LE CURE PALLIATIVE COME POSSIBILE ALTERNATIVA ALL’EUTANASIA
di Alessandra Di Giovambattista

Il suicidio assistito come tecnica utilizzata per procurare anticipatamente la morte di un malato che non ha possibilità di guarigione, e che pertanto si trova di fronte ad una patologia irreversibile, non è regolamentato nello Stato italiano. Ad oggi non esiste una legge nazionale bensì solo una sentenza della Corte Costituzionale (la n. 242 del 2019) che ha dichiarato non punibile colui che agevola la richiesta di suicidio assistito, ma solo nel caso ricorrano quattro condizioni: che il soggetto sia capace di formulare in modo consapevole, autonomo e libero il proposito di suicidarsi, che il malato sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e sia affetto da patologia irreversibile, che tale stato sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che il malato reputa intollerabili, e che le modalità di esecuzione siano verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale (SSN), previo parere del Comitato etico territorialmente competente.
Occorre sottolineare che, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale, il SSN così come i Comitati etici territoriali spesso non sono in grado di fornire risposte immediate alle richieste di morte volontaria assistita ed impiegano mesi prima di verificare la presenza delle quattro condizioni. Per tali motivi alcune regioni hanno ritenuto che, in presenza della citata sentenza e vista la difficoltà di operatività nazionale, la disciplina possa passare alla competenza della normativa regionale; così sono 12 le Regioni che hanno iniziato l’iter di leggi regionali ad iniziativa popolare che predispongano la richiesta di suicidio assistito e garantiscano tempi adeguati affinché i controlli necessari vengano svolti dai soggetti competenti.
Secondo l’Associazione “Luca Coscioni”, che porta avanti la battaglia per il diritto al suicidio assistito, nel 2023 sono state tre le persone che hanno avuto accesso alla pratica della morte volontaria assistita nelle regioni Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Toscana. Invece altri tre malati si sono recati in Svizzera per la pratica dell’eutanasia. E’ di questi giorni, tuttavia, la notizia che in Veneto la legge sul fine vita, spaccando il voto dei rappresentanti di centro destra contrari alla norma, non sia stata approvata mancando il quorum della maggioranza assoluta.
Questa in sintesi la situazione in Italia; si potrebbe dire una situazione di stallo che dovrebbe per conseguenza, predisporre ad un’apertura e ad un incentivo verso l’organizzazione ed il finanziamento di forme di cure palliative che si potrebbero porre come valido sostituto alle pratiche dell’eutanasia. Queste ultime presentano sicuramente un impatto psicologico, etico e medico molto dirompente e sicuramente difficile da accettare da parte dei diversi attori coinvolti in questa pratica estrema, primo fra tutti il malato.
Vediamo nello specifico: in Italia il diritto fondamentale alla tutela della salute è garantito dall’articolo 32 della Carta Costituzionale. La legge n. 38 del 2010, sulla scia di tale norma e delle sollecitazioni formulate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha sottolineato il diritto ad accedere alle cure palliative ed alla terapia del dolore, modalità di cura spesso fornite da Enti del terzo settore e da varie realtà associative, che hanno come obiettivi sia il sollievo dal dolore sia di evitare nella maniera più efficace, inutili sofferenze. In tale legge le cure palliative non sono associate al momento prossimo alla fine della vita, ma sono concepite prima di tutto come cure iniziali di malattie inguaribili con evoluzione infausta al fine di accompagnare sin da subito il paziente, anche pediatrico, ed i propri familiari in un percorso di terapia, affiancata a quella più strettamente medica e specialistica. Questo percorso dovrebbe consentire di affrontare in modo più sereno e condiviso il decorso della patologia, anche in coerenza con lo sviluppo della ricerca scientifica e la crescente disponibilità di farmaci che siano in grado di permettere un prolungamento dell’aspettativa di vita in condizioni umane dignitose. Le cure palliative sono da intendersi nell’accezione più ampia del termine dove, pur nella consapevolezza che molte situazioni croniche non possono essere guarite, si cerca di lenirle e curarle non solo negli ultimi momenti di vita, ma anche durante percorsi di durata pluriennale.
In tale ambito la carta europea dei diritti del malato del 2002 così recita: ”Ogni individuo ha il diritto di evitare quanta più sofferenza possibile in ogni fase della sua malattia. I servizi sanitari devono impegnarsi ad assumere tutte le misure utili a questo fine, fornendo ad esempio cure palliative e semplificando l’accesso dei pazienti ad esse”.
Ma quando sono nate le cure palliative e in cosa consistono? Si deve all’infermiera e medico Dott.ssa Cicely Saunders, di origine inglese, la nascita delle moderne cure palliative portate avanti dal movimento “hospice”. Fu promotrice di un metodo innovativo con il quale dimostrò che c’è sempre qualcosa che si può fare per alleviare il dolore del malato, a prescindere dalla speranza di vita, rispettando dignità e decoro, ma soprattutto sottolineando che fare del bene può cambiare la vita non solo di chi riceve ma anche di chi dona.
In particolare il movimento “hospice”, che ha origine nel XIX secolo a Lione (in Francia) dove per la prima volta viene utilizzato il termine Hospice, si prende cura dell’assistenza dei malati in fase terminale. Il principio su cui si basa questo movimento è quello che la persona anche se gravemente malata ed inguaribile, può comunque essere curata, cioè le possono essere somministrate delle cure che vanno aldilà delle terapie mediche fino ad arrivare ai supporti psicologici, etici e sanitari a favore del malato, dei familiari e degli amici. La Saunders fondò nel 1967 il St. Christopher hospice dopo circa venti anni di ricerche e studi; è non solo un luogo di accoglienza e assistenza ma è anche un luogo in cui la cura si connette con l’esperienza della ricerca e dell’insegnamento. Da qui parte il moderno modello di hospice che si diffonderà in Europa ed in diversi altri paesi del mondo.
In Italia le cure palliative hanno fatto il loro ingresso intorno al 1980, grazie alla spinta del Dott. Vittorio Ventafridda (fondatore della Società italiana di cure palliative) e della Fondazione Floriani (di cui il Dott. Ventafridda fu direttore scientifico); da quel momento si sono sviluppate nel nostro paese soprattutto organizzazioni non-profit che hanno provveduto, con la loro attività a colmare le lacune del servizio sanitario ospedaliero in questo ambito. Solo nel 1999 le cure palliative sonno state riconosciute ufficialmente ed inserite tra gli obiettivi del nostro SSN e da allora la crescita degli hospice è stata esponenziale. Da sottolineare che con la legge n. 12 del 2001 si è agevolata la prescrizione di farmaci oppiacei per il trattamento del dolore severo utilizzati per la terapia del dolore. Ma è grazie alla citata legge n. 38 del 2010 che si sono definite le cure palliative e la terapia del dolore come un diritto inviolabile di ogni cittadino, ampliando la tipologie di patologie su cui intervenire – non solo quelle oncologiche – e riferendosi a tutte le malattie ad andamento cronico evolutivo per le quali non vi è possibilità di guarigione.
Ma il profondo significato delle cure palliative lo si può ritrovare in un interessante passaggio dell’intervista rilasciata dal dott. Ventafridda prima della sua scomparsa nel 2008 dove riassume il senso della medicina palliativa e il suo netto contrasto all’eutanasia. “Le cure palliative guardano alla qualità della vita residua, non alla sua soppressione. Noi come medici abbiamo il dovere di capire le cause di questa richiesta e di cercare di risolverle. Il malato che chiede di essere aiutato a porre fine alla propria esistenza, nella maggior parte dei casi, è in preda al dolore, non ha supporto psicologico e spirituale, si sente di peso. Vive un’ esperienza umana disperata e insostenibile. Il lavoro di questi anni come medici palliativisti ci ha insegnato che quando si elimina la sofferenza fisica utilizzando in modo appropriato la morfina, si garantisce un’ assistenza infermieristica adeguata, si riempie il vuoto di comunicazione che si crea intorno a questi malati (la morte oggi è un tabù), la richiesta eutanasica scompare o si attenua”.
Ed è allora in questo senso le cure palliative sostengono la vita, e guardano alla morte come ad un processo naturale e non la anticipano o la pospongono ma piuttosto aiutano ad affrontare l’evento attraverso un approccio curativo sinergico. Meglio, attraverso un approccio olistico nella cura del malato dove sono coinvolti familiari e persone care nel momento più delicato dell’esistenza, quello in cui si prende coscienza che la vita sta sfuggendo via.
Volendo poi dare un’impronta statistica a questa breve riflessione si sottolinea che - secondo l’indagine “I numeri della long-term care” condotta nel 2022 da Italia Longeva, Associazione nazionale per l’Invecchiamento e la longevità attiva - solo una persona su tre, malata di tumore, ha ricevuto assistenza con cure palliative; tuttavia l’offerta di cure palliative a domicilio ed in hospice ha continuato ad aumentare seppur con notevoli differenze tra sud e nord del Paese. Nel Veneto sono stati circa il 57% i pazienti che hanno ricevuto cure palliative, nell’Emilia Romagna la percentuale è stata del 53%, in Toscana del 50%, in Lombardia del 49% e a Bolzano del 47%; per contro in Calabria hanno avuto accesso a tali cure solo il 12% dei malati, in Campania il 16% e nel Lazio il 17%.
Un ulteriore aspetto - evidenziato invece nella ricerca condotta da IPSOS e dall’associazione VIDAS dal titolo “Conoscenza, percezioni, opinioni sulle cure palliative in Italia” pubblicata ad ottobre 2023 - è dato dal fatto che il 57% circa degli intervistati non sa assolutamente se questo tipo di terapie sono somministrate sul proprio territorio di residenza, mentre il 60% è però a conoscenza del fatto che tali terapie possano essere erogate sia a domicilio, sia in ospedale sia in hospice. Per la maggioranza degli intervistati il luogo di cura prescelto in questi casi è la propria casa, anche se nel 20% dei casi questo desiderio non è possibile da soddisfare.
Dal punto di vista della formazione di personale specializzato si sottolinea che, a decorrere dall’anno accademico 2021-2022, nelle università italiane è stata istituita la scuola di specializzazione in “Medicina e cure palliative” ed il corso di cure palliative pediatriche nell’ambito dei corsi obbligatori delle scuole di specializzazione in pediatria. In tal modo si è quindi riconosciuta la specificità delle conoscenze e delle abilità mediche dei professionisti che intraprendono il percorso delle cure palliative; alla disciplina possono accedere gli specialisti in ematologia, geriatria, malattie infettive e tropicali, medicina interna, neurologia, oncologia, pediatria, radioterapia, anestesiologia, rianimazione e terapia intensiva, terapia intensiva e del dolore, medicina di comunità e delle cure primarie.