QUALCHE DOMANDA SULL’AGRI-VOLTAICO: ASPETTI POSITIVI E CRITICITA’
di Alessandra Di Giovambattista
Parlando di agri-voltaico si è messo a fuoco il duplice aspetto che lega l’attività agricola con la produzione di energia rinnovabile. Gli obiettivi europei, le risorse stanziate, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) varato dal Governo Italiano hanno incentivato l’installazione di moduli fotovoltaici su terreni che rimangono comunque coltivabili o destinati alla pastorizia e all’allevamento in generale. Le caratteristiche che i pannelli devono avere riguardano il loro aspetto innovativo: devono essere posizionati verticalmente rispetto al terreno, possono essere di tipo mobile e ad inseguimento solare e vengono installati secondo altezze e geometrie variabili in modo da consentire la massima cattura dei raggi solari e la possibilità di lavorare il terreno sottostante con colture agricole o di destinarlo al pascolo degli animali. E tutto questo con la speranza di arrivare in tempo per raggiungere gli obiettivi che ogni Paese si è posto attraverso il Piano nazionale integrato per l’energia ed il clima nell’anno 2030; si ricorda che a quella data l’Italia dovrà essere stata in grado di produrre almeno 32 GW di energia da nuovi impianti fotovoltaici poiché attualmente se ne producono circa 20,9 GW e occorre raggiungere l’obiettivo di 52 GW.Ad occuparsi della gestione di questo innovativo progetto di sviluppo di energia rinnovabile è l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) che creando la prima rete nazionale per l’agri-voltaico sostenibile, ha coinvolto imprese, studiosi, istituzioni, università che hanno presentato progetti alcuni dei quali ancora in corso di esame e verifica tecnico scientifica ed istituzionale. 
Dal punto di vista storico l’idea dell’utilizzo del suolo per produrre energia rinnovabile, e continuare contemporaneamente le attività agricole sul terreno sottostante, risale al 1981 ed è stata elaborata dall’Istituto tedesco Fraunhofer Institute; il primo impianto sperimentale è stato installato in Francia, a Montpellier nel 2010, mentre nel 2016 lo stesso Istituto ha realizzato altri progetti tra cui uno sul lago di Costanza. In Italia sono stati ben tre i primi complessi agri-voltaici installati dalla Rem Tec nel 2011, tutti nella zona della pianura padana. Alivello mondiale i Paesi leader di questa tecnologia sono il Giappone e la Corea del Sud che ne hanno curato anche l’aspetto normativo. 
Tuttavia il concetto di fotovoltaico in agricoltura non si può immediatamente affiancare all’obiettivo dell’ecosostenibilità e questo perché non è sufficiente che al di sotto degli impianti fotovoltaici si coltivi un qualche tipo di pianta per poter dire che si è di fronte ad un progetto agri-voltaico. La realtà è che i risultati dell’installazione vanno verificati in prima battuta con l’impatto paesaggistico, che in Italia riveste un ruolo fondamentale,nonché con opportuni parametri e con un’attività di monitoraggio e di controllo a consuntivo (feed-back) che verifichi la produzione di energia pulita, l’efficienza delle colture in atto e/o dell’attività di allevamento, la loro produttività ed il miglioramento economico delle aziendeagricole, il risparmio idrico (in quanto il pannello funge da impedimento parziale alla evaporizzazione e consente la ricaduta sul suolo della condensa), escludendo, in tal modo,che si stia sfruttando il suolo depauperandolo delle sue ricchezze, che ne garantiscono il suo naturale utilizzo agropastorale, e/o modificandone il microclima. Pertanto una prima attenzione va posta sulla necessità di definire degli indicatori di utilizzo del terreno e di ritorno economico che permettano di comparare costi-benefici e consentano quindi di trarre una valutazione sintetica circa il vantaggio ecologico dell’impianto; ad oggi non sembrano ancora ben definiti tali parametri, ma la destinazione di fondi del PNRR a tali attività fa ben sperare essedo la valutazione a consuntivo un elemento discriminatorio circa l’erogazione degli incentivi. Comunque a vantaggio di tale impostazione gioca anche il fatto che l’impianto fotovoltaico, che per sua natura privilegia l’installazione sui tetti, servirà anche, in via incidentale, a bonificare molte coperture delle strutture produttive esistenti da manufatti in eternit, contenenti amianto, migliorando nel contempo la coibentazione e l’aereazione. 
Altro aspetto riguarda la comparazione tra l’economicità dell’agri-voltaico e quella della pura attività agricola; indubbiamente sostituire le coltivazioni con impianti fotovoltaici è sicuramente più redditizio per l’agricoltore se si pensa che alcune società di produzione di energia rinnovabile propongono un compenso per il diritto di superfice, sotto forma di canone annuo di affitto, che va da 2.000 a 3.500 euro ad ettaro. Ma si è visto che tali utilizzi di fatto depauperano i terreni, ponendo quindi in serio rischio l’attività agricola, attività primaria e non a caso così definita! Quindi gli agricoltori vanno tutelati predisponendo per loro incentivi e ponendo un limite a tali contratti che a parità di condizioni producono un risultato netto verosimilmente negativo in termini di costi sociali e ambientali. Nel senso della tutela dallo sfruttamento irreversibile del terreno va forse letto l’aggravio di tassazione IRPEF che la recente legge di bilancio per il 2024 ha previsto per i contratti a titolo oneroso che prevedono la concessione del diritto di superficie dei terrenida parte delle persone fisiche. Tale aggravio di imposta renderebbe pertanto meno conveniente per il proprietario concedere il diritto di superficie (anche se mi sento di sottolineare che questa misura non sembra colpire le societàma solo le persone fisiche e le società di persone!), ma al contempo renderebbe più oneroso, per i soggetti che producono energia da impianti fotovoltaici, acquisire tali spazi. Tuttavia se tale aggravio si potesse interpretare nel senso di tutelare i terreni e l’attività agricola si potrebbe esprimere un parere concordante anche perché è verosimile ipotizzare che tale misura potrebbe, indirettamente,sostenere ed incentivare l’agri-voltaico, che si ribadisce essere una modalità di produzione di energia che non sfrutta il terreno sottostante, ma anzi lo tutela e per alcune colture lo rende anche più produttivo. Ovviamente una verifica di tale ipotesi potrà esser fatta solo a posteriori. 
Indubbiamente i vantaggi maggiori si riscontrano in ambito agricolo dove il reddito agrario si può integrare con gli introiti che il GSE paga ai produttori di energia rinnovabile che comunque potranno continuare a svolgere le proprie attività agricole e di allevamento: i pannelli proteggono dall’eccessivo irraggiamento solare, trattengono acqua nel suolo, offrono zone d’ombra per le mandrie e legreggi, e se dotati di appositi sensori permettono di rilevare nutrienti ed acqua nel suolo in modo da poter ben dosare concimi, acqua, fertilizzanti e fitofarmaci. 
In questo ambito si sottolinea che è allo studio un sistema di simulazione che analizza e mette a confronto i risultati della produzione di energia con quelli derivanti dall’attività agricola. È stata elaborata di recente la prassi di riferimento per l’agri-voltaico denominata UNI/PdR 148 sviluppata dall’ENEA in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, la società Rem Tec econ l’ente nazionale italiano di unificazione della normazione (Uni) per favorire la produzione di energia da fonti rinnovabili in linea con le direttive europee che intendono tutelare la produzione agricola ed il paesaggio riducendo il consumo del suolo. L’obiettivo è il monitoraggio della produzione e la gestione dei datidell’attività agricola e di quelli della produzione di energiaper poter valutare oggettivamente la convenienza della scelta agri-voltaica rispetto ad altre soluzioni alternative. Ma per ora siamo solo all’inizio!
Si è visto che per talune colture, impiantate sotto pannelli fotovoltaici, si ha un incremento della produttività, come per il mais. Ovviamente non tutte le colture potranno essere impiantate sotto la struttura fotovoltaica; la sfida prossima sarà quella di capire, nel caso si vogliano preservare delle colture che spesso si presentano autoctone sul territorio ed anche vincolate ad una specifica zonageografica, (viene subito in mente l’indicazione geografica protetta IGP della lenticchia di Castelluccio), se sarà possibile installare il fotovoltaico su determinati terreni senza danneggiare le produzioni. Contrariamente si potrebbe incorrere nel rischio di veder scomparire prodotti geograficamente protetti, compromettendo la biodiversità agricola.
Un’attenzione particolare andrà poi posta al paesaggio; in Italia il paesaggio è fortemente tutelato e rappresenta un bene inalienabile, sarà necessario creare strutture che si possano ben integrare con i territori e che si presentinogradevoli alla vista. In tal senso si sono presentati progetti anche alla Biennale di architettura di Venezia; sicuramente un’integrazione paesaggistica esclude risultati cheesasperino l’efficienza energetica! Occorre uno sguardo di inclusione della tecnologia con l’armonia ambientale anche perché quest’ultima spesso nasconde un substrato di biodiversità e di equilibrio che moduli fotovoltaici, riflettenti la luce ed impenetrabili da essa, potrebbero compromettere o danneggiare. In questo senso si pensi che i moduli fotovoltaici galleggianti, se non ben pensati, potrebbero danneggiare flora e fauna acquatiche.
Un altro punto che andrebbe adeguatamente approfondito riguarda la sofisticata tecnologia che c’è dietro l’uso di questi pannelli fotovoltaici che molto probabilmente un agricoltore non conosce e che quindi non potrebbe pienamente padroneggiare, vedendosi quindi obbligato ad affidarsi a terze persone sia per la manutenzione sia per il funzionamento ordinario. Questo aspetto potrebbe creare nuovi costi per l’azienda agricola,che potrebbero superare i benefici economici derivanti dal compenso del GSE e dal risparmio dei costi energetici dellebollette per le utenze elettriche; il risultato netto potrebbe tradursi in un saldo negativo di bilancio rispetto alla situazione antecedente l’installazione dell’agri-voltaico, con conseguenti perdite economico-finanziarie. 
C’è anche chi sostiene che il montaggio dei pannellifotovoltaici sui tetti avrebbe costi e tempi di realizzazione inferiori rispetto all’installazione di pannelli agri-voltaici; è stato calcolato che l’utilizzo dei soli tetti dei capannoni industriali potrebbe fornire in Italia circa 74,2 GW di energia rinnovabile che assicurerebbe gli obiettivi del 2030(gli indicati 52GW), superandoli di ben 24 GW di elettricità. E se a queste superfici si aggiungono tutte quelle presenti su edifici pubblici, parcheggi, aree oggetto di bonifica, ferrovie ed edifici demaniali, si potrebbe sopperire a tutto il fabbisogno di domanda di energia pulita senza dover intaccare il terreno agricolo ed anzi incentivando anche le comunità energetiche, che rappresentano delle realtà di concentrazione di produzione di energia che può essere dispensata a tutti i soggetti limitrofi che ne richiedono l’utilizzo. 
Andrebbero infine scongiurati rischi di esposizione a campi elettromagnetici; sembrerebbe che tali rischi non esistano ma allora non si comprende il perché, di fronte a progetti di agri-voltaico, si renda necessario stilare una attenta relazione proprio sullo sviluppo dei campi elettromagnetici. Così come andrebbero esclusi danni a persone, animali e piante sottostanti i pannelli agri-voltaiciin quanto questi ultimi constano di elementi altamente inquinanti come il cadmio e l’arsenico. Non è ancora verificato se queste sostanze nocive possano entrare nella catena alimentare attraverso il consumo di formaggi, latte, e prodotti ortofrutticoli coltivati sotto le strutture fotovoltaiche. La realtà è che di fatto il fenomeno è abbastanza recente e non consente di vedere le ricadute su uomini, animali e produzioni agricole degli impianti fotovoltaici installati su grandi superfici agricole. Il problema sembra infatti risiedere sulla quantità di energia elettrica prodotta e inviata alla rete che, per il fenomeno dell’agri-voltaico, riguarda ettari di terreno e non limitati metri quadrati di tetto. 
Pertanto si invita all’estrema prudenza e ad una seria analisi scientifica degli effetti derivanti da un settore che potremmo dire ancora in fase sperimentale soprattutto nell’ambito delle superfici agricole. Sarebbe auspicabile evitare casi come l’amianto che, a distanza di tempo dal suo utilizzo, si è dimostrato altamente inquinante e dannoso per la salute umana!

 
 


Il That's Amore Burlesque Festival Rome è un festival internazionale del burlesque italiano nato a Roma nel 2019 giunto alla sua ottava edizione ,che ha fatto dell'internazionalità la propria bandiera e rappresenta un'eccellenza in Italia proprio in questo.
Nato da un'idea di Sophie Sapphire, Marzia Bortolotti giornalista/pubblicista ed insegnante di danza sportiva e burlesque, performer e producer del festival, coadiuvata dalla coproducer ed amica Ann Da Loos insegnante di bellydance, performer e modella, laureata in storia dell'arte. Il That's Amore è una competizione, in cui professioniste del settore e nuove leve si sfidano per aggiudicarsi vari titoli suddivisi in categorie a secondo del livello di conoscenza, la parola Amore è stata scelta per rappresentare questa manifestazione intesa anche come forma di inclusivita', perché non conosce età, forma fisica , colore, nazionalità, esattamente come dovrebbe essere il burlesque e la vita stessa.
Focus del contest è porre l'attenzione sulla passione per questa disciplina, ancora poco conosciuta e compresa qui in Italia , anche se la nascita di questa fantastica arte risale alla fine dell'ottocento nell'Inghilterra Vittoriana, quando in uno spettacolo teatrale la cui sovversiva ironia sconfinò nella satira contro la classe dirigente dando vita ad un format subito apprezzato dal pubblico, stanco ed annoiato di tanto rigore sulle scene.
Una disciplina che ha sempre fatto parlare di sé, sia perché prevede uno strip, sia perché è un'arte sensuale che mai però dovrebbe sconfinare nella volgarità ma che anzi racchiude in sé eleganza, raffinatezza e charme oltre che glamour per i meravigliosi costumi che sono vere e preziosissime opere d'arte.
Il That's Amore è stato il primo festival italiano su nave da Crociera a settembre 2022, portato in scena sul meraviglioso palco della nave Magnifica MSC grazie all'ausilio del tour operator Italian Luxury che ha curato i dettagli tecnici nella rappresentanza di Donatella D'Arpa e Santo Davide.
Il 27 Gennaio il That's Amore Burlesque Festival tornerà al teatro Italia con due spettacoli e due competition diverse fra loro con la presenza di più di 60 artiste provenienti da tutto il mondo.
Già dal mattino alle ore 10.00 si potrà usufruire dei workshop tenuti dagli artisti di punta del Festival per raffinare la formazione in questa arte. Le lezioni saranno tenute da Dotty Mac Lane Queen of Amore 2022, Kiki Chéri plurimiata artista internazionale, Sven Whatever attore cantante e boylesque internazionale e la meravigliosa Rudy Ruby stella mondiale.
Dalle ore 16.00 il sipario si aprirà con il Cocktail Gala Competition dove si sfideranno oltre le artiste singole nuove leve del burlesque, per la prima volta nella storia del festival anche i gruppi per l'assegnazione dei titoli di THE BEST e l'elezione della PRINCESS OF AMORE 2024.
Ore 20.30 Competition Queens e Gala Stars, performer già professioniste nell'ambiente gareggeranno per i titoli :
QUEEN OF AMORE 2024
QUEEN OF EMOTION 2024
QUEEN OF HEART 2024.
Le Queens vincitrici e la Princess riceveranno premi in denaro, il gruppo vincitore una coppa , le artiste singole l'assegnazione dei The Best con medaglia e fascinator realizzati a mano da La
Chambre de Sophie Sapphire sponsor dell'evento .
Subito dopo l'esibizione delle artiste in gara nella sera, andranno in scena gli ospiti speciali della manifestazione, oltre che l'attesissima meravigliosa madrina MISS RUDY RUBY che è fra le prime dieci perfomer apprezzate ed amate a livello mondiale e la fantastica Sgt Die Wies un'esplosione di energia pazzesca che cattura il pubblico con il suo talento.
Condurranno la manifestazione Sophie Sapphire, Ann Da Loos , e Lulù Txispun producer di un'altro apprezzatissimo festival internazionale del burlesque in Spagna " Barcelona meeting and Festival".
Sarà presente una giuria internazionale per valutare le artiste.
Le presentazioni di ciascuna artista coinvolta in questa ottava edizione sono dettagliatamente presentate sui social del festival ( Ig, fb, telegram e tik tok) oltre che nel sito ufficiale https://thatsamoreburlesquefestivalrome.art/ dove si possono acquistare i biglietti per la manifestazione.
Il giorno prima del Festival ci sarà il Party Debut presso il The Bridge food and Beer via Giustiniano imperatore 3, per festeggiare la nuova edizione, presentare le artiste in gara, ma anche per assegnare la prima medaglia e premio :" The Best Debut" perché ci sarà comunque una gara. Madrina dell'evento Betty Blonde producer di un Gala burlesque di beneficenza a Rovigo in aiuto alla donne con un carcinoma alla mammella, che negli anni ha raccolto fondi per l'acquisto di attrezzature e parrucche da destinare al post intervento e riabilitazione alla vita.
Un giorno e mezzo dedicato alla bellezza, al talento, alla sensualità, l'eleganza e l'ironia che richiede un lavoro di preparazione che dura un anno intero e parte dal giorno dopo la chiusura dell'ultima edizione fino alla prossima, perché si sa l'Amore richiede cura, dedizione e sacrificio continue ma i suoi frutti sono preziosi per tutti coloro che hanno scelto di avere fiducia nei propri sogni e che non smettono mai di crederci.

AGRIVOLTAICO IN ITALIA: SI PARTE?
di Alessandra Di Giovambattista

Una delle chiavi per la decarbonizzazione del nostro Paese nel settore agricolo è la diffusione dell’agri-voltaico. Ma cosa si intende per decarbonizzazione? Facciamo chiarezza: il termine indica la progressiva eliminazione del carbonio attraverso il processo di conversione del sistema economico attuale in un modello produttivo e di sviluppo in chiave sostenibile che implichi l’eliminazione delle emissioni di monossido di carbonio (CO2) e l’uso di fonti fossili come carbone, petrolio, gas. Tale processo è strettamente legato anche alle politiche di transizione energetica che prevedono il passaggio alla produzione e all’uso di fonti di energia pulita e rinnovabile; in particolare tale transizione si fonda su determinati pilastri come quello delle energie rinnovabili (es. fotovoltaico ed eolico), dell’efficienza energetica, dell’elettrificazione e mobilità sostenibile, delle comunità energetiche (ne abbiamo parlato in un precedente articolo), delle infrastrutture di rete (da rendere più flessibili) e dell’economia circolare (con la riduzione degli sprechi e ottimizzazione delle risorse).
La politica di decarbonizzazione ha come obiettivo il raggiungimento di una modalità di attività economica ad impatto zero entro il 2050 - con zero emissioni nell’ambiente - cioè con emissioni di CO2 che vengono assorbite attraverso tecnologie innovative, con lo scopo di contenere il cambiamento climatico e l’aumento della temperatura al di sotto dei 2 gradi centigradi. L’obiettivo del 2050 è stato fissato dall’Europa che ha definito una strategia chiamata patto verde europeo (c.d. Green Deal europeo). Nell’ambito di quest’ultimo è stata proposta una prima legge europea sul clima dove sono stati presi in considerazione tutti i settori economici strategici, tra cui anche quello agricolo. Quindi tutti gli Stati membri sono obbligati a considerare soluzioni a lungo termine con l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra, pensando che nel 2050 oltre l’80% dell’elettricità sarà prodotta da energie rinnovabili. Questo cambiamento epocale permetterà di sviluppare tecnologie come il fotovoltaico e l’eolico e creerà nuovi posti di lavoro.
Il 22 dicembre 2023, con un comunicato stampa del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, si è appreso che il Ministro Gilberto Pichetto Fratin ha trasmesso alla Corte dei Conti il decreto che contiene gli incentivi per la diffusione dell’agri-voltaico innovativo in Italia con l’obiettivo di installare 1,04 gigawatt entro il 30 giugno del 2026. Le misure si basano sull’utilizzo dei fondi messi a disposizione dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) come contributo in conto capitale (nella misura del 40% e finanziato per oltre un miliardo di euro) e come tariffa incentivante sulla produzione di energia elettrica netta immessa in rete (per un importo annuo di 21 milioni di euro a valere sugli oneri di sistema). L’agri-voltaico è una delle misure utilizzate per la decarbonizzazione del nostro paese in un settore strategico, quale l’agricoltura, in cui si mira ad un utilizzo razionale e sostenibile del suolo, contestualmente alla produzione di energia rinnovabile. L’innovazione consta di strutture verticali con moduli ad alta efficienza che catturano più energia possibile in cui però vi è la coesistenza con le tecniche agricole per il raggiungimento della migliore redditività ed il recupero dei terreni inutilizzati. Soggetti destinatari sono gli agricoltori, le imprese agricole e le associazioni temporanee di imprese, mentre il soggetto che gestirà il meccanismo incentivante nella sua interezza è il Gestore dei Servizi Energetici (GSE).
L’agri-voltaico, pur essendo una grande opportunità per il nostro Paese a prevalente vocazione agricola, all’inizio ha trovato molti ostacoli nella sua implementazione sia di natura normativa, sia di politica agraria. Il divieto di installazioni a terra di impianti fotovoltaici introdotto per arginare l’occupazione di molti terreni agricoli risale al decreto legge n. 1 del 2012 che ha vietato la fruizione di incentivi statali per l’installazione di impianti fotovoltaici su terra in aree agricole, con l’obiettivo di preservarne l’ecosostenibilità e la destinazione d’uso.
Tuttavia, nel 2021 il decreto semplificazioni ha provato ad intervenire mediante lo sblocco degli incentivi destinati per alcuni impianti fotovoltaici sui terreni agricoli prevedendo delle eccezioni per gli impianti da realizzare su aree dichiarate siti di interesse nazionale e sulle discariche. Sempre lo stesso decreto ha anche aperto agli incentivi per impianti agri-voltaici che utilizzano strutture di montaggio verticale dei moduli, elevati rispetto al suolo, e che ruotano per inseguire la luce e permettere, contestualmente, la coltivazione agricola del suolo sottostante, l’attività pastorizia e di allevamento in generale. In ogni caso è previsto che gli incentivi siano subordinati ad attività di monitoraggio sull’attività e la produttività agricola, il risparmio idrico ed il benessere economico delle aziende agricole interessate; qualora tali parametri non siano positivi e migliorativi è previsto che cessino gli incentivi.
Gli obiettivi contenuti nella politica dell’agri-voltaico sono rappresentati da un’agricoltura sostenibile coniugata con la produzione di energia da fonti rinnovabili; in tal modo si ipotizza che si ridurranno i costi di approvvigionamento energetico del settore agricolo (che oggi rappresentano il 20% dei costi aziendali) e si migliorerà la situazione climatica con una diminuzione potenziale di 0,8 mln di tonnellate di CO2 (ad oggi il settore agricolo è responsabile del 10% delle emissioni di gas serra in Europa). Quindi l’innovazione riguarderà l’implementazione di sistemi ibridi basati sul potenziamento dell’agricoltura e della produzione energetica che non comprometta quindi la produttività dei terreni, anche valorizzando i bacini idrici attraverso soluzioni galleggianti. Si crede che un accurato monitoraggio delle realizzazioni innovative e della loro efficacia con la raccolta dei dati specifici permetterà di valutare il microclima, il risparmio idrico, il recupero della fertilità del suolo, la resistenza ai cambiamenti climatici e la produttività agricola. Quindi con l’agro-voltaico sarà possibile ed auspicabile combinare l’attività agricola e la produzione di energia elettrica rinnovabile e pulita.
Attualmente in agricoltura l’utilizzo del fotovoltaico avviene mediante impianti su serre, su tetti delle stalle e di impianti produttivi in genere; l’agro-voltaico si presenta come una soluzione innovativa ed economica in quanto consentirà risparmio in termini di costi di energia elettrica, diminuzione di emissioni di gas serra, detrazioni fiscali ed incentivi, reddito aggiuntivo derivante dalla produzione di energia elettrica rivenduta al GSE. Questo progetto include anche il monitoraggio dell’efficacia dell’impianto al fine di valutare gli effettivi impatti sia sulla qualità della produzione agricola sottostante agli impianti fotovoltaici sollevati da terra, sia sulla produttività delle diverse colture impiantate, sia sul risparmio idrico, sulla fertilità del suolo e sul contrasto ai cambiamenti climatici. La precedente tecnologia permetteva di installare pannelli fotovoltaici direttamente sul terreno agricolo impedendone così ogni utilizzo per la produzione agricola; le recenti innovazioni hanno invece consentito il montaggio di pannelli posizionati nei campi secondo altezze e geometrie che consentono di continuare a sfruttare il terreno per l’attività agricola. Inoltre i pannelli presentano superfici bifacciali in vetro in modo da catturare l’energia solare sia frontalmente che posteriormente, convertendola in energia elettrica. L’innovazione del pannello bifacciale risale al 2018 ed è frutto di un team di ricerca del Dipartimento di Scienza dei materiali dell’Università Milano-Bicocca che ha sviluppato la tecnologia dei vetri fotovoltaici che, a differenza dei normali vetri, presentano delle nanosfere che catturano l’energia solare.
Di norma i nuovi pannelli di agro-voltaico vengono installati su terreni agricoli a basso reddito, terreni in prossimità di linee elettriche o che lambiscono strade ed autostrade. L’installazione può avvenire in linea, in righe che tra loro sono distanti circa 8 metri e le colture a maggior vocazione sono vigneti, alberi da frutta, mais o grano, ma si presta bene anche per l’allevamento di animali, pascoli ed alveari.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza destina per gli anni 2022-2026 complessivamente 1,1 miliardi di euro, così suddivisi: per il 2022 circa 184 milioni, per il 2023 circa 115 milioni, per il 2024 e per il 2025 circa 338 milioni mentre per il 2026 circa 210 milioni di euro.
In Italia, ad oggi, si hanno diversi impianti di moduli fotovoltaici sollevati dal terreno, alti oltre quattro metri che modificano la loro posizione ruotando su se stessi in base al bisogno di ombreggiatura delle piante sottostanti e della massima cattura dei raggi solari. Le produzioni sotto coltivate sono: mais, che da un esame a posteriori elaborato dall’Università di Piacenza, crescono del 4,3% in più rispetto al campo aperto, insalate, e filari di vite, con crescite incrementali che vanno dal 15% al 30%, soia, indivia, cavolo pomodori e grano. Quindi ci si aspetta che il 2024 rappresenti un anno di svolta per l’agri-voltaico che ormai annovera realtà come Borgo Virgilio (Mantova) che utilizza 11 ettari di terreno per produrre energia pulita che supera i 3,3 milioni di Kw ora all’anno, Scicli con un parco agri-voltaico di 9,7 megawatt e con progetti per le zone del Foggiano, in Emilia-Romagna su vigneti ed in Lombardia su coltivazioni di cereali e foraggi.
L’innovazione agricola coniugata con il risparmio energetico e la produzione di energia pulita è un connubio che sembra garantire anche un valore aggiunto alle produzioni agricole in quanto le protegge dall’eccessivo irraggiamento solare, riducendo conseguentemente l’uso e la perdita di acqua.
Tuttavia dal punto di vista di noi consumatori c’è da chiedersi: ma i costi per i prodotti agricoli diminuiranno? Lo scenario che ci appare quantomai positivo, come sempre induce ad approfondimenti critici. Già da alcune parti si inizia a leggere che i prodotti agricoli potranno essere venduti a prezzi maggiori in quanto coltivati sotto l’ombra dei pannelli; tale affermazione desta qualche sospetto se si pensa che tra gli obiettivi positivi dell’agri-voltaico, che ricordiamo sarà incentivato anche attraverso parziali finanziamenti a fondo perduto, c’è sia quello relativo alla diminuzione dei costi per energia per le aziende agricole, sia quello relativo agli incassi, per le stesse, erogati dal GSE per l’immissione di energia nella rete. Se però a consuntivo dovessimo assistere ad un incremento dei prezzi sorge un dubbio: ma l’analisi costi - benefici sia per gli agricoltori sia per noi consumatori è stata condotta correttamente, oppure dovremo aspettarci situazioni di aumento dei prezzi dei prodotti agricoli e corrispondentemente un incremento di oneri, finanziari ed ambientali, per lo smaltimento dei pannelli fotovoltaici che nel futuro avranno esaurito la loro funzione?

 
 
 
 
VERSO IL RICONOSCIMENTO DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA
di Alessandra Di Giovambattista

Il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione italiana prevede che particolari materie di legislazione concorrente (come ad esempio l’istruzione, la tutela dell’ambiente e dei beni culturali) possano essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario, dietro loro richiesta e sulla base di un’intesa tra Stato e Regione stessa. La legge che attribuisce la c.d. autonomia differenziata, deve essere approvata a maggioranza assoluta dei componenti del Parlamento.
Il 28 febbraio 2018 il Governo Gentiloni ha sottoscritto tre accordi preliminari con altrettante regioni: Emilia Romagna, Lombardia e Veneto che hanno fatto formale richiesta di riconoscimento delle forme di autonomia differenziata. Gli accordi sottoscritti dispongono che i patti debbano avere una durata decennale, modificabile in qualsiasi momento, di comune accordo, qualora si verifichino condizioni che ne giustifichino la revisione. Le materie di trattativa sono la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, la tutela della salute, l’istruzione, la tutela del lavoro, i rapporti internazionali e con l’Unione europea, con la possibilità di estensione ad altre materie. In particolare l’accordo con la regione Lombardia prevedeva, a differenza delle altre due regioni, la possibilità di poter decidere anche in tema di coordinamento con la finanza pubblica e con il sistema tributario, nonché di occuparsi del governo del territorio.
Successivamente nell’estate del 2018, durante il primo Governo Conte, tutte le tre Regioni hanno manifestato l’intenzione di ampliare il novero delle materie da trasferire. Ad esse si sono poi aggiunte altre Regioni che pur non avendo sottoscritto alcuna forma di intesa preliminare hanno espresso la volontà di ottenere ulteriori forme di autonomia; in particolare sono pervenute al Governo le richieste da parte di Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Marche e Campania.
A febbraio del 2019 il Ministro per gli affari regionali ha illustrato i contenuti delle intese tra Governo e Regioni Veneto, Emilia Romagna e Lombardia, aprendo così un ampio dibattito tra le parti in causa. Le problematiche oggetto di analisi ed approfondimento hanno riguardato, tra le altre, le modalità di coinvolgimento degli enti locali, il ruolo del Parlamento e la possibilità di poter presentare emendamenti al disegno di legge che contiene gli accordi e la determinazione dell’ampiezza delle materie da attribuire. Al fine di poter effettuare una stima del valore delle competenze trasferite, sono stati definiti dei costi standard (cioè l’individuazione di costi unitari per effettuare una prestazione) e dei livelli essenziali di prestazione (LEP, cioè livelli minimi di prestazione che si vuole vengano garantiti su tutto il territorio nazionale al fine di escludere difformità di prestazioni a livello locale) con la finalità di definire la problematica di natura finanziaria. La definizione dei LEP ha trovato un posto anche tra le riforme previste nel Piano nazionale di ripresa e resilenza (PNRR) con scadenza nel marzo 2026.
Nel 2020, durante il secondo Governo Conte, è stato previsto di far precedere la stipula delle intese dall’approvazione di una legge-quadro che definisse le modalità di attuazione della autonomia differenziata, posizione che è stata confermata anche dal Governo Draghi che durante il 2021 ha lavorato per istituire una apposita Commissione con compiti di studio, supporto e consulenza. Tale Commissione ha fornito spunti di riflessione per una prima definizione del testo di disegno di legge-quadro; tuttavia nel 2022, alla fine della XVIII legislatura, il disegno di legge non è stato presentato.
Con la XIX legislatura, nella riunione del 15 marzo del 2023 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge che determina i principi generali per l’attribuzione di particolari forme di autonomia a favore delle Regioni a statuto ordinario. Tale disegno di legge, che contiene disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata, è stato presentato al Senato dove ha iniziato l’iter di esame presso la Commissione affari costituzionali nel maggio del 2023. Nello specifico si dispone che il procedimento di approvazione delle intese deve partire dalla Regione interessata, sentiti gli Enti Locali, e l’iniziativa può riguardare una o più materie; il negoziato tra Governo e Regione servirà per definire uno schema di intesa preliminare. Lo schema dovrà poi essere corredato di relazione tecnica (che espliciti e quantifichi oneri e/o minore o maggior gettito) e dovrà acquisire entro 30 giorni il parere della Conferenza unificata Stato Regioni. Nell’ambito delle intese tra Stato e Regioni dovrà essere indicata anche la durata dell’accordo che non potrà, in ogni caso, eccedere i 10 anni; esso potrà essere revisionato su iniziativa di una delle due parti. Alla scadenza del termine di durata dell’intesa essa si intende rinnovata per un altro decennio, salva diversa volontà dello Stato o della Regione, e ciò deve essere espressamente dichiarato almeno un anno prima della scadenza. Nell’eventualità che si vogliano attribuire nuove funzioni in ambito di diritti civili e sociali, garantiti su tutto il territorio nazionale, sarà necessario determinare prioritariamente i livelli essenziali delle prestazioni (LEP), al fine di assicurare efficacia ed omogeneità su tutto il territorio nazionale dei servizi prestati, nonché i costi e i fabbisogni standard, con lo scopo di monitorare l’efficienza dell’attività gestionale per evitare sprechi e disservizi. Il finanziamento dei livelli di prestazione sulla base dei relativi costi e fabbisogni standard viene attuato nel rispetto degli equilibri e della parità di bilancio così come previsto dalla legge di contabilità e finanza pubblica; infatti qualora dai nuovi livelli di prestazione dovessero derivare maggiori oneri per l’erario, si procederà al trasferimento delle funzioni a livello regionale solo dopo che saranno state individuate nuove o maggiori risorse che consentiranno di garantire il pareggio di bilancio. Sia lo Stato sia la Regione potranno poi disporre verifiche atte a valutare il raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni.
Il 3 maggio del 2023 la Commissione affari costituzionali del Senato ha iniziato l’esame del disegno di legge per l’attuazione dell’autonomia differenziata; il successivo 6 giugno è stato definito il testo sulla cui base sono stati presentati alcuni emendamenti. Il termine ultimo è stato il 3 agosto, data in cui gli emendamenti dei relatori sono stati presentati per recepire le condizioni presentate dalla Commissione bilancio e sono così iniziate le votazioni sugli ordini del giorno. Quando sarà dato il benestare dalle Commissioni parlamentari la legge approderà in Parlamento; tuttavia prima di tale passaggio è necessario che una Cabina di regia stabilisca i livelli di LEP che serviranno a suddividere le diverse prestazioni, riconducibili alle differenti materie di interesse regionale, individuandone costi e fabbisogni standard.
Compreso così l’iter e la sostanza politica dell’autonomia differenziata non rimane che interrogarsi su quanto sia positiva ed inderogabile questa scelta; da più parti infatti ci si è domandato se rappresenti davvero una gestione controllata e più efficiente della spesa pubblica o se invece non significhi rimarcare ancora di più le differenze e le disuguaglianze tra Regioni più ricche e quelle meno prospere. Riassumendo l’autonomia differenziata consente alle Regioni a statuto ordinario di poter disporre autonomamente su materie di competenza concorrente con lo Stato ed in tre materie di competenza esclusiva; per finanziare tali attività le Regioni tratterrebbero una parte del gettito fiscale incassato sul proprio territorio, ma destinato all’Erario. Quindi questa parte di gettito non verrebbe più suddiviso a livello nazionale in ragione dei parametri di popolazione e di necessità locali. Questo tipo di autonomia, prevista dall’articolo 116 della Costituzione non è  mai stata attuata proprio per la delicatezza della questione che pone in campo le grandi differenze che esistono sul territorio italiano, in particolare con riferimento alla spaccatura tra nord e sud del Paese. Autonomie di questo genere sono considerate pericolose in quanto potrebbero acuire ancora di più le già presenti situazioni di disuguaglianza all’interno del territorio nazionale.
Naturalmente si annoverano soggetti a favore e soggetti contro; chi è a favore dell’autonomia differenziata basa le proprie considerazioni essenzialmente sul principio che sottolinea la necessità che la spesa pubblica sia strettamente collegata con la collettività che sopporta l’imposizione, secondo il concetto per cui: più è stretto il rapporto tra chi paga i tributi e chi spende le risorse e maggiore sarà il controllo con la conseguenza che sarà migliorato il livello di economicità e saranno minimizzati gli sprechi. Questa teoria si basa sullo stretto legame tra i politici locali, che conoscono il territorio sul quale governano, ed i cittadini che in esso vivono e che possono verificare e controllare direttamente il loro operato, decidendo al momento dell’espressione del voto. Inoltre i servizi necessari su un territorio saranno calibrati secondo gli effettivi bisogni, escludendo quindi costi basati sul criterio storico della spesa che non verifica le effettive necessità ma stima gli oneri pubblici in ragione di quanto fatto nel passato. Però prima di escludere il criteri della spesa storia sarà necessario implementare e quantificare i LEP che vanno garantiti su tutto il territorio nazionale.
Coloro che sono contrari a questa forma di autonomia sottolineano la sottrazione di risorse che andrebbero invece ripartite sul territorio nazionale per evitare una differenziazione dei servizi e delle infrastrutture ed una disgregazione del tessuto socio-economico nazionale. Essi si appellano anche ai principi costituzionali e di scienza delle finanze che richiamano la solidarietà politico, economica e sociale tra i contribuenti, ciascuno in base alla propria capacità contributiva, che deriva dal reddito complessivo prodotto (principio che ha determinato, per esempio, la progressività dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, IRPEF). Un’attenzione particolare poi deve essere posta sui servizi pubblici strategici del paese: i trasporti, l’energia, la sanità, l’istruzione; è necessario che essi vengano forniti con uguale intensità e qualità su tutto il territorio nazionale al fine di evitare che territori più svantaggiati soffrano ancora di più, amplificando le differenze negative rispetto al resto del territorio. Infatti in un sistema di autonomia le risorse delle zone più ricche rimarrebbero circoscritte nel territorio aumentando le differenze non solo a livello nazionale ma anche all’interno delle Regioni stesse.
L’analisi macroeconomica evidenzierebbe che anche le Regioni ad autonomia differenziata sarebbero penalizzate perché l’economia nazionale, che si basa per una buona parte anche sulle produzioni del Mezzogiorno, di fronte a diversità socio-economiche si presenterebbe come un sistema complessivo zoppo, destinato al collasso. Non mancano poi economisti che sottolineano l’attuale inesistenza di un modello che possa verificare le capacità di gestione di una Regione rispetto allo Stato: siamo sicuri che le Regioni sappiano fare meglio e di più rispetto al Governo nazionale o che la frammentazione territoriale dei servizi ne migliori l’efficienza e l’efficacia? Senza un sistema collaudato di misurazione degli obiettivi e dei risultati, nonché senza politiche di controllo di gestione, ogni ipotesi rimane vacua e priva di fondamento. Da anni si chiede un esame a consuntivo della gestione della cosa pubblica; un simile controllo aiuterebbe a governare gli scostamenti e a ragionare in merito a possibili azioni correttive che, a prescindere dalla tipologia di politiche territoriali o nazionali, contribuirebbe a verificare e a garantire l’utilizzo economico delle risorse che ognuno di noi, a legislazione vigente, versa sia all’Erario sia agli Enti Locali.