LE POLITICHE FINANZIARIE DI CONTRASTO DEL COVID19
di Alessandra Di Giovambattista

21-09-2023

 

Per contenere i danni derivanti dalla pandemia da COVID19, il Governo ha varato delle disposizioni con la finalità di sostenere la liquidità delle imprese ed i redditi delle famiglie ed assicurare l’accesso al credito prestando delle garanzie pubbliche. I termini per gli adempimenti fiscali sono stati fatti slittare così come anche i pagamenti di natura contributiva e fiscale. La spesa pubblica è pertanto aumentata da un lato per la proroga dei pagamenti tributari e contributivi (versante delle entrate), dall’altro per garantire in ambito sanitario una risposta efficace alla crisi da COVID19 e per sostenere famiglie ed imprese nelle proprie attività (versante delle spese e dei trasferimenti).
Sostegni ed aiuti provengono al nostro Paese anche da parte dell’Unione europea (UE) e delle banche centrali; in particolare si sottolineano le misure fortemente espansive della Banca centrale europea (BCE) e dell’Autorità europea di vigilanza delle banche (EBA) per sostenere la liquidità del sistema bancario e permettere agli istituti di credito di finanziare adeguatamente le attività produttive e le famiglie. Fin dall’inizio della pandemia l’Europa ha varato provvedimenti volti a contrastare la crisi economica; immediatamente si è reso meno rigido il meccanismo del vincolo di bilancio pubblico, conferendogli più flessibilità in termini di saldo, e si sono resi meno stringenti i limiti degli aiuti di Stato.
Poi tra le prime misure vi è stata l’autorizzazione di un pacchetto di aiuti di un valore di 540 miliardi di euro a favore dell’occupazione, dei lavoratori, delle imprese e degli Stati membri dell’UE. La ripresa ha richiesto sforzi congiunti da parte di tutti i Paesi membri; così è stato concordato, il 21 luglio 2020, un pacchetto di finanziamenti che riguarda per 1.074 mld di euro il bilancio UE a lungo termine (2021 – 2027) e per 750 mld di euro gli obiettivi da raggiungere con i finanziamenti definiti con NextGenerationEU (NGEU). Queste due misure costituiscono insieme lo strumento principale in risposta all’emergenza sanitaria da COVID19 per un ammontare complessivo di 1.824 mld di euro che a prezzi correnti corrispondono a più di 2.300 mld di euro.
Il bilancio a lungo termine della UE (dal 2021 al 2027) rappresenta la base di tutti i programmi pensati per superare la crisi e creare posti di lavoro nell’ottica di un’economia sostenibile per le future generazioni; il bilancio di lungo termine traccia una strada ai Governi per far sì che tutti i Paesi cerchino di raggiungere i medesimi obiettivi che comprendono anche la transizione verde (green deal europeo) ed il passaggio all’era digitale (futuro digitale europeo). Il tutto finalizzato affinché gli Stati diventino più sostenibili dal punto di vista ambientale e resilienti ai futuri shock economico/finanziari/sociali.
Con lo strumento di ripresa NGUE l’Unione Europea intende affrontare la pandemia da COVID19 mediante la sottoscrizione di prestiti fino ad un importo massimo di 750 mld di euro; tali risorse saranno utilizzate solo per far fronte alle conseguenze della crisi attraverso gli obiettivi del NGUE ed il termine finale per il rimborso dei prestiti è fissato al 31 dicembre 2058. Gli importi del programma sono erogati in ragione di sette sottoprogrammi che saranno finanziati sotto forma di prestiti o sovvenzioni: - dispositivo per la ripresa e resilienza (672,5 mld di euro), - REACT-UE (47,5 mld di euro), - orizzonte Europa (5 mld di euro), - InvestEU (5,6 mld di euro), - sviluppo rurale (7,5 mld di euro), - fondo per la transizione giusta (10 mld di euro), - rescEU (1,9 mld di euro).
Nel corso del 2021 e del 2022 gli Stati aderenti all’Unione Europea sono stati chiamati a presentare dei piani nazionali per la Ripresa e la Resilienza (PNRR), che rappresentano i programmi a cui sono state destinate la maggior parte delle risorse del NGEU (672,5 mld di euro) di cui prestiti per 360 mld di euro e sovvenzioni per 312,5 mld di euro. La differenza tra prestiti e sovvenzioni riguarda il fatto che i primi andranno restituiti (l’orizzonte è stato fissato alla fine del 2058), mentre le seconde sono erogazioni a fondo perduto e pertanto non richiedono forme di restituzione. Le sovvenzioni sono state impegnate negli anni 2021 e 2022 per una quota del 70% e sono state distribuite in base ai seguenti criteri: Disoccupazione nel periodo 2015-2019; Inverso del PIL pro capite; quota di popolazione presente sul territorio.
Il restante 30% sarà impegnato entro la fine del 2023 in base ai seguenti criteri: calo del PIL reale nel 2020; diminuzione del PIL reale nel periodo 2020-2021; inverso del PIL pro capite; percentuale di popolazione rispetto ai territori.
Gli Stati membri per ottenere le risorse sono chiamati a presentare dei programmi di investimento in sei settori specifici: - transizione verde, - trasformazione digitale, - occupazione e crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva, - coesione sociale e territoriale, - salute e resilienza, - politiche per la prossima generazione, comprese istruzione e competenze didattico/professionali.
I piani presentati sono sottoposti ad una Commissione che decide in base ad una serie di criteri tra i quali: l’attinenza del piano alle raccomandazioni indicate per i diversi Paesi nel semestre europeo, la capacità di rafforzamento del potenziale di crescita, della creazione di posti di lavoro e della resistenza sociale ed economica dei diversi Stati membri, l’effettiva destinazione di parte delle risorse (almeno il 37% del bilancio) allo scopo di raggiungere gli obiettivi di transizione verde e digitale. La valutazione dei piani viene approvata dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e i pagamenti sono autorizzati in ragione del conseguimento di determinati indicatori di obiettivo intermedi e finali.
Il 13 luglio 2021 il Consiglio europeo ha dato il via libera ai primi 12 paesi dell’Unione che hanno presentato i piani di utilizzo delle risorse stanziate per i vari PNRR, così individuati: Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Portogallo, Slovacchia e Spagna. Il 28 luglio del 2021 si sono aggiunti altri quattro Paesi: Cipro, Croazia, Lituania e Slovenia a cui sono seguiti, l’8 settembre dello stesso anno le nazioni di Cechia e Irlanda. Successivamente il 5 ottobre si è aggiunta anche Malta ed il 29 ottobre 2021 l’Estonia, la Finlandia e la Romania. Nell’anno successivo, il 2022, e precisamente il 3 maggio sono stati autorizzati i PNRR di Bulgaria e Svezia, mentre il 17 giugno è stato dato il via libera per lo Stato della Polonia. Concludono l’Europa dei 27 i Paesi Bassi con autorizzazione data il 4 ottobre e l’Ungheria con il benestare dato il 16 dicembre 2022.
Dopo aver ottenuto la notifica ufficiale delle decisioni del Consiglio che approvano i vari PNRR gli Stati membri possono iniziare a firmare convenzioni bilaterali di sovvenzione e di prestito con la Commissione che prevedono, per i soli piani autorizzati nel 2021, di ricevere un prefinanziamento fino ad una quota del 13% dell’importo totale stanziato per la ripresa e la resilienza. Con la sottoscrizione delle convenzioni si definiranno anche le condizioni e le date entro le quali saranno erogate ulteriori risorse, ma solo dopo che la Commissione avrà verificato il raggiungimento degli obiettivi intermedi e finali posti a condizione dei finanziamenti complessivi dei diversi PNRR presentati dagli Stati membri.
Infine si evidenzia che dopo l’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina la Commissione europea ha aggiunto, all’interno dei fondi da destinare ai PNRR dei diversi Stati membri, l’ulteriore obiettivo del piano REPowerEU finalizzato a superare la crisi del mercato dell’energia. Il PNRR contribuirà all’attuazione del programma di trasformazione del sistema energetico della UE che ha come focus l’eliminazione graduale da ogni forma di dipendenza dai combustibili fossili provenienti dalla Russia, finanziando infrastrutture e sostenendo riforme nel settore energetico. Pertanto all’interno dei diversi PNRR presentati dagli Stati dovranno trovare posto degli obiettivi dedicati al piano REPowerEU i quali, alla stregua del procedimento suddetto, dovranno essere valutati dalla Commissione al fine di consentirne il finanziamento.
Ad oggi la Commissione Europea ha versato all’Italia 24,9 mld di euro il 13 agosto del 2021 sotto forma di prefinanziamento; ha poi pagato la prima rata di 21 miliardi di euro (10 mld di euro in sovvenzioni a fondo perduto e 11mld di euro in prestiti) ad aprile 2022 dopo aver certificato che l’Italia aveva raggiunto le 51 scadenze fissate per la fine del 2021.
La seconda rata è pervenuta l’8 novembre del 2022, in tal caso il versamento di 21 mld di euro è arrivato dopo la certificazione da parte dell’UE del raggiungimento dei 45 obiettivi previsti entro il 30 giugno del 2022.
L’11 settembre del 2023 la Commissione europea ha dato il via libera al pagamento della terza rata del PNRR, per cui ad inizio ottobre dovrebbero arrivare circa 18,5 mld di euro; tale rata prevedeva il raggiungimento di 55 obiettivi entro la fine del 2022, tuttavia alcuni di essi non sono stati raggiunti e sono stati fatti slittare sulla quarta rata (nello specifico il focus verteva sull’ampliamento numerico degli alloggi per studenti).
La quarta rata è attesa per la fine del 2023 e per essa a fine luglio è arrivato il parere favorevole della Commissione per il citato trasferimento degli obiettivi che dovevano raggiungersi per ottenere la terza rata.
In totale le rate sono 10 e sono semestrali; finora le erogazioni complessive sono state pari a 85,4 mld di euro.
Per finanziare gli investimenti necessari al raggiungimento degli obiettivi del PNRR l’Italia ha integrato i finanziamenti con risorse nazionali creando il Fondo Nazionale Complementare per un importo di 30,6 mld di euro per gli anni dal 2021 al 2026. Il Fondo finanzia quindi un Piano nazionale complementare (PNC) che ha modalità di funzionamento analoghe al PNRR: sono individuati interventi e programmi con obiettivi iniziali, intermedi e finali, coerenti con la tempistica e la natura degli obiettivi contenuti nel PNRR.
Si è fatto notare che l’aumento dei costi dei progetti, causato dall’elevato tasso di inflazione e l’adattamento alle nuove norme che progressivamente si adottano, hanno causato una minore spesa delle risorse ricevute dall’UE rispetto al cronoprogramma. Per ora i ritardi di spesa non stanno causando ripercussioni negative sulle erogazioni dei fondi perché di fatto le scadenze hanno riguardato quasi esclusivamente riforme, con l’approvazione di norme specifiche e l’avvio di bandi, pertanto tutte attività prodromiche agli investimenti ed alla reale attività produttiva. Le cose potrebbero cambiare quando si dovranno aprire i nuovi cantieri e dalle parole si passerà alla concretezza dei fatti. Oggi, il problema principale e paradossale, rimane quello di avere la capacità di spendere in tempo tutte le risorse stanziate dagli organismo europei.

 

L’ECONOMIA ITALIANA DEL POST COVID19

di Alessandra Di Giovambattista

15-09-2023 

Dopo il picco della pandemia da malattia identificata con la sigla COVID19 tutte le analisi di mercato sono state aggiornate, con riferimento alle previsioni sulla crescita economica per il 2020, verso un forte ribasso. In Italia, la crisi sanitaria è succeduta ad una fase in cui l’economia già dava segni di rallentamento. In estrema sintesi possiamo ricordare che la crisi del 2010, dei mutui c.d. subprime e del fallimento della banca Lehman Brothers aveva trascinato verso il basso il PIL italiano; successivamente mentre si avevano dei modesti segnali di crescita, si è presentata la crisi dell’euro e dello spread che ha fatto registrare una seconda recessione proseguita fino nel 2013. Negli anni successivi la crescita è stata molto lenta ed il PIL nel 2018 e 2019 è aumentato rispettivamente dello 0,8% e dello 0,5%. A ridosso di tale precaria situazione economica le misure anti Covid del 2020 sono state così stringenti che hanno prodotto un shock pesante per il nostro mercato già fragile, tanto da indurre il Fondo monetario internazionale a stimare un calo del PIL italiano nel 2020 pari al -9,1% (a consuntivo si è attestato al -9%) a fronte di una media dell’area europea del -7,5%. In generale si può dire che è ormai da più di un decennio che l’Italia viaggia sui valori più bassi del PIL registrati nell’area dell’eurozona.

Le misure di distanziamento sociale introdotte nel nostro Paese sono state severe, forse tra le più severe, ed hanno riguardato prima la chiusura delle scuole e la sospensione di eventi pubblici, poi a partire dal 9 marzo 2020 si è assistito all’introduzione di diverse limitazioni alla libera circolazione di persone anche all’interno dei confini nazionali e finanche dei confini comunali. Dopo il 28 marzo si sono fermate le attività in diversi settori produttivi ritenuti non essenziali e si è iniziato ad implementare il lavoro da remoto (c.d. smart working). Poi le restrizioni sono state lentamente rimosse a partire dal 4 maggio del 2020. 

Quindi, gli effetti del lockdown, in aggiunta alla già precaria situazione economica, sono apparsi subito molto pesanti per il nostro Paese; le previsioni sulle prospettive economiche rese note dalle istituzioni internazionali hanno mostrato delle ricadute della crisi molto più forti in Italia rispetto a quanto stimato per le altre economie sviluppate ed in particolare quelle dell’eurozona. Ciò è dipeso da vari fattori in particolare legati al maggior prolungamento del distanziamento sociale rispetto ad altri Paesi, che ha impattato negativamente sulle attività dei settori in cui si è imposto il fermo produttivo ed ha generato un deterioramento delle relazioni intersettoriali. Inoltre la dura politica sociale che ha previsto la perdita del lavoro a fronte della scelta di non voler effettuare la vaccinazione senza offrire una valida attività lavorativa alternativa, ove possibile, da poter svolgere da remoto, ha creato sfiducia ed incertezza che si sono tradotti, in ultima analisi, in diminuzione del reddito disponibile e pertanto in un calo dei consumi. In più l’economia italiana che si caratterizza per la forte vocazione turistico alberghiera, la quale con tutto l’indotto contribuisce al PIL per una quota superiore al 13% (dato del 2017), è stata più duramente colpita e provata dalle misure di chiusura dei flussi internazionali, ed anche nazionali, del turismo, rispetto ad altre nazioni. Questo implica che gli effetti della pandemia sul terzo settore si sentiranno più intensamente e per un periodo più lungo rispetto a settori come quello primario (agricoltura e allevamento) e secondario (industriale). L’Italia è poi un’economia fortemente dipendente dalle esportazioni e anche dalle importazioni di materie prime; questo ultimo aspetto è peraltro venuto marcatamente fuori con la recente e tutt’ora in atto guerra russo-ucraina. A ridosso della pandemia da COVID19 il calo del commercio internazionale ha contribuito in modo rilevante al crollo del PIL in Italia.

Il clima di sfiducia, anche verso le istituzioni, derivante dalla crisi sanitaria, ha avuto conseguenze sociali che in Italia sono state più rilevanti rispetto agli altri Paesi europei; un’indagine pubblicata nel 2020 (promossa dall’osservatorio dell’Istituto Toniolo e dal Ministero per le Pari Opportunità e la Famiglia) ha evidenziato che tra i giovani italiani in età compresa tra i 18 ed i 34 anni, circa il 60% di essi ritiene che l’emergenza sanitaria segnerà negativamente i propri piani e progetti futuri a fronte del 46% e del 42% dei giovani rispettivamente francesi e tedeschi a cui è stato rivolto il medesimo questionario. In particolare è emerso che i giovani italiani dichiarano di dover rinunciare ai propri progetti, mentre i ragazzi europei affermano di dover solo posticipare i propri progetti.

Una tale situazione denota, a modesto avviso, una sensazione di sfiducia causata da una percezione di abbandono da parte delle istituzioni che ormai poco curano la scuola, e più in generale le politiche giovanili per il lavoro, lo sport ed il tempo libero. In più si aggiunga che assistiamo ad un rapido crollo dei valori socio familiari che invece di proporre sicurezza e stabilità, si basano sempre più su modelli egoistici ed effimeri.

Le ricadute molto pesanti sul mercato del lavoro, sebbene siano stati erogati gli ammortizzatori sociali implementati dal Governo (che purtroppo hanno generato, a causa del mancato controllo, anche situazioni di frode), si sono concretizzate in una diminuzione delle ore lavorate e del numero degli occupati; la perdita si è concentrata soprattutto tra i lavoratori autonomi e tra quelli con contratto a termine, con una particolare penalizzazione di giovani e donne. Ciò ha prodotto una compressione del livello dei consumi, nonostante la politica fortemente espansiva da parte dello Stato, che ha portato con sé anche una crescita della povertà assoluta in Italia.

Nel termine di povertà assoluta si fanno rientrare le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia di povertà assoluta, cioè quella legata alle necessità fisiologiche di base e si ricollega quindi al concetto di mancanza di beni e servizi primari, a prescindere dal livello socio economico del contesto in cui le famiglie stesse vivono. I dati ISTAT ci dicono che nel 2020, si contano oltre 2 milioni di famiglie in povertà assoluta, con un’incidenza che passa dal 6,4% nel 2019 al 7,7% ne 2020, concentrate numericamente più nel nord che nel centro e nel mezzogiorno; tuttavia molte famiglie, pur scivolando nell’area della povertà assoluta, hanno comunque mantenuto una spesa per consumi prossima ad essa, grazie alle misure pubbliche di sostegno. La povertà assoluta è sostanzialmente cresciuta per  le famiglie con una persona di riferimento produttrice di reddito in età lavorativa, mentre nelle famiglie con la persona di riferimento percettrice di reddito da pensione l’incidenza è stata notevolmente minore, essendo i redditi da pensione garantiti e protetti molto più dei redditi da lavoro. A ciò si aggiunga la già ricordata discutibile misura di escludere dal lavoro, anche part time, i soggetti non vaccinati che ha contribuito ad innalzare tale indicatore e ha indotto i soggetti a situazioni di sottoccupazione e di lavoro sommerso. Inoltre la povertà assoluta è salita molto di più nei nuclei composti da stranieri e nei nuclei più numerosi ed è cresciuta per tutte le classi di età; tuttavia c’è da sottolineare che sono oltre 1 milione i minori in povertà assoluta.

Complessivamente si è assistito soprattutto ad un elevato disagio economico che, esaminando le variabili e considerando gli aiuti ed i sostegni erogati, non è tanto da imputare a condizioni economiche degradate, quanto piuttosto al senso si incertezza legato alla consapevolezza del carattere temporaneo dei sostegni, oltre che al permanere di rischi sui tempi ed i modi con i quali è stata affrontata l’emergenza sanitaria. Il tutto amplificato dai media che, se da un lato hanno contribuito fortemente ad allineare le persone a favore delle misure sanitarie decise dal Governo, dall’altro hanno aumentato la psicosi sulla mancanza di cure adeguate, ed hanno giocato sulla pressante informazione negativa senza fare distinzioni chiarificatrici di tipo statistico sanitario circa, ad esempio, le incidenze dei morti da COVID19 rispetto ai soggetti malati. Inoltre ha pesato psicologicamente il venire meno di elementi di benessere e di svago impraticabili durante la pandemia.

Altri fattori che sono emersi nell’analisi dell’aumento della povertà hanno riguardato l’età ed il titolo di studio: la fascia di età lavorativa più avanzata ed il titolo di studio più elevato hanno prodotto un effetto barriera protettivo nei confronti della crisi. Indubbiamente un altro elemento fortemente determinante è stato anche il settore economico di attività in quanto i lavoratori più penalizzati sono stati quelli legati al commercio, all’agricoltura ed all’industria, tutti settori dove più forte si è sentito il peso della sospensione e della discontinuità dell’attività.

Considerando tutti i fattori si può sinteticamente affermare che nel 2020 i problemi di povertà derivanti dalla crisi pandemica hanno inciso sul Mezzogiorno in modo rilevante, andandosi ad aggiungere e problemi socio-economici già presenti in questa area (il 20,7% della popolazione ha avuto difficoltà economiche); i disagiati hanno raggiunto la quota del 9,5% nel Centro Italia, mentre il Nord ha registrato una percentuale di aumento della povertà del 12%. Per le stesse aree nell’anno 2019 il disagio era rappresentato dalle seguenti percentuali: 11,8%, 5% e 4,8% risultando così che il peggioramento al Nord è stato relativamente più ampio rispetto alle altre due zone d’Italia in una sorta di convergenza verso il basso.

Nel 2021 non ci sono state notevoli differenze, le famiglie in povertà assoluta sono poco più di 1,9 milioni su un totale di persone indigenti di circa 5,6 milioni, di cui 1,4 milioni sono minorenni. Bisogna sottolineare tuttavia che a fronte di un miglioramento sanitario e di una lenta ripresa produttiva si è assistito ad un peggioramento di natura economica, dovuto all’aumento dell’inflazione che ha eroso il reddito reale delle famiglie. Differenze si colgono anche nel fatto che il Nord migliora la sua posizione rispetto alla povertà, mentre il Sud scivola sempre più verso il basso; è inoltre in ripresa la spesa per consumi delle famiglie.

I dati per il 2022 non sono ancora disponibili essendo stati modificati i criteri di stima, per cui l’ISTAT farà conoscere le rilevazioni nel prossimo mese di ottobre

IL LIVELLO DI POVERTÀ DOPO LA PANDEMIA DA COVID-19

di Alessandra Di Giovambattista

 12-09-2023 

Prima dell’avvento della pandemia causata dalla malattia Covid - 19, di cui ancora si sa molto poco, l’economia mondiale nel biennio 2017-2018 era cresciuta - utilizzando come riferimento il valore del prodotto interno lordo (PIL) - in media del +3% annuo, con punte che in Cina hanno superato il +5%, e negli USA il +2,3%. Successivamente alla crisi sanitaria, utilizzando i dati diramati dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) il 26 gennaio 2021, la contrazione del PIL nell’anno 2020 si è attestata intorno al - 3,5%. E’ sicuramente uno degli eventi che più hanno scosso il mondo dal punto di vista sociale, sanitario ed economico negli ultimi 40 anni, e le conseguenze le risentiremo ancora per diverso tempo, specialmente dal punto di vista umano e psicologico e si presenteranno in maniera eterogenea a seconda delle situazioni e della solidità economico/sociale antecedenti la pandemia e le modalità di contrasto implementate. L’impatto negativo della recessione del 2020 ha interessato quasi tutti gli Stati del mondo, lasciando solo la Cina con una crescita dimezzata, ma con il segno comunque positivo (+2,3%).

Tra gli effetti del periodo post Covid - 19 si è riscontrato anche un aumento della tendenza sperequativa della distribuzione della ricchezza; infatti le 500 persone più ricche al mondo, secondo l’indice Bloomberg Billioners, hanno incrementato i propri patrimoni del 31% in più rispetto al 2019, facendo arrivare le proprie ricchezze ad un valore di 7.600 miliardi di dollari (pari ad una volta e mezzo il PIL del Giappone); in particolare quattro dei cinque personaggi più facoltosi al mondo sono statunitensi e sono proprietari delle principali aziende tecnologiche, mentre il quinto  è europeo ed è nel campo dei prodotti del lusso (moda e prodotti enologici). Nell’ordine si trovano: Elon R. Musk (marchio Tesla), Jeff Bezos (marchio Amazon), Bill Gates (marchio Microsoft), Bernard Arnault (marchi Luis Vuitton e Moët Hennessy), infine Mark Zuckerberg (marchio Facebook). Si è evidenziato che il tasso di crescita del loro patrimonio è il più elevato degli ultimi 8 anni, cioè da quando è stato costruito l’indice suddetto.

Nel senso opposto la Banca Mondiale nel suo monitoraggio della povertà globale ha rilevato che la popolazione in condizioni di estrema povertà è diminuita in modo continuativo, ed ha subito una consistente riduzione negli ultimi decenni passando dal 60,1% del 1970, al 9,2% del 2017. Tuttavia la crisi pandemica ha interrotto questo trend migliorativo innescando un’inversione di tendenza; infatti gli effetti del post COVID19 si sono sentiti specialmente sulle fasce più povere e deboli della popolazione ed hanno colpito le nazioni più vulnerabili, con ciò aumentando il rischio di incremento delle disuguaglianze. Dopo vent’anni la riduzione del numero di persone in povertà estrema si è arrestata e tra le possibili indicazioni volte ad aiutare le economie più fragili vi è il sostegno finanziario internazionale ed il progresso delle campagne di vaccinazione finalizzati alla creazione dei presupposti per uscire dalla crisi, ridurre l’incertezza economica e tornare alla crescita. Prima della COVID19 l’unico aumento della povertà era stato indotto dalla crisi finanziaria asiatica di fine millennio che aveva incrementato la povertà di 18 milioni di persone nel 1997 e di altri 47 milioni nel 1998; successivamente, dal 1999 al 2019 il numero di persone che vivevano in estrema povertà nel mondo è diminuito, sempre secondo le statistiche della Banca Mondiale, di oltre 1 miliardo di persone, con una media di circa 50 milioni l’anno. Pertanto la Banca Mondiale sottolinea che parte del successo nella lotta alla povertà raggiunto negli ultimi decenni, potrebbe essere del tutto annullato dagli effetti della pandemia da COVID19, anche perché gli effetti negativi si trascineranno anche negli anni successivi al 2020, nonostante la ripresa economica che, a onor del vero, non ha rispettato le percentuali attese e sperate. Il timore è che, se da un lato, l’economia lentamente inizierà a riprendere la crescita, dall’altro il numero di poveri continuerà ad aumentare, a testimonianza del carattere non inclusivo e strettamente egoistico delle dinamiche che governano l’economia globalizzata, fortemente neoliberiste. Oltre agli strascichi derivanti dalla pandemia ci si attende un incremento della soglia di povertà anche per effetto dei cambiamenti climatici e dagli effetti derivanti dai conflitti presenti in diverse aree del mondo (essenzialmente medio Oriente e Nord Africa). Molti dei nuovi poveri sono poi concentrati in contesti urbani dove è presente un accentuato accentramento, come le bidonville e le favelas e sono sottooccupati, non regolarmente denunciati agli organi preposti al controllo ed alla regolamentazione del lavoro, e spesso assoldati dalla malavita e pertanto non raggiungibili dagli ammortizzatori sociali esistenti.

In termini di zone geografiche più interessate dall’aumento della povertà si trovano i paesi già caratterizzati da una elevata quota di poveri, tuttavia il fenomeno dell’incremento, nel corso del 2020, ha interessato anche una parte dei paesi a reddito intermedio, nei quali, una percentuale di popolazione è scesa al di sotto della soglia di povertà estrema. Tale fenomeno è stato letto con attenzione e si è osservato che gli effetti della crisi economico-sociale, hanno inciso maggiormente nei paesi in fase di sviluppo (America Latina con il -7,2%, India con il -8%, ASEAN-5, cioè: Indonesia, Thailandia, Malesia, Filippine e Vietnam con il -3,7%) e più integrati nel sistema economico globale, rispetto a quelli meno sviluppati, ancorati ancora a sistemi e modelli economici più localizzati e tradizionali (si pensi ai paesi dell’Africa sub-Sahariana con economia basata su agricoltura familiare di sussistenza che hanno fatto registrare un -2,6%). Ciò potrebbe spiegarsi, a modesto parere, considerando che laddove l’economia globalizzata può avere il potere di catalizzare e far crescere tutti i paesi in essa integrati, anche se a ritmi differenti, essa ha anche il potere di trascinare più rapidamente gli stessi paesi verso la crisi economica, finendo per amplificare le fluttuazioni e le distorsioni del mercato a causa dell’attuale modello di capitalismo estremo che vede i sistemi economici legati in modo esasperato ed esclusivo all’aspetto finanziario. Questa caratteristica conferisce un maggior grado di incertezza circa i modi ed i tempi in cui le economie più fragili riusciranno ad uscire dalla crisi e ad invertire il trend di crescita della povertà. Quindi una delle conclusioni dell’osservazione porta ad affermare che la crisi economica dovuta alla pandemia ha colpito maggiormente i Paesi integrati e interconnessi nel sistema economico globalizzato, in particolare quelli dell’Asia meridionale e del Sud est asiatico, in via di sviluppo e a reddito intermedio, laddove per i paesi a reddito elevato la percentuale di crescita dei poveri scivolati sotto la soglia di povertà è oscillata dallo 0,6%, all’1,3% (sempre secondo le stime della Banca Mondiale).

Se è ormai consolidato che la crisi post pandemica da COVID-19 ha fatto crescere il tasso di povertà, tuttavia c’è anche da evidenziare che la stessa Banca Mondiale aveva già rilevato un rallentamento del trend di riduzione dello  stesso indicatore di povertà anche prima della pandemia. Questo ci induce a ritenere verosimile che in tutte le economie sia presente comunque una percentuale fisiologica di soggetti in povertà, così come nelle stesse società è presente un tasso fisiologico di disoccupazione (tasso naturale di disoccupazione) ed un tasso di inflazione (al di sotto del quale non sarebbe mai bene scendere, che si attesta al 2%, secondo stime della Bce).

Il Fondo monetario internazionale, in un report del 29 ottobre del 2020, ha invece posto in risalto come l’impatto della crisi economica derivante dalla pandemia abbia aggravato la dinamica delle disuguaglianze, un trend già in atto da diversi decenni a seguito delle politiche neoliberiste ormai presenti nei paesi più sviluppati. In esso si legge che la crisi da COVID19 colpirà soprattutto i lavoratori più vulnerabili e le donne; nelle aree delle economie potenti e consolidate la disparità della distribuzione del reddito fra le fasce sociali subirà un aumento (di circa il 6%) ma gli effetti peggiori si avranno nei paesi a più basso reddito, cioè quelli meno sviluppati.

Un paese solido dal punto di vista economico e sociale, deve presentare un grado di inclusione sociale e di benessere che tenga conto della riduzione della povertà e delle disuguaglianze di reddito; l’obiettivo è quello che viene stimato con l’indicatore della prosperità condivisa che, dopo la pandemia, ha visto ridurre il suo livello. Le motivazioni di tale trend negativo risiedono, a modesto avviso, nel grado di incertezza e di paura generato dalla crisi sanitaria che ha implicato anche un aggravamento del sentimento di egoismo e di attenzione al proprio esclusivo particolare, allontanandosi così da uno schema di benessere condiviso e di altruismo. L’attenzione verso il più debole ed il più fragile, oltre a rappresentare uno dei principi cardine di un sentire religioso e morale, di fatto dovrebbe essere percepita anche come obiettivo razionale che dovrebbe interessare tutta la collettività; perché quando si è in situazioni di difficoltà e di incertezza chiudersi in ambiti egoistici, dove non si è portati a collaborare e ad aiutare, non può che incrementare il rischio che ognuno di noi possa scivolare, da un momento all’altro e nella più completa solitudine e disinteresse, nella profondità della soglia di povertà estrema e di indigenza. Ulteriore riflesso socio politico derivante dal principio individualistico ed egoistico è l’affievolimento ed il depotenziamento dei principi su cui si basa il sistema politico democratico. Tutto questo potrebbe tradursi in instabilità sociale che non potrà far altro che incrementare il rischio di povertà economica, umana e spirituale, e la paura, in una sorta di spirale verso il basso, fino a degenerare e ad aprire le porte verso forme di totalitarismo e di schiavitù.

Una visione solidaristica, che però purtroppo confligge con lo schema attuale dove si preferisce un modello di governo economico oligarchico ed un modello politico monocratico, potrebbe portare all’inclusione ed alla condivisione della ricchezza ed al benessere della maggior parte delle persone. Con molta umiltà forse bisognerebbe riconoscere che ognuno ha diritto al suo, che ognuno ha un posto nell’ambiente in cui vive e che forse molti dovrebbero smettere di comportarsi come super potenti con diritto di vita e di morte sulla maggior parte della popolazione mondiale e sull’ambiente visto solo come una riserva di beni produttivi da sfruttare, oggi e subito, e non anche da condividere, specialmente con le generazioni future.