DALLA CREAZIONE DELLE ZONE ECONOMICHE SPECIALI ALLA ZONA ECONOMICA SPECIALE PER IL MEZZOGIORNO

di Alessandra Di Giovambattista

 15-10-2024

Con il decreto legge n. 91 del 20 giugno 2017 sono state istituite in Italia le Zone Economiche Speciali (ZES) con l’obiettivo di dare vigore e produttività a zone meno sviluppate ed in transizione economica presenti nel nostro Paese. Il regolamento di istituzione delle ZES era contenuto nel DPCM del 25 gennaio 2018, mentre successivi provvedimenti hanno modificato l’originaria legislazione. Le aree interessate sono quelle portuali e quelle limitrofe e ad esse collegate situate nelle regioni meridionali, che la programmazione europea del 2014 – 2020 aveva diviso in zone “meno sviluppate”, quelle situate in Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia e zone “in transizione” quelle localizzate in Abruzzo, Molise e Sardegna. Come vedremo, però, la legislazione è stata modificata per effetto del recente D.L. n. 124 del 2023.

Le realtà legate alle zone economiche speciali sono individuabili in diverse regioni del mondo; in totale sono stimate circa 4.000 aree ZES. Nello specifico sono presenti in Cina, nelle Filippine, nella Corea del Nord, in Russia ed in Europa le ritroviamo in Irlanda, Portogallo e Polonia. Si caratterizzano tutte per l’individuazione di aree dove sono riconosciuti benefici fiscali e semplificazioni amministrative con la finalità di far crescere e sviluppare zone che si presentano più arretrate o con maggiori difficoltà di sviluppo economico.

Sono aree specifiche, individuate all’interno di una nazione, in cui vengono eliminate le barriere commerciali, come ad esempio adempimenti burocratici, dazi, sovraprezzi, al fine di rendere più fluidi gli scambi ed attirare nuovi investimenti. Per sfruttare al meglio le opportunità, infatti, le ZES sono normalmente posizionate in ambiti geograficamente predisposti per gli scambi commerciali come porti e aeroporti, dove è più facile disporre e far entrare in sinergia mano d’opera, materie prime e personale tecnico specializzato per produrre beni e servizi. La ZES diventa così un luogo di produzione altamente qualificata, dove si concentrano i fattori produttivi, specialmente il lavoro, con la finalità di sfruttare al meglio il punto di convergenza tra importazioni di materie prime, semilavorati, componenti e flussi di esportazioni di prodotti e merci verso paesi esteri.

Occorre evidenziare che l’esempio forse più significativo in questo ambito può essere ricondotto all’esperienza cinese dove nei primi anni del 1980, e precisamente a partire dalla politica della “porta aperta” del 1978 portata avanti da Deng Xiaoping (successore di Mao Zedong), fu individuata la città di Shenzhen per implementare queste politiche di benefici e vantaggi che ha portato a successi davvero inaspettati. In Cina, più che di città, occorre parlare di ampie aree metropolitane e l’area di Shenzen si presentava povera con un’economia basata essenzialmente sulla pesca. In circa trent’anni l’area ha visto il passaggio da un’economia primordiale ad un centro di attrazione di numerosi investitori ed oggi è una città fortemente industrializzata e tra le più popolose della Cina (circa 12 milioni di abitanti); in essa si è assistito ad una valorizzazione del territorio che ha anche sviluppato e migliorato la sinergia con le zone limitrofe.

Così il buon successo ottenuto dall’area di Shenzen ha spinto verso queste politiche di incentivazione e di benefici e molti altri Paesi hanno adottato tali misure economico-fiscali che sembrano avere effettivamente un forte appeal per le aziende. Fa riflettere anche il caso di Dubai che rappresenta forse il caso di ZES più famosa al mondo con la creazione del Dubai Financial Centre (DIFC) che rappresenta una zona finanziaria libera, con giurisdizione indipendente in riferimento a diverse problematiche di tipo economico. Parlando di numeri si osserva che il DIFC, attraendo investitori da tutto il mondo, ha raggiunto un numero complessivo di circa 6.000 aziende registrate per la prima volta e nel solo primo semestre del 2024 ha registrato 830 nuove società, con un incremento del 24% rispetto al primo semestre del precedente anno (secondo i dati divulgati dallo stesso DIFC, il 30 luglio 2024). In questo contesto la politica dinamica della ZES è prodromica alla realizzazione di un centro logistico con vocazione al commercio alimentare che alla fine si presenterà come il più grande al mondo; contestualmente è previsto lo sviluppo della rete commerciale nella zona Asio-Pacifico rafforzando così il ruolo di competitor, ma forse sarebbe meglio dire leader, della città di Dubai nella catena di approvvigionamento dei prodotti e servizi che vanno dal fornitore al consumatore finale.

Con uno sguardo all’Europa si possono evidenziare le ZES dell’Irlanda, in particolare quella di Shannon, istituita nel 1959, dove vige un regime doganale speciale e sono garantiti vantaggi fiscali di diverso tipo, e quelle della Polonia, individuate anche con riferimento a specifiche caratteristiche produttive, come per le due aree di Katowice e di Cracovia a vocazione specializzata nell’industria dei trasporti (c.d. automotive).

Con la creazione di tali aggregazioni la politica europea si pone l’obiettivo di aumentare la competitività delle aziende che in esse vi operano, attrarre investimenti da operatori esteri, incrementare le esportazioni, sviluppare la produttività e l’innovazione, e non ultimo rafforzare il mercato del lavoro. Per maggior chiarezza occorre evidenziare che l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) individua diverse tipologie di ZES. Nello specifico: le zone di libero scambio (quelle presso porti ed aeroporti che prevedono esenzioni parziali o totali sui dazi dei beni che utilizzano materie prime importate, le lavorano e poi le riesportano), le export precessing zone (agevolano la riesportazione dei soli beni che vengono lavorati all’interno della zona stessa e il cui processo produttivo aggiunge valore al prodotto finito), le zone economiche speciali propriamente dette (si caratterizzano per la molteplicità delle agevolazioni, benefici e semplificazioni riservati alle aziende che in esse operano e che vi stabiliscono la propria sede), le zone speciali industriali (in esse i benefici sono riconosciuti solo ad aziende operanti in specifici settori che in esse si insediano). Le caratteristiche di ognuna di tali aree, che vengono proposte dalle diverse Nazioni, vengono verificate dalla Commissione europea per definirne l’effettiva operatività e la compatibilità con le norme in materia di aiuti di Stato (cioè il riconoscimento di aiuti finanziari a determinate attività o realtà produttive che presentano delle criticità che si vuole siano rimosse per motivi di politica economica e sociale).

Tornando all’Italia vediamo che l’iniziale esperienza di ZES, avviata nel 2017, ha come obiettivo, così come si legge nella relazione presentata al Senato della Repubblica, di fornire misure di sostegno alla nascita ed alla crescita delle imprese nel Sud d’Italia, mediante l’istituzione delle ZES, prevedendo pertanto semplificazioni, benefici e procedure più snelle per agevolare i cittadini e le attività imprenditoriali. Quindi un focus, un’attenzione rilevante, verso forme di incentivazione dell’imprenditoria giovanile e del processo di innovazione attraverso lo sviluppo di condizioni economiche favorevoli, incentivi fiscali e semplificazioni amministrativo-burocratiche per incentivare nuovi insediamenti industriali o far sviluppare quelli già esistenti nel Meridione.

Le ZES sono state individuate territorialmente all’interno dei confini dello Stato italiano, in zone geografiche ben delimitate ed identificabili che comprendono al proprio interno un’area portuale collegata alla rete transeuropea dei trasporti (trans-European transport networks TEN-T) così come individuata dalla normativa europea di riferimento (cioè il regolamento (UE) n. 1315/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2013). La leva è basata sull’incremento degli investimenti e sulle attività di sviluppo d’impresa. Le zone assoggettabili a tali agevolazioni possono essere proposte dalle Regioni meno sviluppate ed in transizione, e successivamente istituite con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che ne verifica il rispetto delle condizioni indicate dalla normativa europea. Le Regioni oltre a proporre le zone devono anche presentare un piano di sviluppo strategico indicando le caratteristiche delle aree individuate e le potenzialità di sviluppo. Sono ricomprese in questi ambiti anche zone senza porti purché contigue, o in associazione con un’area portuale avente le caratteristiche richieste dalla normativa europea.

Il passaggio successivo al decreto del 2017, e sue seguenti modificazioni, che aveva di fatto istituito 7 ZES (ZES Abruzzo, ZES Calabria, ZES Campani, ZES Ionica interregionale Puglia – Basilicata, ZES Sicilia Orientale, ZES Sicilia occidentale e ZES Sardegna), è stato il recente decreto legge n. 124 del 19 settembre 2023 che dal primo gennaio 2024 ha sostituito le precedenti 7 zone economico speciali con un’unica zona: la Zona economica speciale per il Mezzogiorno. Gli obiettivi che si pongono a base della costituzione della nuova zona unica consentiranno di rendere competitive le aziende operanti nel territorio di definizione della ZES unica meridionale, sia quelle già presenti sia quelle che si costituiranno nel tempo. È prevista l’istituzione della cabina di regia ZES presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri che provvederà a coordinare, dirigere, vigilare e verificare le attività svolte all’interno della area delimitata. Gli strumenti informatici a disposizione degli operatori riguarderanno il portale informatico (web) della ZES e lo Sportello Unico Digitale ZES (c.d. S.U.D. ZES) nel quale confluiranno tutti gli sportelli attivati secondo la precedente normativa che aveva individuato le citate 7 zone meridionali.

Indubbiamente la costituzione dell’unica ZES permetterà di far entrare in sinergia tutte le aziende operanti sul territorio in quanto tutte ricomprese nell’area agevolata, senza tenerne fuori alcuna, come sarebbe potuto accadere con la definizione di singole zone. Ci si aspetta che le attività amministrative siano rese davvero snelle, lontano dalle logiche politiche e partitiche, nonché da quelle di tipo malavitoso. Si ricorda che a tale nuova realtà amministrativo-gestionale, rinnovabile per 10 anni quindi fino al 2034, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (il PNRR) ha destinato risorse per 630 milioni di euro per la realizzazione di “Interventi speciali per la coesione territoriale” gestiti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Ovviamente le risorse messe in gioco obbligano a controlli e monitoraggi seri e costanti se non si vuole, anche questa volta, mancare l’incontro futuro con l’innovazione, lo sviluppo ed il progresso delle potenziali attività svolte dagli imprenditori del Sud d’Italia.

Comunicato stampa

 

Rome Future Week

 

Il settore culturale, tra innovazione tecnologica e sviluppo digitale: 

presentato alla Rome Future Week il paper di Fondazione Kainòn ETS, Associazione Civita e PTS

 

Il paper “To BE: il futuro digitale della cultura. Visioni, strategie e parole chiave 

per il Web 3” esplora trend e opportunità della trasformazione digitale nella cultura



Roma, 20 settembre – L’evoluzione del settore culturale nel nostro Paese sta attraversando una nuova fase caratterizzata dalla trasformazione digitale della cultura: un processo in atto di cui si sono già evidenziate sfide, opportunità e strategie che portano a una nuova personalizzazione delle esperienze culturali, a nuovi modelli di interazioni tra gli utenti e a una fruizione della cultura più inclusiva e sostenibile, anche attraverso l’intelligenza artificiale.

 

Queste tematiche sono state approfondite in occasione della Rome Future Week e descritte nel paper “To BE: il futuro digitale della cultura. Visioni, strategie e parole chiave per il Web 3”, realizzato da Fondazione Kainòn ETS in collaborazione con il curatore dei contenuti Claudio Calveri, e presentato presso l’Associazione Civita.  Una pubblicazione che rappresenta la sintesi delle riflessioni emerse durante un ciclo di incontri organizzati in collaborazione con Associazione Civita, PTS (società di consulenza strategica e direzionale,), e con il sostegno di ICOM Italia, nell’ambito del progetto “To BE. Conversazioni sul futuro digitale della cultura”

 

Il paper offre una sintesi di visioni, direzioni di sviluppo di strategie e rappresenta uno strumento per gli operatori culturali che vogliano meglio comprendere e approfondire gli impatti presenti e futuri dell’evoluzione del Web3 sui propri modelli culturali, educativi, relazionali, gestionali ed etici.

 

In particolare, il Web3 si riferisce alla generazione di Internet costruita sulla tecnologia blockchain e su protocolli decentralizzati. Lo scopo di queste ambientazioni digitali è quello di essere più aperto, sicuro e incentrato sull'utente. Un impatto rivoluzionario è ad esempio quello che potrebbe avere sull’istruzione: il Web3 potrebbe favorire una nuova personalizzazione dell'apprendimento, rafforzare l'inclusione e consentire agli studenti di avere maggiore controllo sui propri percorsi di apprendimento.

 

Il Web3 promette di democratizzare l'accesso all'educazione e alla cultura, mettendo l'utente stesso al centro dell'esperienza digitale, anche attraverso esperienze di fruizione della cultura coinvolgenti e interattive.

 

In tal senso, come approfondito nel paper, elementi come la realtà virtuale, la realtà aumentata, la narrazione interattiva, la gamification e l’interazione sociale stanno già giocando un ruolo chiave per il miglioramento dell’esperienza culturale, sempre più dinamica e partecipativa per le persone che la vivono.

 

In questo scenario, il paper esplora anche il concetto di realtà “phygital”: termine che si riferisce alla fusione di esperienze fisiche e digitali in vari aspetti della vita, compreso il mondo culturale. Di questa convergenza del regno fisico e di quello digitale sono state quindi esplorate le nuove possibilità di espressione culturale, consumo, conservazione e accessibilità.

 

“To BE: il futuro digitale della cultura. Visioni, strategie e parole chiave per il Web 3” rappresenta quindi un’analisi che esplora le potenzialità del Web3 e delle nuove tecnologie nella definizione del futuro digitale della cultura: una risorsa a supporto di operatori e stakeholder culturali che vogliono sfruttare le capacità delle nuove piattaforme e soluzioni digitali, per una fruizione della cultura al passo con l’evoluzione tecnologica e digitale.

 

Il paper è diviso in sei capitoli corrispondenti ai sei talk del ciclo di incontri, ognuno focalizzato su un tema specifico:

 

  • Le nuove forme e funzioni della conoscenza nel Web3 - Algoritmi, Dati, Knowledge Hub e Serious Gaming
  • Immersione ed esperienza nel Web3 - VR, AR, gaming e Digital Trust
  • Interazioni digitali nel Web3 oltre l’engagement - Realtà Mista, habitat ibridi e dimensione phygital
  • Il valore della personalizzazione dell’esperienza nel Web3 - Blockchain, NFT e l’innovazione del valore
  • Come funzionano le comunità digitali nel Web3 – DAO (Decentralized Autonomous Organizations), Tokenizzazione e “crowd business”
  • Progettare esperienze culturali rispettose nel Web3 - Intelligenza Artificiale, etica digitale e digital responsibility.

 

Ogni incontro ha offerto visioni su buone pratiche e progetti, stimolato riflessioni su futuri possibili attraverso i contributi di rappresentanti di istituzioni culturali nazionali e internazionali, figure del mondo dell’innovazione tra imprese, centri di ricerca, studiosi e ricercatori sui temi della digital transformation e del Web3.

 

"Il nostro impegno in questo progetto riflette la nostra visione di un futuro dove la cultura e la tecnologia si integrano per creare nuove esperienze e opportunità – ha dichiarato Angela Tibaldi, Associate Partner di PTS. Siamo orgogliosi di aver contribuito a questo paper e al ciclo di incontri da cui è nato: siamo convinti che possano offrire a operatori culturali e istituzioni strumenti concreti per affrontare le sfide del Web3 nel settore culturale”.

“La Fondazione Kainòn ETS crede che la relazione tra innovazione e settore culturale non solo sia importante, ma che debba essere al centro dello sviluppo sociale ed economico del Paese – ha commentato Emanuela Totaro, Segretario Generale Fondazione Kainòn ETS. Questo è possibile a nostro avviso solo facilitando la comprensione reciproca tra i soggetti che abitano e alimentano entrambi i settori. Il paper To BE: il futuro digitale della cultura. Visioni, strategie e parole chiave per il Web 3 vuole quindi essere per entrambi uno strumento di visione ma allo stesso tempo molto concreto, per stimolare una maggiore comprensione delle dinamiche presenti e delle traiettorie future alla base della cultura digitale, che possono rappresentare leva di sviluppo per le istituzioni culturali”. 

 

"Il futuro digitale della cultura, al centro del paper To BE, si configura come straordinaria opportunità per espandere i confini della conoscenza e della partecipazione culturale. Superata la fase nella quale il trend dominante fra le istituzioni culturali era legato al metaverso e alle tecnologie immersive, ciò che oggi sta influenzando il processo di digital transformation dei luoghi della cultura è sicuramente l’esplosione dell’IA, con le sue enormi potenzialità in termini di efficientamento gestionale, creazione di servizi personalizzati, potenziamento dell’accessibilità ai contenuti culturali e supporto all’inclusività.” – ha affermato Simonetta Giordani, Segretario Generale dell’Associazione Civita – “Questo scenario pone anche diverse questioni aperte, non solo in termini etici e di governance, ma anche rispetto alla sopravvivenza di alcune professioni culturali e alla necessità di sviluppo delle competenze fra gli operatori di questo settore, in risposta ai reali fabbisogni del mondo culturale e creativo."

 

Il paper è stato presentato ieri, il 19 settembre, nel corso del talk “Il futuro digitale della cultura”, organizzato da Fondazione Kainòn ETS, Associazione Civita e PTS nell’ambito della Rome Future Week.

 

“To BE: il futuro digitale della cultura. Visioni, strategie e parole chiave per il Web 3” è scaricabile gratuitamente dal sito di Fondazione Kainòn ETS, mentre è possibile rivedere ogni incontro sul canale ufficiale YouTube della Fondazione.

 

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Fondazione Kainòn ETS 

La fondazione Kainòn ETS è un ente privato nato per facilitare l’incontro tra innovazione digitale e settore culturale. Lo fa attraverso quattro linee di attività: awareness delle organizzazioni culturali sull’innovazione digitale; sostegno ai talenti e alla formazione di competenze; supporto alle sperimentazioni; povertà educativa e disagio sociale. Ha attivato diversi progetti tra cui: “Verso un museo del futuro. Un laboratorio aperto di riflessione” (2022/2023): percorso di empowerment e coprogettazione in partnership con ICOM Italia, con 50 player nazionali di settore coinvolti, nato per supportare la ridefinizione del ruolo dei musei nel prossimo decennio, con focus su immersività, spazi virtuali, metaverso. “ToBE. Conversazioni attorno al futuro digitale della cultura” (2023/2024), in collaborazione con Associazione Civita e PTS, un ciclo di incontri per esplorare le traiettorie future della cultura sul Web3, che ha visto il coinvolgimento di rappresentanti di istituzioni culturali nazionali ed internazionali dell’innovazione. 

 

Associazione Civita è un’organizzazione di imprese ed enti di ricerca impegnata da oltre 35 anni nella promozione culturale, nella convinzione che lo straordinario patrimonio del nostro Paese sia la grande “risorsa capitale” da tutelare e valorizzare, come motore di un nuovo modello di sviluppo economico e sociale. Nata per recuperare l’antico borgo di Civita di Bagnoregio, opera da sempre nella ricerca di un dialogo innovativo fra i mondi della cultura, delle Istituzioni e dell’economia. Proprio nel noto borgo dell’Alto Lazio, sospeso sulla rupe tufacea a costante rischio di crollo, è nato il progetto visionario di Gianfranco Imperatori che nel tempo ha preso forma ed è diventato realtà. Tra i driver dell’associazione, oltre alla tutela e valorizzazione del patrimonio, l'Associazione Civita oggi annovera l’interesse per l’Innovazione culturale e per la Sostenibilità.
Ufficio stampa Associazione Civita

 Véronique Haupt – Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. – cell. 327 1706878

 

PTS

Il gruppo PTS si occupa di consulenza strategica e direzionale, con un approccio interdisciplinare, basato su metodologie di analisi consolidate, che integra consulting, innovation, finance e communication. Il gruppo ha sviluppato diversi mercati e opera attraverso numerose industries in molteplici settori ad alto potenziale strategico: trasporti, energia, infrastrutture, cultura, turismo, PA, telecomunicazioni, PMI e sport, settore in cui è leader con assistenza prestata alle principali componenti del sistema sportivo italiano. PTS ha oltre 60 anni di esperienza nel mondo della consulenza arricchita, negli anni, dall’aggregazione di 12 società che hanno contribuito a rafforzarne il know-how. Oggi PTS ha oltre 500 clienti nazionali e internazionali e più di 200 professionisti che lavorano nelle 5 sedi principali di Roma, Milano, Verona, Genova e Trieste. Il fatturato consolidato del 2023 ha superato i 20 milioni di euro.

Press Office PTS - eos comunica

Michela Gelati - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - cell. 347 6339998

Luigi Borghi - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - cell. 392 9958934

 

UE: COLDIRETTI, 300MILA FIRME RACCOLTE, ORA AL VIA LA CAMPAGNA DIGITALE PER L’ETICHETTA TRASPARENTE SUI CIBI*
*Evento con il Presidente Mattarella per gli 80 anni di Coldiretti che hanno cambiato la storia dell’agricoltura italiana, dalla riforma agraria alla legge di orientamento*
Parte la raccolta digitale delle firme per una legge di iniziativa popolare che porti l’Europa a cambiare strada sulla trasparenza di quanto portiamo in tavola con l’obbligo dell’etichetta d’origine a livello europeo su tutti gli alimenti in commercio. Già raccolte 300mila firme nei mercati e tra i cittadini con i gazebo Coldiretti. L’iniziativa è stata presentata al Teatro Eliseo di Roma in occasione degli 80 anni dalla fondazione della Coldiretti, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dei rappresentanti delle Istituzioni, del mondo politico, economico e della società civile, oltre che delle forze dell’ordine, assieme al presidente nazionale di Coldiretti Ettore Prandini e al segretario generale Vincenzo Gesmundo e ad agricoltori provenienti da ogni regione d’Italia. Per l’evento è stata coniata una speciale moneta emessa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e coniata dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.
Quello dell’Eliseo è un appuntamento dal forte valore simbolico per quella che è una delle battaglie storiche e identitarie della Coldiretti: l’etichetta trasparente sui cibi. Battaglie che nel corso degli ultimi 80 anni hanno cambiato il volto dell’agricoltura italiana, riportandola al centro della società e restituendo dignità al lavoro nei campi. Basti pensare alla Riforma agraria ispirata e sostenuta dalla Coldiretti che ha rappresentato la più grande ridistribuzione di ricchezza mai realizzata in Italia, trasferendo a oltre un milione di contadini, mezzadri, braccianti e affittuari, 3,6 milioni di ettari incolti o mal coltivati segnando la fine del latifondismo improduttivo. Una svolta alla quale è seguita all’inizio del 2000 la legge di orientamento, che ha rivoluzionato il settore, rendendo possibile un ventaglio di attività che vanno dall’agriturismo all’agricoltura sociale fino alla vendita diretta e la produzione di energia. 
A rappresentarla sul palco dell’Eliseo, tre storie di imprenditori agricoli. Mariafrancesca Serra, che dopo la laurea in Ingegneria Edile-Architettura e una serie di esperienze all’estero è tornata in Sardegna per diventare pastora, esempio del fenomeno del ritorno nei campi ma anche del nuovo protagonismo delle donne in agricoltura. Miriam Zenorini, che nella sua fattoria sociale in Trentino Alto Adige accoglie donne uscite da situazioni di violenza o giovani provenienti da famiglie disagiate, simbolo di un welfare rurale in crescita. Mario Faro, florovivaista siciliano impegnato a combattere gli effetti dei cambiamenti climatici ma anche esempio del successo del Made in Italy all’estero.
Ma negli anni 2000 nasce il Patto col consumatore che ha saldato gli interessi degli agricoltori con quelli dei cittadini e posto le basi per le tante iniziative a tutela della salute, dell’ambiente, delle campagne e della trasparenza, di cui la legge di iniziativa popolare è l’ultimo capitolo. 
L’obiettivo è raggiungere un milione di firme per dire basta ai cibi importati e camuffati come italiani e difendere la salute dei cittadini e il reddito degli agricoltori. La raccolta firme ad oggi è stata attraverso banchetti in tutti i mercati contadini di Campagna Amica e in tutte le sedi territoriali che hanno portato sino ad oggi a ottenere trecentomila firme. 
Un impegno che si estende ora al web, con la possibilità di sottoscrivere la petizione in maniera digitale da parte dei cittadini. Basta collegarsi al sito https://eci.ec.europa.eu/049/public/#/screen/home e selezionare il proprio Paese di cittadinanza nel menu a tendina in giallo a sinistra. Si potrà quindi scegliere se compilare il modulo inserendo i propri dati con numero della carta d’identità o del passaporto oppure accedere direttamente con lo spid.
In questo modo - – spiega Coldiretti - si potrà sostenere la richiesta di rendere esplicite e chiare le indicazioni dell’origine di provenienza per tutti i prodotti che entrano nel mercato comune ma anche che siano rispettati gli stessi standard dal punto di vista ambientale, sanitario e delle norme sul lavoro previsti nel mercato interno a tutela della salute dei cittadini consumatori e del pianeta.
Un modo per porre fine all’inganno dei prodotti stranieri spacciati per tricolori grazie alla norma del codice doganale sull’origine dei cibi che consente l’italianizzazione grazie a trasformazioni anche minime. Mai così tanto cibo straniero – conclude Coldiretti - è arrivato in Italia con il valore delle importazioni agroalimentari dall’estero che nel 2023 hanno raggiunto il record di 65 miliardi di euro

LA CRISI DEI MUTUI SUBPRIME DEL 2007: APPROFONDIMENTI

di Alessandra Di Giovambattista

 19-09-2024

Una delle più recenti crisi in ambito finanziario si è avuta verso la fine del 2007, è dilagata rapidamente nel 2008 partendo dagli Stati Uniti e coinvolgendo diversi altri Paesi tra cui anche quelli europei, ed è meglio conosciuta come crisi dei mutui subprime. Nello specifico il fenomeno riguarda mutui e prestiti concessi a soggetti che non presentano le dovute garanzie per ottenere un affidamento bancario e quindi sono definiti debitori ad “alto rischio” di insolvenza. Il termine subprime deriva dal fatto che tali tipi di prestiti sono considerati di qualità non primaria in quanto il loro grado di recupero è considerato nettamente inferiore (sub) rispetto ai prestiti ed ai mutui concessi a soggetti con garanzie creditizie sufficienti per essere dichiarati affidabili (prime).

La causa principale della crisi in esame fu dovuta al crollo del mercato immobiliare innescato dalla politica monetaria espansiva che la banca centrale Statunitense, la Federal Reserve, aveva deciso di intraprendere per contrastare gli effetti della precedente crisi del 2001. In quell’anno gli Stati Uniti avevano subito l’attacco dell’11 settembre (di cui tutti ricordiamo le atroci immagini) e si era innescata la crisi dovuta alla bolla internet. Quest’ultima in particolare fu la risultante di un’euforia generalizzata derivante dal progredire veloce delle aziende del comparto informatico, chiamate Dot-com companies. Questa circostanza incrementò le aspettative di crescita e di futuri aumenti del valore dei titoli delle aziende del comparto internet; tuttavia tali aspettative furono del tutto disattese nonostante un iniziale aumento dei valori di borsa dei titoli delle aziende informatiche. Si assistette così al crollo dei mercati azionari che provocò lo scoppio della bolla speculativa producendo perdite tra gli investitori soprattutto nel comparto tecnologico.

Quindi in ragione di questa politica espansiva, nel periodo che va dal 2000 al 2006, negli Stati Uniti, si registrò anche una crescita continua e significativa dei prezzi delle abitazioni; corrispondentemente il diminuire del tasso di interesse, dovuto all’incremento di liquidità, permise l’erogazione di mutui anche a soggetti che come abbiamo detto presentavano un profilo di rischio elevato. Per la concessione di mutui o prestiti le banche non procedevano più con la fase istruttoria con la quale si verifica se il cliente è in grado di restituire il prestito, se cioè possiede uno stipendio o un reddito capaci di coprire il debito contratto.

In più l’aumento della domanda di mutui ipotecari si riflesse ulteriormente sul costo degli immobili che videro un conseguente incremento dei valori e quindi un successivo ampliamento della sovrastima dei prezzi delle abitazioni (c.d. bolla immobiliare) non dovuto ovviamente a situazioni oggettive di mercato. D’altronde le banche, che concedevano prestiti con tale grado di rischio (non andando a valutare in modo adeguato la capacità di rimborso del prestito), in caso di mancata restituzione del debito potevano contare sul pignoramento dell’immobile e conseguente vendita sul mercato, anche perché i prezzi delle abitazioni in quegli anni erano in costante crescita; in poche parole l’immobile per le banche rappresentava comunque un investimento sicuro.

Inoltre lo sviluppo del fenomeno della concessione dei mutui subprime fu rafforzato dalle operazioni di cartolarizzazione; queste ultime, definite come finanza creativa, si concretizzarono nella possibilità, per gli istituti di credito, di poter trasformare il credito vantato nei confronti dei soggetti in un titolo negoziabile sul mercato, ed in particolare la vendita avveniva a favore delle cosiddette società “veicolo”. In tal modo a fronte dei possibili recuperi nel lungo termine (in genere dai 10 ai 30 anni essendo questa la durata dei mutui) le banche preferivano vendere i propri crediti sotto forma di titoli con lo scopo di recuperare immediatamente la liquidità, concedere altri prestiti e trasferire in parte il rischio di insolvenza. In termini più tecnici questo ha significato per le banche poter sfruttare quello che viene definito l’effetto leva finanziaria (leverage) che si crea quando, disponendo di ingenti quantità di liquidità, si possono concedere prestiti anche a soggetti ad elevato rischio di insolvenza. Inoltre i mutui andarono ben oltre il limite permesso, che è rappresentato dal rapporto con il capitale proprio (uno degli indicatori che le banche devono rispettare proprio per evitare fallimenti), secondo determinati valori di sicurezza. Questa strategia molto pericolosa porta immediati profitti, anche molto elevati, ma per contro presenta un altrettanto elevato rischio di perdite di capitale.

Tornando al periodo precedente al 2006 il fatto di recuperare velocemente liquidità incentivò nuovamente gli istituti di credito a concedere ulteriori finanziamenti a fasce di soggetti sempre meno affidabili, mentre nel contempo, le società veicolo si finanziavano vendendo sul mercato titoli a breve termine acquistati maggiormente da piccoli e medi investitori statunitensi ed europei. Fu poi questa in breve sintesi la modalità con cui la crisi si estese in tutta l’Europa ed anche oltre: le banche statunitensi potevano concedere prestiti a chiunque, senza una accurata valutazione del rischio creditizio, in quanto potevano confidare sulla cartolarizzazione del debito che consentiva loro di recuperare immediatamente liquidità e trasferire il rischio di insolvenza sulle società veicolo che a loro volta vendevano titoli agli investitori di tutto il mondo.

Esplose così nel 2007 la bolla del mercato immobiliare statunitense provocando grandi perdite per privati, aziende, istituti di credito; cosa era accaduto? I prezzi degli immobili iniziarono a diminuire, in quanto erano stati artificiosamente gonfiati, e quindi il loro valore rischiava di non coprire l’ammontare di mutuo concesso; così per bilanciare le perdite sulla linea capitale le banche iniziarono ad aumentare i tassi di interesse. Ciò portò come conseguenza l’impossibilità per molti debitori di poter pagare le rate di mutuo (basate su interessi variabili); a fronte di ciò gli immobili furono ripresi dalle banche per la vendita sul mercato ma i prezzi in calo non permettevano loro una rivendita veloce e soprattutto redditizia. Così gli istituti di credito smisero di concedere mutui, il mercato immobiliare si bloccò e ciò contribuì a far diminuire ancora di più i prezzi delle case. Ormai il panico aveva travolto il mercato immobiliare ed il sistema finanziario statunitense; il caso più significativo fu il fallimento del colosso della finanza: la società Lehman Brothers. Fu uno dei più eclatanti casi di bancarotta che investì la storia degli Stati Uniti e travolse l’intero mondo finanziario, innescando un effetto domino governato dal panico; il crollo del mercato immobiliare e di numerosi titoli quotati in borsa fu la risultante di una bolla di speculazione che aveva gonfiato per anni i mercati immobiliare e finanziario. Le banche smisero di concedere prestiti e le aziende di molti Paesi si vedevano negato il denaro anche per le attività produttive ordinarie; ciò comportò chiusure di aziende, fallimenti ed incremento della disoccupazione.

Questa crisi così traumatica per molte economie, perché non tutte furono travolte nello stesso modo dagli eventi, ha indotto il mondo bancario a sottoscrivere gli accordi di Basilea 3 con i quali sono state dettate regole di condotta più stringenti per gli operatori finanziari.

Fatto sta che la politica di azzardo morale (in inglese moral hazard che in poche parole implica che per azioni molto rischiose il vantaggio sarà esclusivamente di coloro che le hanno realizzate, mentre in caso di problemi saranno altri a sopportarne le conseguenze negative) attuata dagli istituti finanziari statunitensi, i quali peraltro non sono stati adeguatamente controllati dagli organi preposti (come ad esempio le agenzie di valutazione dei rischi c.d. agenzie di rating), di fatto si è tradotta in un’ondata che ha sconvolto intere economie nonché famiglie e piccole e medie aziende di tutto il mondo. L’architettura è collassata a causa di una politica ed un atteggiamento irresponsabile e superficiale da parte degli operatori; infatti la spirale che si è autoalimentata a partire dalla grande quantità di liquidità ha portato ad un’esplosione dei prezzi degli immobili non supportata da valori oggettivi e presupposti reali che però nessuno ha denunciato o anche solo evidenziato. In più la finanza ha trovato il modo di moltiplicare e di inquinare i mercati di tutti i Paesi attraverso la cartolarizzazione dei debiti contratti, contribuendo così a proliferare e ad allargare il grado di rischio di perdite che poi di fatto si sono verificate anche perché il mercato finanziario non era supportato dal mercato reale. In più le agenzie di rating, cioè quelle deputate a verificare la solidità e la sicurezza delle obbligazione immesse sul mercato, contribuirono non poco ad infettare tutto il mercato in quanto considerarono sicure le obbligazioni emesse per effetto del gioco delle cartolarizzazioni che a sua volta si autoalimentò creando anche ulteriori livelli di cartolarizzazione. Anche le banche investirono in questi strumenti finanziari vacui che vennero posti a base delle riserve e considerati come una salvaguardia dei depositi bancari.

L’analisi a posteriori vede come attori e responsabili gli istituti finanziari, le agenzie di rating, i finanzieri creatori della finanza innovativa, la politica fortemente espansiva della banca statunitense centrale (la FED) che portò a livelli molto bassi i tassi di interesse, e non ultimo il potente strumento dell’informazione di massa che spinse gli investitori, poco attenti e preparati, a scommettere su strumenti innovativi e che promettevano lauti guadagni. Alla fine il risultato fu che il valore effettivo degli immobili era decisamente molto più ridotto del valore per il quale si era concesso il mutuo, i tassi di interesse che poi iniziarono a crescere divennero insostenibili per i proprietari che avevano contratto debiti e che non avevano solide fonti di reddito, le banche si trovarono a svendere immobili finiti sul mercato delle aste e a non avere più liquidità per il mercato reale, produttivo che collassò anch’esso dopo breve tempo provocando un forte aumento del tasso di disoccupazione e un crollo del livello dei redditi. E’ facile intuire quali furono le vittime, che ancora oggi ne pagano le conseguenze, mentre rimane un dubbio su coloro che si sono arricchiti da questa crisi….Forse viene subito in mente una considerazione: si potrebbe essere arricchito tutto il sottobosco dell’economia malavitosa che potendo contare su un altissimo grado di liquidità ha potuto acquistare patrimoni immobiliari a prezzi davvero stracciati, e acquisire la proprietà di aziende ormai costrette quasi al collasso? E’ d’obbligo una profonda riflessione.

 





DALLA CRISI DEI MUTUI SUBPRIME ALLA CRISI DEL DEBITO SOVRANO

di Alessandra Di Giovambattista

 8-10.2024

Per contrastare la crisi finanziaria del 2007 abbattutasi sul mercato statunitense in ragione della concessione di mutui a soggetti non aventi adeguate garanzie per la restituzione dei prestiti, meglio conosciuta come la crisi dei mutui subprime (crisi causata da una bolla speculativa immobiliare e da pratiche di azzardo morale da parte degli istituti finanziari che permisero operazioni di cartolarizzazione dei debiti per mutui non sempre adeguatamente garantiti), il Governo americano negli anni dal 2007 al 2009 decise di intervenire. Organizzò un piano di salvataggio delle grandi banche statunitensi che ne vide in parte la nazionalizzazione ed in parte l’acquisto di titoli di debito privati. In particolare la FED consentì l’immissione sul mercato di ingenti quantità di moneta (si parla di circa 7.700 miliardi di dollari complessivi a fronte di una richiesta iniziale di 700 miliardi di dollari!!!) a tassi prossimi allo zero per cento con la finalità di sostenere banche ed assicurazioni statunitensi e consentire l’acquisto dei titoli cartolarizzati che avevano inquinato il mercato nord americano, ma, purtroppo, anche quelli europei e mondiali in generale.

In particolare in Europa la crisi investì inizialmente l’istituto britannico Northern Rock che era specializzato nella concessione di mutui immobiliari; esso fu il primo ad essere preso d’assalto con ingenti richieste di rimborsi dei depositi innescate dal panico che si era scatenato negli USA. Anche in tal caso dovette intervenire il Governo britannico che attuò il salvataggio impegnando circa 110 miliardi di sterline. Ma questo fu solo il primo di successivi interventi che provvidero a ricapitalizzare le banche - al fine di ristabilire l’equilibrio tra riserve e depositi – e ad acquistare obbligazioni per sostenere gli istituti di credito che entravano in crisi perché nei loro portafogli crediti erano presenti titoli cartolarizzati ormai privi di valore.

Anche in Europa furono attuati salvataggi degli istituti di credito presenti in nazioni quali: Germania, Danimarca, Belgio, Grecia, Lussemburgo, Olanda, Svezia e Portogallo. Complessivamente, in tutta Europa (secondo dati forniti nell’analisi dell’ufficio studi di Mediobanca - MBRES del dicembre 2013) furono erogati circa 3.166 miliardi di euro di aiuti finanziari che si concretizzarono in garanzie per circa 2.443 miliardi di euro, in ricapitalizzazioni per circa 472 miliardi di euro e linee di credito e prestiti per 251 miliardi di euro.

Per avere una dimensione del problema basti pensare che in Germania gli aiuti pubblici da parte del Governo interno furono ingenti e riguardarono essenzialmente la sottoscrizione di azioni o titoli subordinati (questi ultimi individuati come titoli di debito subordinati alla prioritaria soddisfazione di altri creditori non subordinati; presentano un alto grado di rischio rispetto alle obbligazioni ordinarie) per un ammontare di circa 56 miliardi di euro (con l’obiettivo di ripatrimonializzare le banche) e la concessione di garanzie sulle passività contratte dagli istituti bancari, per un ammontare totale di circa 380 miliardi di euro.

Gli interventi a favore del sistema bancario e assicurativo iniziarono a gonfiare i debiti pubblici ed il deficit pubblico di diverse nazioni europee; nel maggio del 2010 l’Unione europea (UE), il Fondo monetario internazionale (FMI) e la Banca centrale europea (BCE) vararono un piano di salvataggio per la Grecia, ormai messa in ginocchio dalla crisi, di circa 110 miliardi di euro.

L’anno dopo tutte le nazioni dell’Europa videro una crescita ingente del proprio debito pubblico: si innescò così la crisi del debito sovrano.

Tutte le misure individuate dall’UE per superare la crisi del debito sovrano hanno però influito negativamente sui paesi più deboli, con pregresse esposizioni debitorie pubbliche; dopo il commissariamento della Grecia, fu il turno dell’Irlanda (con aiuti per 85 miliardi di euro), e del Portogallo (con aiuti pari a circa 78 miliardi di euro). La Spagna invece vide l’intervento del Fondo Europeo di salvataggio (EFSF) che nel 2012 erogò un prestito allo Stato di oltre 30 miliardi di euro. Tale flusso di risorse ha rappresentato solo il primo blocco di aiuti che l’Unione Europea ha riconosciuto alla nazione, in quanto l’ammontare totale di erogazioni è stato pari a circa 100 miliardi di euro finalizzati alla capitalizzazione ed alla ristrutturazione del sistema bancario interno fortemente colpito dalla crisi.

Anche l’Italia, nell’agosto del 2011, ricevette una lettera con una serie di raccomandazioni per far rientrare il debito pubblico, modificare le norme sulle pensioni, sui contratti di lavoro e le liberalizzazioni. Tuttavia il sistema bancario non ha potuto usufruire di importanti interventi pubblici; infatti i salvataggi furono per un ammontare di poco più di 4 miliardi di euro per acquistare obbligazioni subordinate emesse da quattro banche. Le difficoltà maggiori in Italia furono registrate a causa della crisi del debito sovrano, successiva a quella dei mutui subprime,per la sua pregressa posizione finanziaria di ingente indebitamento pubblico. In particolare in Italia gli attivi bancari furono indirizzati verso l’acquisto di titoli pubblici nazionali, mentre l’intervento statale si sostanziò nella forma della garanzia pubblica sulle obbligazioni emesse dal sistema finanziario per garantirne l’acquisto da parte della Banca Centrale Europea. Il tutto portò a crisi di liquidità verso i settori produttivi e nel 2009 la contrazione del PIL italiano fu di circa 5 punti, facendo così registrare una delle crisi più gravi del dopoguerra.

Con il senno di poi ci si accorse che il sistema finanziario complessivo non aveva retto alla crisi dei mutui subprime a causa della mancanza di regolamentazione del sistema finanziario, di stringenti requisiti ed indicatori di capitale e di dettagliate norme di natura contabile; per contro si erano sviluppati e rafforzati atteggiamenti di azzardo morale causati da forme distorte e nefaste di deresponsabilizzazione. Il tutto ha portato ad una revisione della disciplina del settore finanziario, che ha individuato norme più dettagliate e stringenti in materia di regole e modalità di gestione delle aziende (c.d. governance) e di gestione dei rischi. Infine si è arrivati a concepire normative e prassi condivise a livello europeo e statunitense per cercare di rendere più forte il sistema finanziario complessivo. Frutto di queste politiche sono state la creazione dell’Autorità bancaria europea (EBA), dell’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA), dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA).

Di fatto i salvataggi bancari attuati obbligarono gli Stati ad indebitarsi per trovare risorse pubbliche per finanziare i sistemi bancari e provare a salvarli; tuttavia il passaggio successivo fu che le banche non concessero più credito alle attività produttive; il risultato fu una recessione a livello globale con cadute del Prodotto interno lordo (PIL) che registrò anche valori di segno negativo.

Le difficoltà di questi paesi si ripercossero su tutto il sistema economico-finanziario europeo; le banche continuarono ad essere le aziende più esposte alle problematiche monetarie a causa dell’acquisto di titoli del debito pubblico. Le problematiche si riscontrarono nella banche dei paesi più vulnerabili in quanto le agenzie di rating,cioè quelle deputate a dare una valutazione dei rischi sugli investimenti, avevano abbassato la classe di merito proprio al debito emesso dai paesi più deboli e ciò implicò un rialzo dei tassi di interesse. E’ evidente che in tale situazione le banche non disponevano di sufficiente liquidità per finanziare l’attività reale, produttiva e così il risultato fu una recessione generalizzata che contagiò tutto il mercato europeo. Il credito fu razionato e ristretto a pochi casi, così che molte economie furono messe in ginocchio e la recessione, già in atto, fu più che amplificata. Si fa ancora memoria dell’innalzamento dello spread, cioè del differenziale di rendimento dei buoni nazionali rispetto a quelli tedeschi, ritenuti i più sicuri, che costò molto caro all’Italia che dovette far fronte ad un incremento del tasso di interesse sul debito pubblico che arrivò al 7%. Tale innalzamento, causato dalla percezione di un grande rischio riguardo al sistema economico italiano (quindi una vera e propria ondata di panico nei confronti del sistema Italia) nonché dalla ricerca di investimenti in titoli più sicuri come quelli emessi dal Governo tedesco, condusse ad aumentare ancora di più il livello di indebitamento dello Stato italiano sul versante del pagamento degli interessi passivi.

Le misure di contenimento attuate dal fondo europeo ebbero però solo effetti momentanei; infatti la fiducia degli operatori economici riguardo agli Stati più vulnerabili era ormai compromessa e tutte le politiche che la BCE cercava di implementare per sostenere l’economia reale attraverso misure di politica monetaria sembravano dover fallire con forti ripercussioni negative in termini di concessione di prestiti e mutui a famiglie ed imprese.

Fu poi all’inizio del 2015 che la BCE varò il programma di acquisto di titoli emessi da aziende private estendendolo anche ai titoli pubblici emessi in euro, immettendo così liquidità sul mercato: il c.d. quantitative easing (letteralmente alleggerimento quantitativo), misura di politica monetaria non convenzionale rispetto alla tipica manovra di variazione del tasso di interesse praticato dalla banca centrale. La misura, avviata dall’allora presidente della BCE, Mario Draghi, era finalizzata ad influenzare direttamente le variabili finanziarie che agiscono sul mercato reale, immettendo liquidità attraverso l’acquisto di titoli del debito pubblico e obbligazioni in generale, e ottenendo coì una diminuzione del tasso di interesse per favorire la concessione di prestiti.

La misura ebbe un buon successo rispetto alle manovre precedenti implementate dalla BCE che si erano basate sulla concessione di aiuti alla banche che solo in seconda battuta avrebbero dovuto migliorare e ristabilire il funzionamento ottimale del mercato reale concedendo prestiti e credito ad aziende e famiglie. Invece il passaggio delle risorse dalle banche agli operatori non accadde perché il sistema bancario era davvero deteriorato. Invece il quantitative easing agì direttamente sugli operatori economici, senza interessare le aziende intermediarie del credito, cercando di far ripartire l’economia e con l’obiettivo, a latere, di far rialzare il tasso di inflazione a livello fisiologico, stimato pari a circa il 2% annuo. Questa misura diretta contribuì ad un aumento della fiducia degli investitori e interruppe l’andamento decrescente dell’economia dei paesi dell’area euro, soprattutto di quelli più deboli, con una diminuzione dello spread e un conseguente recupero di risorse finanziarie pubbliche – come conseguenza della diminuzione degli interessi pagati sul debito – da destinare ad obiettivi di politica economica e sociale.

La crisi del debito sovrano, derivante da quella dei mutui subprime, può così rappresentare un chiaro esempio di come la globalizzazione nei rapporti economico-finanziari possa creare dipendenze e reazioni a catena in tutti i sistemi finanziari del mondo. In precedenza le crisi erano contenute in ambiti geopolitici abbastanza delimitati e con normative e usi abbastanza comuni, invece oggi con gli strumenti informatici di compravendita di titoli, la finanza creativa, i legami finanziari delle grandi multinazionali e l’ingresso di nuovi Paesi sulla scena economica mondiale come Cina, India e i paesi emergenti in generale – che presentano specificità normative e industriali molto diverse da quelle occidentali – si è di fronte a scenari molto più complessi. Conseguentemente si molto più difficile riuscire a trovare soluzioni e correttivi che possano soddisfare tutte le differenti realtà. Una possibile soluzione si può trovare nella creazione di autorità e di norme comuni e condivise che possano aiutare ad affrontare congiuntamente crisi di così vasta portata.