generazione, di indicare la strada con rapidità e ambizione, tenendo presente il nostro obiettivo di garantire la leadership industriale dell'UE nel settore in rapida crescita delle tecnologie a zero emissioni nette. L'Europa è determinata a guidare la rivoluzione delle tecnologie pulite. Per le nostre imprese e i nostri cittadini, ciò significa trasformare le competenze in posti di lavoro di qualità e l'innovazione in una produzione di massa, grazie a un quadro più semplice e più rapido. Un migliore accesso ai finanziamenti consentirà alle nostre principali industrie delle tecnologie pulite di crescere rapidamente." Il piano si inserisce nel contesto del Green Deal europeo, presentato dalla Commissione l'11 dicembre 2019; esso fissa l'obiettivo di rendere l'Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. La normativa europea sul clima traduce in atti vincolanti l'impegno dell'UE per la neutralità climatica e l'obiettivo intermedio di ridurre del 55 per cento almeno, rispetto ai livelli del 1990, le emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2030. Nella transizione verso un'economia a zero emissioni nette, la competitività dell'Europa dipenderà fortemente dalla sua capacità di sviluppare e produrre le tecnologie pulite che rendono possibile tale transizione.
Il piano industriale si basa su quattro pilastri:
a) un ambiente normativo prevedibile, coerente e semplificato per sostenere la produzione di tecnologie determinanti in Europa e basarla su un quadro normativo semplificato; per stimolare la domanda di beni strategici la Commissione riconosce il ruolo fondamentale svolto dagli appalti pubblici, dalle agevolazioni alle imprese ed agli utenti finali. Si cercherà inoltre di garantire gli approvvigionamenti delle materie prime critiche, come ad esempio le terre rare essenziali per la produzione di tecnologie avanzate; entro marzo sarà presentata la riforma del disegno del mercato dell’elettricità affinché i consumatori possano beneficiare di minori costi dovuti all’uso delle energie rinnovabili. Altro aspetto importante in questo ambito è stato individuato nella necessità che i legislatori dei diversi Stati membri della UE adottino rapidamente il regolamento sulle infrastrutture per i carburanti alternativi (AFIR).
b) l’accelerazione all’accesso ai finanziamenti per la produzione di tecnologie pulite. Si punta sia agli investimenti pubblici sia agli investimenti provenienti dal settore privato e per quest’ultimo viene sottolineato il ruolo essenziale del buon funzionamento dei mercati dei capitali e del quadro di riferimento per la finanza sostenibile e la necessità di completare l’Unione dei mercati dei capitali (Capital markets union - CMU). In un contesto di politica della concorrenza, la Commissione, con l’obiettivo di evitare la frammentazione del mercato unico, riconosce la necessità di aumentare i finanziamenti europei e di semplificarne contemporaneamente le modalità di concessione da parte degli Stati membri, proprio con la finalità di rendere più rapido il processo verso la transizione verde. Così la Commissione lancerà nell'autunno del 2023 una prima gara per sostenere la produzione di idrogeno rinnovabile, i cui vincitori riceveranno un premio fisso per ogni kg di idrogeno rinnovabile prodotto per un periodo di 10 anni. Inoltre per rendere più semplice la procedura della concessione degli aiuti di Stato verranno ascoltati i Paesi della UE in merito a possibili modifiche del quadro temporaneo per gli aiuti di Stato in caso di situazioni di crisi. Si cercherà inoltre di agevolare l'uso dei fondi UE esistenti per finanziare l'innovazione, la fabbricazione e la diffusione delle tecnologie pulite. A medio termine, la Commissione intende dare una risposta strutturale alle esigenze di investimento, proponendo un Fondo sovrano europeo, basandosi sull'esperienza dei progetti multinazionali coordinati nell'ambito degli Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo (IPCEI), al fine di migliorare l'accesso di tutti gli Stati membri a tali progetti e salvaguardando così le Nazioni dai rischi causati da una disponibilità disuguale degli aiuti di Stato.
c) il miglioramento delle competenze umane per posti di lavoro di qualità e ben retribuiti, in considerazione del fatto che circa il 35% - 40% dei posti di lavoro potrebbe essere interessato dalla transizione verde. Questo ambito si incardina nel quadro generale dell’agenda europea per le competenze, che opera in sinergia con lo spazio europeo dell’istruzione. Si prevede di istituire delle accademie per l’industria a zero emissioni al fine di attivare programmi di miglioramento delle competenze e di riqualificazione nelle aziende strategiche. Più nello specifico le accademie (è prevista anche l’istituzione di un’accademia per l’edilizia sostenibile) offriranno percorsi e programmi di aggiornamento e riqualifica dei lavoratori verso percorsi green; saranno individuati degli indicatori di controllo dell’offerta e della domanda di competenze e posti di lavoro nei settori rilevanti per la transizione ecologica, tenendo conto degli aspetti legati all’età e al genere. La Commissione valuterà come agevolare l’accesso dei cittadini di paesi terzi ai mercati del lavoro in settori strategici nella UE; inoltre cercherà di introdurre misure volte a promuovere e allineare i finanziamenti pubblici e privati per lo sviluppo delle competenze.
d) cooperazione globale e contributo del commercio alla transizione verde. La Commissione parte dal presupposto che il libero commercio rappresenti un elemento strategico essenziale e per tale ragione continuerà a sostenere l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e ad incentivare la rete di accordi di libero scambio. Un’attenzione particolare sarà data alla protezione dal commercio sleale nel settore delle tecnologie pulite e si vigilerà per garantire che le sovvenzioni estere non falsino la concorrenza nel mercato unico; a tal fine sarà anche necessario che tutti gli Stati vigilino per difendere i propri interessi mediante il controllo degli investimenti esteri al fine di salvaguardare i principali beni europei e proteggere la sicurezza collettiva. La transizione verde andrà ricercata anche attraverso lo sviluppo di forme di cooperazione con nuovi partener commerciali, oltre a quelli tradizionali. La Commissione prenderà in considerazione la creazione di un Club delle materie prime critiche, al fine di riunire i "consumatori" di materie prime e i paesi ricchi di risorse per garantire la sicurezza dell'approvvigionamento a livello mondiale attraverso una base industriale competitiva e diversificata, e di partenariati industriali per tecnologie pulite e zero emissioni nette. Si prevede anche la cooperazione con gli Stati Uniti che recentemente hanno varato il piano definito “Inflation Reduction Act” (IRA), nonché con l’India. In particolare l’UE con gli Stati Uniti stanno lavorando per cercare soluzioni alle problematiche che preoccupano essenzialmente l’Europa con l’obiettivo di rafforzare le catene di valore transatlantiche e garantire la cooperazione più proficua al fine di raggiugere il comune obiettivo della transizione verso sistemi di produzione energetica compatibili con l’ambiente. L’Europa sta sviluppando anche accordi con i Paesi Africani per facilitare l’attrazione e l’espansione degli investimenti integrando gli impegni in materia di ambiente e diritti del lavoro.

 

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25 Febbraio 2023

LO STATUTO DEI CONTRIBUENTI: REGOLE RIMASTE SULLA CARTA di ALESSANDRA DI GIOVAMBATTISTA

Alessandra Di Giovambattista

LO STATUTO DEI CONTRIBUENTI: REGOLE RIMASTE SULLA CARTA

 10-03-2023

La legge n. 212 del 27 luglio 2000 ha introdotto lo statuto dei diritti del contribuente con il quale si è voluto dare attuazione agli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione al fine di garantire i principi di democraticità e trasparenza su cui dovrebbero basarsi i rapporti tra il Fisco ed i cittadini contribuenti. In via generale si ricorda che i contribuenti possono: contestare nel merito le richieste del Fisco che si considerano errate proponendo un’istanza di autotutela presentata entro i termini previsti; utilizzare lo strumento del ravvedimento operoso quando ci si accorge di aver commesso degli errori; evitare le liti fiscali utilizzando gli strumenti a disposizione ossia l’acquiescenza, l’accertamento con adesione, la conciliazione, il reclamo e la mediazione; tutelare la propria posizione giuridica presentando ricorso alle Commissioni Tributarie.

L’articolo 1 della suddetta legge, specifica che le disposizioni contenute nello statuto costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. In via generale si vuol sottolineare che lo statuto, tra le norme più pregnanti, stabilisce che le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo ed in più le norme fiscali non possono prevedere adempimenti in capo ai soggetti prima che siano decorsi sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della nuova normativa.

Nello statuto sono stabiliti i diritti che il contribuente può far valere nei confronti degli uffici finanziari; in particolare l’amministrazione:deve assicurare la conoscenza delle leggi e delle disposizioni amministrative in materia, anche dandone pubblicazione sul proprio sito web; deve garantire che il contribuente conosca gli atti a lui destinati provvedendo a notificarli nel luogo del suo effettivo domicilio; al fine di assicurare chiarezza e trasparenza, deve motivare gli atti di accertamento o di liquidazione dei tributi - indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione - che vengono inviati ai contribuenti, corredandoli anche di copia degli eventuali ulteriori atti che vengono richiamati nell’accertamento o nella richiesta di liquidazione dei tributi;deve garantire che i rapporti con il contribuente siano improntati ai principi della collaborazione, della correttezza e della buona fede; la tutela del legittimo affidamento è un principio generale riconosciuto dalla giurisprudenza domestica ed anche da quella comunitaria, con la finalità di tutelare il contribuente che si comporta in buona fede deve consentire al contribuente di poter esercitare il diritto di compensazione che permette di estinguere il proprio debito tributario utilizzando crediti vantati verso il Fisco; garantisce il diritto di interpello su fattispecie concrete e personali del contribuente; in alcuni casi, in particolare quando vi sono obiettive condizioni di incertezza normativa, il contribuente prima di decidere come comportarsi può chiedere un parere all’amministrazione finanziaria la quale può rispondere entro un determinato periodo di tempo, oltre il quale vale il silenzio assenso, nel qual caso l’amministrazione si conforma all’ipotesi di applicazione normativa proposta dal contribuente; deve svolgere gli accessi, le ispezioni e le verifiche fiscali sulla base di esigenze effettive di controllo, al fine di arrecare il minor disagio allo svolgimento delle attività del contribuente. Vengono posti dei limiti alla permanenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria presso la sede del soggetto sottoposto a verifica fiscale la quale deve essere svolta durante l’orario ordinario di esercizio dell’attività. Per garantire poi il principio della cooperazione tra amministrazione finanziaria e contribuenti, al termine della verifica fiscale viene redatto il processo verbale di chiusura delle operazioni e di esso viene data copia al contribuente per consentirgli di comunicare osservazioni e richieste che saranno sottoposte al vaglio degli uffici finanziari;ha istituito il Garante del contribuente, un organo autonomo ed indipendente a cui è affidato il compito di vigilare ed assicurare l’attuazione sostanziale delle regole e dei principi contenuti nello Statuto dei diritti del contribuente al fine di tutelarlo e difenderne i diritti. Esso ha sede presso ogni direzione regionale dell’Agenzia delle entrate e viene interessato direttamente dai contribuenti che lamentino disfunzioni, irregolarità, scorrettezze o anomalie nello svolgimento degli atti amministrativi; in tali casi chiede chiarimenti agli uffici competenti e può anche inviare raccomandazioni ai dirigenti degli uffici finanziari per tutelare i contribuenti e per migliorare il servizio tributario, può inoltre vigilare sul corretto svolgimento delle verifiche fiscali. Il Garante in ragione delle segnalazioni ricevute e delle attività svolte presenta una relazione semestrale al Ministro dell’Economia e delle finanze.

Questi in generale gli obiettivi ed i contenuti dello Statuto dei contribuenti; però a ben vedere finora lo statuto è stato spesso disatteso introducendo specifiche deroghe nelle varie leggi di natura fiscale che si sono succedute nel tempo. Purtroppo ciò rende ancora più distante e critico l’approccio del cittadino nei confronti degli uffici finanziari, percepiti sempre più come espressione di luoghi di ricerca affannosa di risorse finanziarie a discapito del contribuente che spesso si vede soggiogato da normative sempre più complicate e farraginose. Infatti a circa venti anni dall’introduzione dello Statuto la sua portata innovativa non è stata di fatto calata nella realtà legislativa al fine di provare a riportare il rapporto tra Fisco e contribuenti in condizioni di effettiva parità. La legislazione tributaria è ormai pensata, ma forse lo è stata sempre, per recuperare gettito e risorse finanziarie, trascurando i diritti sanciti dallo Statuto, e in questo modo il contribuente si sente sempre più vessato ed avulso da un sistema che lo rende suddito e non cittadino.

Le amministrazioni pubbliche sembrano non ascoltare le effettive esigenze e soprattutto non è assolutamente chiaro e trasparente il rapporto tra risorse introitate dall’Erario e servizi ricevuti dai contribuenti; anzi spesso chi più contribuisce meno riceve e purtroppo in un Paese con forte evasione ed elusione fiscale il rapporto tra capacità contributiva ed effettivo livello di ricchezza del soggetto si perde, creando disparità e frizioni sociali peraltro alimentate da coloro che desiderano comunque rimanere in quella zona grigia in cui sembra che i controlli del fisco non riescano ad arrivare. Sempre più forte è il malcontento da parte dei contribuenti che hanno perso la fiducia nello Stato che continua a legiferare in modo confuso e caotico, con mille sovrapposizioni di leggi e decreti che modificano convulsamente ogni istituto fiscale e non riescono a premiare chi costantemente fa il proprio dovere.

Anzi le innumerevoli rottamazioni ed i vari strumenti di deflazione del contenzioso (veri e propri condoni celati da affermazioni finanziarie inverosimili per le quali quando incassi denaro dal condono hai un maggior gettito…. Senza però dire quanto in realtà è la differenza tra quanto avresti dovuto incassare e quanto realmente incassi per effetto della pace fiscale: in termini finanziari in realtà si ha una perdita netta secca) agevolano coloro che per i motivi più disparati non pagano il dovuto: oggi il riscosso da attività di accertamento è pari a circa l’8%.... Ciò vuol dire che di 100 euro accertati il fisco incassa solo 8 euro. Mi domando che tipo di atteggiamento dovrebbe avere il contribuente, spesso lavoratore dipendente, che paga fino all’ultimo centesimo e che magari ha un livello di ISEE che non gli dà diritto a nessuna prestazione sociale, laddove l’evasore non solo gode dei benefici assistenziali, perché ha un livello di ISEE bassissimo, ma usufruisce anche di sconti e condoni?

Ovviamente tutto ciò è permesso specialmente dalla fumosa legislazione fiscale che permette sempre una scappatoia a chi può pagare i migliori tributaristi. L’ordinamento fiscale è tutt’altro che semplice e lineare, essendo composto da numerose leggi, decreti legislativi, decreti legge e decreti del presidente della repubblica, affiancato da circolari ministeriali che dovrebbero aiutare a comprendere la portata normativa; ma spesso non è così, per cui oggi sui siti degli uffici finanziari - spesso non aggiornati - ci sono anche le FAQ (cioè le domande più frequenti che i contribuenti presentano al fisco e che dimostrano chiaramente la misura del caos applicativo). Di fatto manca un testo che racchiuda tutte le norme di natura fiscale, alla stregua del Codice civile o del Codice penale: sarebbe cosa buona e giusta esporre con chiarezza i principi che informano il sistema tributario, e qui intendo ricordare che la semplicità e la chiarezza della norma rappresentano delle caratteristiche fondamentali, per la scienza delle finanze, che le disposizioni fiscali dovrebbero avere per garantire l’effettiva compliance tra erario e contribuenti.  

Infatti, lo Statuto del contribuente prevede che le leggi e gli altri atti aventi forza di legge che contengono disposizioni tributarie devono menzionare l’oggetto nel titolo, in modo da agevolarne l’identificazione, e che i richiami di altre disposizioni in materia tributaria devono indicare anche il contenuto sintetico della norma alla quale si intende fare rinvio. Ad oggi tutto ciò risulta una pia illusione. Basti pensare, ad esempio, che alcune volte per trovare la scadenza effettiva di una disposizione non è sufficiente basarsi sulla norma principale ma occorre andare a scorrere tutte le modificazione che si sono succedute nel tempo per tentare di capire l’effettiva scadenza; tacendo poi la frequente situazione che si verifica con l’emanazione dei decreti legge in cui dal testo originario a quello effettivo si incorre in periodi transitori di applicazione di disposizioni fiscali valide per sole poche settimane.

Concludo dicendo che l’ignoranza, creata ad arte, e l’atteggiamento di far sentire incapace il contribuente, ripaga sempre una classe politica ed amministrativa sempre meno professionale e sempre più interessata ai propri stretti e personali interessi che però tutti noi paghiamo, profumatamente, ogni giorno.

 

 

 

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10 Marzo 2023

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