LA CRISI DEI MUTUI SUBPRIME DEL 2007: APPROFONDIMENTI

di Alessandra Di Giovambattista

 

Una delle più recenti crisi in ambito finanziario si è avuta verso la fine del 2007, è dilagata rapidamente nel 2008 partendo dagli Stati Uniti e coinvolgendo diversi altri Paesi tra cui anche quelli europei, ed è meglio conosciuta come crisi dei mutui subprime. Nello specifico il fenomeno riguarda mutui e prestiti concessi a soggetti che non presentano le dovute garanzie per ottenere un affidamento bancario e quindi sono definiti debitori ad “alto rischio” di insolvenza. Il termine subprime deriva dal fatto che tali tipi di prestiti sono considerati di qualità non primaria in quanto il loro grado di recupero è considerato nettamente inferiore (sub) rispetto ai prestiti ed ai mutui concessi a soggetti con garanzie creditizie sufficienti per essere dichiarati affidabili (prime).

La causa principale della crisi in esame fu dovuta al crollo del mercato immobiliare innescato dalla politica monetaria espansiva che la banca centrale Statunitense, la Federal Reserve, aveva deciso di intraprendere per contrastare gli effetti della precedente crisi del 2001. In quell’anno gli Stati Uniti avevano subito l’attacco dell’11 settembre (di cui tutti ricordiamo le atroci immagini) e si era innescata la crisi dovuta alla bolla internet. Quest’ultima in particolare fu la risultante di un’euforia generalizzata derivante dal progredire veloce delle aziende del comparto informatico, chiamate Dot-com companies. Questa circostanza incrementò le aspettative di crescita e di futuri aumenti del valore dei titoli delle aziende del comparto internet; tuttavia tali aspettative furono del tutto disattese nonostante un iniziale aumento dei valori di borsa dei titoli delle aziende informatiche. Si assistette così al crollo dei mercati azionari che provocò lo scoppio della bolla speculativa producendo perdite tra gli investitori soprattutto nel comparto tecnologico.

Quindi in ragione di questa politica espansiva, nel periodo che va dal 2000 al 2006, negli Stati Uniti, si registrò anche una crescita continua e significativa dei prezzi delle abitazioni; corrispondentemente il diminuire del tasso di interesse, dovuto all’incremento di liquidità, permise l’erogazione di mutui anche a soggetti che come abbiamo detto presentavano un profilo di rischio elevato. Per la concessione di mutui o prestiti le banche non procedevano più con la fase istruttoria con la quale si verifica se il cliente è in grado di restituire il prestito, se cioè possiede uno stipendio o un reddito capaci di coprire il debito contratto.

In più l’aumento della domanda di mutui ipotecari si riflesse ulteriormente sul costo degli immobili che videro un conseguente incremento dei valori e quindi un successivo ampliamento della sovrastima dei prezzi delle abitazioni (c.d. bolla immobiliare) non dovuto ovviamente a situazioni oggettive di mercato. D’altronde le banche, che concedevano prestiti con tale grado di rischio (non andando a valutare in modo adeguato la capacità di rimborso del prestito), in caso di mancata restituzione del debito potevano contare sul pignoramento dell’immobile e conseguente vendita sul mercato, anche perché i prezzi delle abitazioni in quegli anni erano in costante crescita; in poche parole l’immobile per le banche rappresentava comunque un investimento sicuro.

Inoltre lo sviluppo del fenomeno della concessione dei mutui subprime fu rafforzato dalle operazioni di cartolarizzazione; queste ultime, definite come finanza creativa, si concretizzarono nella possibilità, per gli istituti di credito, di poter trasformare il credito vantato nei confronti dei soggetti in un titolo negoziabile sul mercato, ed in particolare la vendita avveniva a favore delle cosiddette società “veicolo”. In tal modo a fronte dei possibili recuperi nel lungo termine (in genere dai 10 ai 30 anni essendo questa la durata dei mutui) le banche preferivano vendere i propri crediti sotto forma di titoli con lo scopo di recuperare immediatamente la liquidità, concedere altri prestiti e trasferire in parte il rischio di insolvenza. In termini più tecnici questo ha significato per le banche poter sfruttare quello che viene definito l’effetto leva finanziaria (leverage) che si crea quando, disponendo di ingenti quantità di liquidità, si possono concedere prestiti anche a soggetti ad elevato rischio di insolvenza. Inoltre i mutui andarono ben oltre il limite permesso, che è rappresentato dal rapporto con il capitale proprio (uno degli indicatori che le banche devono rispettare proprio per evitare fallimenti), secondo determinati valori di sicurezza. Questa strategia molto pericolosa porta immediati profitti, anche molto elevati, ma per contro presenta un altrettanto elevato rischio di perdite di capitale.

Tornando al periodo precedente al 2006 il fatto di recuperare velocemente liquidità incentivò nuovamente gli istituti di credito a concedere ulteriori finanziamenti a fasce di soggetti sempre meno affidabili, mentre nel contempo, le società veicolo si finanziavano vendendo sul mercato titoli a breve termine acquistati maggiormente da piccoli e medi investitori statunitensi ed europei. Fu poi questa in breve sintesi la modalità con cui la crisi si estese in tutta l’Europa ed anche oltre: le banche statunitensi potevano concedere prestiti a chiunque, senza una accurata valutazione del rischio creditizio, in quanto potevano confidare sulla cartolarizzazione del debito che consentiva loro di recuperare immediatamente liquidità e trasferire il rischio di insolvenza sulle società veicolo che a loro volta vendevano titoli agli investitori di tutto il mondo.

Esplose così nel 2007 la bolla del mercato immobiliare statunitense provocando grandi perdite per privati, aziende, istituti di credito; cosa era accaduto? I prezzi degli immobili iniziarono a diminuire, in quanto erano stati artificiosamente gonfiati, e quindi il loro valore rischiava di non coprire l’ammontare di mutuo concesso; così per bilanciare le perdite sulla linea capitale le banche iniziarono ad aumentare i tassi di interesse. Ciò portò come conseguenza l’impossibilità per molti debitori di poter pagare le rate di mutuo (basate su interessi variabili); a fronte di ciò gli immobili furono ripresi dalle banche per la vendita sul mercato ma i prezzi in calo non permettevano loro una rivendita veloce e soprattutto redditizia. Così gli istituti di credito smisero di concedere mutui, il mercato immobiliare si bloccò e ciò contribuì a far diminuire ancora di più i prezzi delle case. Ormai il panico aveva travolto il mercato immobiliare ed il sistema finanziario statunitense; il caso più significativo fu il fallimento del colosso della finanza: la società Lehman Brothers. Fu uno dei più eclatanti casi di bancarotta che investì la storia degli Stati Uniti e travolse l’intero mondo finanziario, innescando un effetto domino governato dal panico; il crollo del mercato immobiliare e di numerosi titoli quotati in borsa fu la risultante di una bolla di speculazione che aveva gonfiato per anni i mercati immobiliare e finanziario. Le banche smisero di concedere prestiti e le aziende di molti Paesi si vedevano negato il denaro anche per le attività produttive ordinarie; ciò comportò chiusure di aziende, fallimenti ed incremento della disoccupazione.

Questa crisi così traumatica per molte economie, perché non tutte furono travolte nello stesso modo dagli eventi, ha indotto il mondo bancario a sottoscrivere gli accordi di Basilea 3 con i quali sono state dettate regole di condotta più stringenti per gli operatori finanziari.

Fatto sta che la politica di azzardo morale (in inglese moral hazard che in poche parole implica che per azioni molto rischiose il vantaggio sarà esclusivamente di coloro che le hanno realizzate, mentre in caso di problemi saranno altri a sopportarne le conseguenze negative) attuata dagli istituti finanziari statunitensi, i quali peraltro non sono stati adeguatamente controllati dagli organi preposti (come ad esempio le agenzie di valutazione dei rischi c.d. agenzie di rating), di fatto si è tradotta in un’ondata che ha sconvolto intere economie nonché famiglie e piccole e medie aziende di tutto il mondo. L’architettura è collassata a causa di una politica ed un atteggiamento irresponsabile e superficiale da parte degli operatori; infatti la spirale che si è autoalimentata a partire dalla grande quantità di liquidità ha portato ad un’esplosione dei prezzi degli immobili non supportata da valori oggettivi e presupposti reali che però nessuno ha denunciato o anche solo evidenziato. In più la finanza ha trovato il modo di moltiplicare e di inquinare i mercati di tutti i Paesi attraverso la cartolarizzazione dei debiti contratti, contribuendo così a proliferare e ad allargare il grado di rischio di perdite che poi di fatto si sono verificate anche perché il mercato finanziario non era supportato dal mercato reale. In più le agenzie di rating, cioè quelle deputate a verificare la solidità e la sicurezza delle obbligazione immesse sul mercato, contribuirono non poco ad infettare tutto il mercato in quanto considerarono sicure le obbligazioni emesse per effetto del gioco delle cartolarizzazioni che a sua volta si autoalimentò creando anche ulteriori livelli di cartolarizzazione. Anche le banche investirono in questi strumenti finanziari vacui che vennero posti a base delle riserve e considerati come una salvaguardia dei depositi bancari.

L’analisi a posteriori vede come attori e responsabili gli istituti finanziari, le agenzie di rating, i finanzieri creatori della finanza innovativa, la politica fortemente espansiva della banca statunitense centrale (la FED) che portò a livelli molto bassi i tassi di interesse, e non ultimo il potente strumento dell’informazione di massa che spinse gli investitori, poco attenti e preparati, a scommettere su strumenti innovativi e che promettevano lauti guadagni. Alla fine il risultato fu che il valore effettivo degli immobili era decisamente molto più ridotto del valore per il quale si era concesso il mutuo, i tassi di interesse che poi iniziarono a crescere divennero insostenibili per i proprietari che avevano contratto debiti e che non avevano solide fonti di reddito, le banche si trovarono a svendere immobili finiti sul mercato delle aste e a non avere più liquidità per il mercato reale, produttivo che collassò anch’esso dopo breve tempo provocando un forte aumento del tasso di disoccupazione e un crollo del livello dei redditi. E’ facile intuire quali furono le vittime, che ancora oggi ne pagano le conseguenze, mentre rimane un dubbio su coloro che si sono arricchiti da questa crisi….Forse viene subito in mente una considerazione: si potrebbe essere arricchito tutto il sottobosco dell’economia malavitosa che potendo contare su un altissimo grado di liquidità ha potuto acquistare patrimoni immobiliari a prezzi davvero stracciati, e acquisire la proprietà di aziende ormai costrette quasi al collasso? E’ d’obbligo una profonda riflessione.

 





UNA BREVE INTRODUZIONE DELLA TECNOLOGIA BLOCKCHAIN

di Alessandra Di Giovambattista

 

Oggi si sente spesso parlare di tecnologia “Blockchain” la cui traduzione letterale significa catena di blocchi; è un concetto applicato al mondo informatico partendo dall’invenzione del libro mastro (che si deve all’italiano Fra Luca Pacioli – uno dei primi economisti del Rinascimento – sulla cui base si sviluppò la c.d. contabilità in partita doppia) dove si registrano e quindi si tracciano, essenzialmente, entrate ed uscite di valuta e più in generale miriadi di dati.

Da questa impostazione di tracciamento delle transazioni nel 1991 si provò a creare qualcosa di analogo alla blockchain che fu utilizzata per timbrare temporalmente dei documenti digitali al fine di evitare che potesse esserne alterata la data di formazione (una sorta di attestazione alternativa alla data certa notarile).

È nel 2009, partendo dalle intuizioni di Satoshi Nakamoto, uno pseudonimo utilizzato dall’inventore della prima criptovaluta (valore la cui movimentazione e gestione si basa sulla crittografia, contenuta appunto nella blockchain) conosciuta come “Bitcoin” - di cui ancora non si conosce la vera identità - che la blockchain ha iniziato la sua ascesa (nel caso del Bitcoin vi è una rete di persone che non si conoscono, che possono generare moneta e farla circolare in mancanza di un’autorità che ne convalidi le movimentazioni; infatti gli scambi iscritti nel “libro mastro” della blockchain vengono aggiornati costantemente dagli utenti sparsi nel mondo). Per le transazioni di questi strumenti finanziari criptati è necessario tenere un registro di carico e scarico che consenta di tracciare entrate ed uscite di valore così come avviene per ogni scambio. E proprio questo tracciamento effettuato e controllato da migliaia di utenti che rende sicuro lo strumento insieme alla tecnica matematica degli algoritmi definita “hashing”. La funzione di hashing produce una stringa di lunghezza fissa per determinare un’impronta digitale che caratterizza la banca dati o comunque ogni singola transazione che si vuole inserire nella blockchain; bisogna considerare che la funzione produce un valore unico e caratteristico e che non è invertibile nel senso che, se è facile calcolare l’hash di un dato. è molto difficile, quasi impossibile, risalire ai dati originali che lo hanno generato. Se ciò dovesse accadere significa che l’algoritmo di hashing è vulnerabile, viene dichiarato insicuro e viene eliminato. Queste funzioni di hash sono il contenuto di ogni maglia della catena della blockchain e ne determinano quindi il grado di sicurezza in quanto con un procedimento di confronto tra l’hash originario e quello ricalcolato dopo degli inserimenti o delle modifiche aggiuntive di dati è possibile determinare l’integrità del dato o la sua eventuale manomissione.

La blockchain, nello specifico, nasce in risposta alla crisi finanziaria del 2008 dove pochi attori (che peraltro si sono arricchiti) hanno gestito tutto il sistema finanziario che, con il suo crollo, ha colpito e danneggiato nazioni e migliaia di operatori economici (soprattutto aziende e piccoli investitori). Quindi la blockchain nasce a tutela e protezione di tutti gli utenti, piccoli operatori compresi, e cerca di contrastare il dominio di sistemi non trasparenti gestiti da pochi potenti soggetti al fine di restituire alle persone uno strumento digitale sicuro e disintermediato con la finalità dell’autocontrollo da parte della rete.

Ma è nel 2016 che la stampa inizia a parlare in modo pressante di blockchain e della possibilità che questa possa rivoluzionare il digitale; si assiste ad una crescita esponenziale di progetti con tecnologia blockchain la cui maggioranza, però è fallita a causa di molti ostacoli normativi e difficoltà nello sviluppo dei progetti.

Poi nel 2020, nel periodo post Covid, i Governi accelerano le sperimentazioni per far emettere delle monete digitali dalle Banche centrali (Central Banks Digital Currencies - CBDC) mentre la Commissione dell’Unione Europea (UE) lavora per un regolamento delle criptovalute e più in generale delle cripto attività (crypto asset).

Nel 2021 si assiste ad un incremento della finanza decentralizzata (decentralizzata rispetto ai centri di controllo individuati nelle banche centrali) mentre le cripto attività guadagnano terreno grazie al potenziamento di alcuni innovativi prodotti, come gli NFT (non fungible token, cioè certificati che attestano la proprietà e l’autenticità di un oggetto digitale o meglio di un file).

Il 16 maggio 2023 il Consiglio europeo ha approvato il regolamento MICA (markets in crypto assets regulation – regolamento del mercato in cripto attività) a suo tempo presentato alla Commissione europea per la disciplina del mercato delle cripto attività, e riguarda criptovalute ed altri patrimoni che non sono riconducibili agli strumenti finanziari tipici.

Sempre più utilizzata in vari contesti la blockchain si presenta come una rete informatica di nodi che permette di gestire ed aggiornare in modo sicuro ed univoco il registro di dati ed informazioni. Ogni blocco è legato al precedente mediante anelli di una catena che sono criptati (hash) per evitare possibili intrusioni esterne malevole. Il sistema dispone di modalità integrate che impediscono l’inserimento di scambi non autorizzati e permettono a tutti gli utenti di visualizzare e condividere le transazioni effettuate così da creare un controllo attraverso la rete. Questa tipologia di monitoraggio permette a moltissimi soggetti utilizzatori di verificare i dati e l’alterazione di essi diviene difficile in quanto il controllo viene svolto in modo capillare da ogni fruitore; in tal modo si fraziona il rischio derivante da possibili alterazioni fino ad annullarlo quasi del tutto. Per poter accedere sono necessarie delle autorizzazioni specifiche ed i dati e le informazioni contenuti nel registro blockchain sono aperti, e condivisi, possono essere aggiornati, senza la necessità di un’entità centrale di verifica; ciò è possibile perché non si può modificare la catena senza il consenso della rete e grazie alle modalità di sicurezza offerte dagli hash.

Le applicazioni finora studiate ed implementate hanno permesso di fare a meno di banche, notai, istituzioni finanziarie, creando dei processi abbastanza sicuri. I vari settori in cui è stata utilizzata tale tecnologia sono:

  • il settore energetico, dove la blockchain viene usata per semplificare l’accesso all’energia rinnovabile o per le piattaforme di commercio energetico da punto a punto (in inglese: peer-to-peer) dove gli scambi avvengono tra computer o dispositivi collegati in una posizione tra loro paritaria, senza cioè la presenza di una server centrale (cioè un computer che gestisce elabora e distribuisce i files di un sito), e che possono cambiare la propria operatività a seconda delle necessità ed utilità (cioè ad esempio passare da fornitori a clienti e viceversa). Un esempio si ha con la vendita di elettricità tra privati quando si hanno le comunità energetiche in cui un soggetto che è proprietario di pannelli solari, può vendere energia in eccesso ai propri vicini¸ il tutto viene gestito attraverso contatori di ultima generazione (smart) che creano transazioni gestite e registrate dalla blockchain.

  • La finanza; in tale contesto la blockchain permette di gestire pagamenti online, conti e attività di compra-vendita di strumenti finanziari come obbligazioni, azioni, valute e materie prime con lo scopo di ottenere profitti dalla variazione nel tempo dei prezzi (il c.d. trading sui mercati finanziari). Ne è un esempio la Singapore exchange limited, società di investimenti che utilizza tale tecnologia per la tenuta di conti interbancari che servono a modulare le migliaia di transazioni finanziarie sul mercato del trading tra gli operatori di tutto il continente asiatico.

  • Il settore dei media e dell’intrattenimento; la blockchain trova qui un valido terreno per il controllo e la gestione del pagamento dei diritti di autore (copyright) a favore degli artisti. Infatti il controllo dell’utilizzo del contenuto delle opere assoggettate al diritto di autore sarebbe attività davvero difficile vista la numerosità dei passaggi e degli scambi di opere soggette a copyright e in tale contesto la tecnologia viene in aiuto per il controllo degli usi, per la gestione delle transazioni e dei pagamenti.

  • Vendita al dettaglio; utilizzata soprattutto per il tracciamento dei movimenti delle merci tra clienti e fornitori; promotore è Amazon retail che utilizza la blockchain per verificare e garantire che tutti i prodotti venduti sulla piattaforma siano originali.

In Italia l’Osservatorio blockchain & Web3 del Politecnico di Milano ha come obiettivo quello di divulgare e far conoscere i temi che riguardano questa tecnologia, cercando di spiegare in modo semplice ed immediato contenuti e funzionamento, mettendone a fuoco opportunità e benefici, nonché punti di debolezza.

In particolare in tema di debolezza del sistema, bisogna sottolineare che la sicurezza della blockchain non è assoluta, e ciò per diverse ragioni. Ci sono stati, ad esempio, casi in cui alcuni progetti o prodotti che utilizzavano la blockchain sono stati compromessi attraverso manomissioni esterne. In particolare non è sufficiente che la sicurezza sia affidata ad un algoritmo matematico o ad un software, anche qualora fosse il più perfezionato o sofisticato, perché la situazione effettivamente da contrastare risiede nell’escludere che un gruppo più o meno ristretto di soggetti possa coordinarsi e decidere, all’interno della catena informatica e con obiettivi malevoli, quale sia la transazione valida e quale non la sia con possibile pregiudizio sulla sicurezza e a danno degli operatori. Un caso che può far riflettere in tale ambito accadde alla piattaforma Ethereum (piattaforma basata sulla blockchainper gestire denaro e per creare nuove applicazioni) che a seguito dello scandalo “the D.A.O.” (acronimo di organizzazione autonoma decentralizzata e nome di una start up che gestiva un fondo d’investimento in criptovaluta - definita Ether - e operava con un contratto smart sulla piattaforma Ethereum) decise di retrocedere nella catena per eliminare delle transazioni illecite, frutto di truffe che fecero perdere circa 60 milioni di dollari (corrispondenti a circa 3,6 milioni di Ether) agli investitori. In quell’occasione la retrocessione era stata dettata dal ripristino della legalità, ma proviamo a riflettere su cosa sarebbe potuto accadere se a capo della retrocessione ci fossero stati soggetti malintenzionati!