LA FINANZA DELLE REGIONI A STATUTO SPECIALE

di Alessandra Di Giovambattista

16-12-2023

Le attuali cinque Regioni a statuto speciale, cioè il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, La Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Sud Tirolo diviso nelle due province autonome di Trento e Bolzano, e la Valle d’Aosta, sono previste nella Costituzione italiana all’articolo 116, a differenza dello Statuto Albertino che non ne riconosceva alcuna, alle quali sono state conferite particolari forme di autonomia in ragione di peculiari situazioni storico-geografiche.

Le competenze politico-amministrative e l’ordinamento finanziario sono disciplinati dallo statuto speciale di ogni singola Regione, che ha natura di legge costituzionale, e che ha bisogno di norme di attuazione. La procedura di modifica degli statuti speciali è disciplinata dall’articolo 138 della Costituzione e segue un iter legislativo aggravato di discussione e di maggioranza ed è volto a garantire la più ampia partecipazione degli organi regionali coinvolti. Le norme di attuazione sono invece emanate dal Governo e seguono anche esse un iter peculiare che si basa sulla riserva in via esclusiva degli statuti speciali nelle varie materie di interesse. Per le modifiche delle norme statutarie concernenti la finanza di ciascuna Regione speciale, gli statuti contengono delle disposizioni specifiche in ragione del carattere pattizio delle relazioni di ciascuna Regione autonoma nei confronti dello Stato. In effetti la caratteristica principale della finanza di questi territori si ritrova nel fatto che lo Stato concorda con ciascuna Regione, attraverso degli accordi bilaterali, le misure e le modalità del contributo per ognuna di esse agli obiettivi della finanza pubblica, l’eventuale attribuzione di nuove funzioni, la variazione delle aliquote dei tributi erariali esistenti o di nuova emanazione e la partecipazione attraverso contributi aggiuntivi e speciali per far fronte a specifici problemi.

Più nello specifico le norme statutarie definiscono ambiti e limiti del potere impositivo, tributario, finanziario e contabile di ogni Regione autonoma, riconoscono la titolarità del demanio e del patrimonio regionali, elencano tributi erariali e determinano la quota di gettito devoluta alle casse della Regione, definiscono il potere legislativo ed amministrativo in ambito finanziario.

Con riferimento all’aspetto finanziario poniamo prima l’attenzione sulla parte delle spese, in particolare sul contributo che lo Stato centrale chiede alle autonomie speciali per il risanamento dei conti pubblici, misura che nasce in attuazione di accordi bilaterali con le singole autonomie. In primo luogo lo Stato può predisporre degli accantonamenti a valere sulle risorse destinate alle Regioni a statuto speciale a titolo di compartecipazione ai tributi erariali; in secondo luogo le Regioni possono decidere di assumere oneri per l’esecuzione di funzioni direttamente trasferitegli dallo Stato: è il caso ad esempio delle province autonome di Trento e Bolzano che hanno assunto interamente o pro quota i costi delle università o dei parchi presenti sui propri territori, oppure della regione Valle d’Aosta che ha assunto gli oneri per lo svolgimento dei servizi ferroviari locali che per motivi ecologici vengono forniti utilizzando esclusivamente l’alimentazione elettrica; infine lo Stato applica le regole contenute nel patto di stabilità interno dove viene richiesto il raggiungimento del pareggio di bilancio a tutte le autonomie regionali. Ognuno di questi accordi bilaterali ha individuato il contributo della singola Regione alla finanza pubblica per il raggiungimento di finalità collettive; a titolo di esempio la Regione Valle d’Aosta vi ha contribuito a decorrere dal 2022 con circa 82 milioni di euro, il Friuli-Venezia Giulia ha partecipato con circa 432 milioni di euro a partire dal 2022 e fino al 2026, la regione Siciliana con 800 milioni di euro circa a decorrere dal 2022, la regione Sardegna con 306 milioni di euro a decorrere dal 2022, mentre il Trentino-Alto Adige/Sud Tirolo e le singole province di Trento e Bolzano a decorrere dal 2022 partecipano con un importo di circa 713 milioni di euro annui. Negli ultimi accordi bilaterali bisogna però sottolineare che lo Stato si è riservato la facoltà di modificare unilateralmente il contributo richiesto alle Regioni, quindi senza richiesta preventiva di accordo, ma solo qualora la modifica sia limitata nel tempo, adottata per eccezionali esigenze di finanza pubblica e per un importo non superiore al 10% del valore del contributo stesso. Un esempio in tal senso può essere rinvenuto nella riduzione del concorso alla finanza pubblica da parte delle Regioni e Province autonome a partire dall’anno 2020 per compensare la perdita di entrate tributarie che hanno subito i citati territori autonomi a causa dell’emergenza sanitaria da Covid-19. Per tale situazione è stato istituito nel 2020, con apposito decreto legge, un fondo con una dotazione di 4.300 miliardi di euro suddiviso in 1.700 miliardi di euro per le Regioni a statuto ordinario ed i restanti 2.600 miliardi di euro a favore delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano. Altra misura di sostegno è stata varata nel 2021, sempre a causa del protrarsi dell’emergenza sanitaria, ed è basata sulla possibilità che tali territori possano utilizzare l’avanzo di amministrazione che è stato accantonato e vincolato negli anni. Ciò con l’obiettivo di ampliare la capacità di spendita delle Regioni autonome sia per le spese correnti, sia per quelle di investimento.

La disciplina della finanza delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome coinvolge anche e soprattutto, il sistema delle entrate. Oltre ai tributi propri che tali Regioni possono istituire nell’ambito di una cornice di tipologie indicata dallo Stato, la fetta più consistente del gettito per tali territori è rappresentata dalle quote di compartecipazione ai tributi erariali maturati e riscossi nei loro territori (cioè il riversamento alle Regioni, pro quota o per intero, del gettito che percepisce lo Stato), che rappresentano delle entrate indirette, e che si presentano di gran lunga più considerevoli nell’ammontare rispetto a quanto di spettanza alle Regioni a statuto ordinario. Questo forte divario spiega il fenomeno della richiesta di migrazione di alcuni Comuni verso i territori autonomi in una sorta di richiesta di annessione (si pensi al caso di Cortina d’Ampezzo e degli altri comuni limitrofi al confine con il Trentino-Alto Adige/Sud Tirolo). La compartecipazione regionale ai tributi erariali, è nata a seguito della soppressione di alcuni trasferimenti statali diretti e viene individuata per ciascuna Regione sulla base della media dei consumi finali delle famiglie rilevati dall’Istat a livello regionale. Essa si sostanzia nella destinazione alle Regioni di una parte delle risorse finanziarie che incassa l’Erario. Ogni statuto speciale elenca la tipologia di imposte erariali di cui una quota deve essere destinata alla Regione autonoma, le diverse aliquote differenziate in ragione della natura del tributo, della base imponibile e delle modalità di attribuzione. È evidente che tali compartecipazioni, anche se definite come “tributi propri” non rappresentano una forma di gettito autonoma in quanto la loro istituzione, regolamentazione, contenzioso, ecc. sono di fatto totalmente gestite dallo Stato.

Tuttavia nella Regione Siciliana, nel Friuli Venezia Giulia e nel Trentino-Alto Adige la riscossione avviene direttamente da parte degli uffici finanziari delle Regioni stesse, mentre la Sardegna ha chiesto di recente di attivare la modalità di riscossione diretta. Invece per la Valle d’Aosta i tributi sono riscossi dallo Stato che provvede poi a devolverglieli nella quota spettante. Conseguentemente al diritto di riscossione, le Regioni partecipano anche all’attività di accertamento dei tributi riscossi sul proprio territorio. È interessante notare le differenti percentuali di compartecipazione al gettito erariale da parte delle quattro Regioni a statuto speciale e delle due Province autonome. In particolare:

  • la Valle d’Aosta ha una compartecipazione del 100% (quindi per la totalità) del gettito IRPEF, IRES, IVA e Accisa sui carburanti; inoltre le sono devoluti anche il 90% delle imposte erariali sugli affari (registro, bollo, ipotecarie, concessioni) e dei proventi del lotto che vengono incassati sul proprio territorio;

  • le due province autonome di Trento e Bolzano hanno una compartecipazione del 90% del gettito per IRPEF, IRES e Accisa sui carburanti, mentre dell’80% degli incassi per IVA, le sono inoltre destinate anche le entrate derivanti dalla raccolta di tutti i giochi con vincita in denaro sia di natura tributaria, sia di natura non tributaria; per completezza si sottolinea che anche alla regione Trentino-Alto Adige vengono devolute alcune altre imposte quali: il 100% del gettito derivante dalle imposte ipotecarie, il 90% delle imposte sulle successioni e donazioni e dei proventi del lotto, infine il 10% dell’IVA;

  • il Friuli Venezia-Giulia ha una compartecipazione del 59% per quanto riguarda IRFEF e IRES del 45% a titolo di IVA, di accisa sull’energia elettrica e sui tabacchi, delle entrate derivanti dai giochi e delle tasse automobilistiche, mentre è del 30% circa la devoluzione dell’accisa sui carburanti;

  • la Regione Siciliana ha una compartecipazione del 71% per IRPEF, del 100% per IRES e per tutte le altre entrate tributarie, del 36% per IVA e nessuna compartecipazione per l’Accisa sui carburanti e per i proventi del lotto;

  • la Sardegna ha una compartecipazione del 70% per IRPEF ed IRES, del 90% a titolo di IVA, di imposte ipotecarie, bollo e registro, concessioni, energia elettrica e le accise, mentre viene devoluto il 50% delle imposte sulle successioni e donazioni.

Si tenga presente poi che sono a carico diretto dello Stato le spese per l’apparato della giustizia, delle forze dell’ordine, per le infrastrutture ferroviarie, autostradali e per la gestione i trafori, per l’erogazione dei servizi INPS e gli oneri per il finanziamento alle istituzioni politiche ed amministrative statali.

Da quanto esposto risulta che le Regioni a statuto speciale hanno prerogative di molto superiori alle Regioni a statuto ordinario le quali sono dotate di minore autonomia finanziaria, non possono introdurre tributi, non hanno potestà legislativa esclusiva, non possono negoziare bilateralmente con lo Stato le modifiche degli statuti e le loro posizioni tributarie, e l’organizzazione amministrativa è direttamente gestita dai Comuni. Queste forti differenze ci introducono al problema della richiesta da parte di tutte le Regioni italiane di maggiore autonomia - nella difesa da posizioni di regionalismo che vedrebbero comunque un accentramento da parte dello Stato - che implicherebbe maggiore responsabilità di governo da parte dei poteri regionali verso la collettività presente sul territorio, anche attraverso la costante verifica delle risorse in loro possesso ed il loro utilizzo per garantire dei servizi efficienti ed efficaci. Ecco perché è entrata in crisi la suddivisione tra Regioni ordinarie e a statuto speciale e si è richiesta la c.d. “autonomia differenziata”, in quanto le diversità che ne avevano giustificato la separazione sembrano essere anacronistiche perché le problematiche di natura sociale ed economica investono oramai, indistintamente, tutto il territorio nazionale.

 

LE REGIONI A STATUTO SPECIALE: QUESTIONI STORICHE
di Alessandra Di Giovambattista

13-12-2023

 


Le Regioni a statuto speciale presenti in Italia rappresentano una innovazione della Costituzione Repubblicana del 1948 rispetto allo Statuto Albertino che non le contemplava. Dette Regioni sono le realtà locali più importanti nella struttura territoriale dello Stato che si presenta come un unicum suddiviso in Regioni a statuto ordinario.
Le Regioni a statuto speciale godono tutte del medesimo livello di autonomia rispetto allo Stato centrale e l’articolo 116 della Costituzione ne prevede cinque: il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Sud Tirolo (per quanto riguarda il Trentino-Alto Adige occorre sottolineare che negli anni settanta si è deciso di frazionare il territorio regionale in due Province autonome, quella di Trento e quella di Bolzano), e la Valle d’Aosta. Esse dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, ognuna secondo le norme contenute nei rispettivi Statuti speciali che vengono adottati con legge costituzionale. In particolare le competenze legislative ed amministrative, nonché l’ordinamento e l’organizzazione finanziaria sono disciplinati dallo statuto speciale e dalle sue norme di attuazione.
Per approfondire si specifica che la legge costituzionale è un particolare atto normativo che ha un rango analogo a quello della Carta Costituzionale il cui procedimento di approvazione è definito dall’articolo 138 della Costituzione stessa con una procedura che viene definita aggravata in quanto prevede passaggi più complessi rispetto a quelli previsti per l’emanazione delle leggi ordinarie. Nello specifico la Costituzione dispone che le leggi costituzionali debbono essere adottate da ciascuna Camera (Senato e Camera dei Deputati) con due deliberazioni successive che intercorrono a distanza di almeno tre mesi e sono previste maggioranze assolute dei componenti.
Mentre le Regioni a statuto ordinario con semplice legge regionale provvedono a disciplinare determinati argomenti nel contesto dell’ordinamento generale delle Regioni (articolo 123 della Costituzione), gli statuti delle Regioni ad autonomia differenziata provvedono a definire in regime autonomo ed anche in deroga alle norme costituzionali – però solo in determinati casi specifici in quanto vanno comunque salvaguardati i principi fondamentali della Costituzione Italiana - sulle quali prevalgono per effetto del principio di specialità. In sostanza l’autonomia differenziata di queste porzioni di territorio italiano è rappresentata dal fatto che vengono riconosciuti dei margini di autonomia maggiori nei confronti dello Stato, rispetto alle altre Regioni ordinarie (a queste ultime, ad esempio viene preclusa la capacità normativa in materia di autonomia finanziaria dallo Stato che invece viene autorizzata per le Regioni a statuto speciale).
Ci si domanda tuttavia quando e perché fu opportuno istituire tali realtà geo-politiche che da alcuni sono considerate oggi anacronistiche e generatrici di disuguaglianze territoriali che si traducono di fatto in maggior ricchezza in questi territori autonomi rispetto alle regioni a statuto ordinario. La necessità è di natura storica ed è riconducibile al periodo della ricostruzione dopo la conclusione della seconda guerra mondiale; inizialmente i territori a cui si decise di riconoscere delle forme di autonomia governativa furono solo quattro; non era incluso il Friuli-Venezia Giulia che fu invece aggiunto con legge costituzionale nel 1963. Ognuno di questi territori aveva delle storie peculiari in cui si ritrovano le ragioni della scelta di forme di autogoverno.
In generale, il riconoscimento dell’autonomia speciale fu dovuto alla presenza di numerosi movimenti separatisti nei territori come la Valle d’Aosta , il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia dove la presenza di minoranze linguistiche, che parlano idiomi diversi da quello italiano, avrebbero potuto compromettere la coesione nazionale. Nello specifico in Valle d’Aosta si parla il francese, in Trentino-Alto Adige il tedesco ed il ladino, mentre in Friuli-Venezia Giulia lo sloveno. Il compromesso trovato dall’assemblea Costituente fu quindi l’istituzione dell’autonomia speciale che ha permesso allo Stato italiano di mantenere inalterati i confini geo-politici, ma concedendo più indipendenza a territori caratterizzati da elementi di peculiarità rispetto al altri.
L’autonomia concessa al Trentino-Alto Adige/sud Tirolo fu riconosciuta in quanto tale territorio già godeva di una lunga tradizione di autogoverno, in più occorreva dominare ed imbrigliare le forti spinte separatiste che volevano un ricongiungimento con la vicina Austria. Si decise quindi di tutelare la minoranza Altoatesina di lingua tedesca per garantirne l’evoluzione e la convivenza socio culturale ed economica con il gruppo linguistico italiano presente nel territorio del Trentino.
Invece in Sicilia il movimento separatista aveva dei precedenti storici ben radicati e dopo lo sbarco alleato del 1943 scoppiò la scintilla indipendentista già presente prima della prima guerra mondiale. In particolare lo slogan all’epoca era: “la Sicilia ai siciliani” e nel luglio del 1943 con un proclama ufficiale la Sicilia preannunciava la secessione dall’Italia e chiedeva controllo ed aiuto a livello internazionale. In quel periodo la volontà era di fare della Sicilia uno stato indipendente; da qui la necessità per il nuovo Stato italiano repubblicano di riconoscere l’autonomia alla più grande isola del Mediterraneo, ed infatti con il riconoscimento dello statuto speciale siciliano emanato il 15 maggio del 1946 decrebbe rapidamente l’interesse al secessionismo da parte della popolazione isolana.
Anche in Sardegna il movimento secessionista era forte; in particolare l’isola riuniva popolazioni diverse per lingua e cultura che l’Italia dei primi del novecento non era riuscita a far convivere. In particolare le masse popolari si opposero ai governi di Giolitti e furono recuperate le spinte indipendentiste che restituivano valore alla storia ed alla cultura isolana (con particolare riferimento alla civiltà nuragica e a quella giudicale). Lo stesso Antonio Gramsci che era vissuto diversi anni a Cagliari era convinto che bisognasse lottare per l’indipendenza nazionale della Sardegna. Questo movimento fu sostenuto fino al 1913, ma con lo scoppio delle due grandi guerre il problema della secessione passò in secondo piano; tuttavia con la conclusione della seconda guerra mondiale venne approvato lo Statuto speciale di autonomia della Sardegna, il 31 gennaio 1948 e promulgato il 26 febbraio del 1948, che ne assicurò un certo grado di indipendenza e di autogoverno.
In val d’Aosta, con lo scoppio dell’ultimo conflitto mondiale, si crearono forti movimenti anti nazifascisti e nella regione si organizzarono gruppi di partigiani che diedero vita alla resistenza valdostana. Ciò che caratterizzò la lotta di liberazione era il fatto che tali gruppi si basassero essenzialmente sulle forze autoctone cercando di evitare di chiedere aiuti a forze partigiane italiane e ciò perché l’obiettivo politico non si limitava all’eliminazione del nazifascismo, ma si estendeva al recupero delle forme di autonomia che avevano caratterizzato la storia della regione. In tale contesto si sviluppò la prospettiva del secessionismo e dell’annessione alla vicina Francia, cosa che l’Italia scongiurò prevedendo l’autonomia speciale della regione Valle d’Aosta.
Anche la storia separatista del Friuli-Venezia Giulia ha origini antiche; dopo la disfatta di Caporetto del 1917 i rappresentanti friulani presso il Parlamento di Vienna iniziarono una campagna politica per l’autonomia del Friuli orientale (con capoluogo Gorizia) appoggiata anche dal Partito cattolico popolare del Friuli. Nel 1918 tali territori ottennero la piena libertà di autodeterminazione grazie ad un proclama di Carlo I (ultimo imperatore d’Austria). Successivamente, durante il periodo fascista, il Friuli subì un processo di assimilazione culturale a scapito delle popolazioni di lingua slovena e tedesca; si innescarono anche movimenti che premevano sulla comunità friulana affinché si contrapponesse alla comunità slava. Dopo la seconda guerra mondiale, e precisamente nel 1945, nacque ad Udine l’Associazione per l’autonomia friulana che aveva come obiettivo quello di sostenere che il Friuli possedeva cultura e tradizioni nettamente distinte dalle limitrofe regioni del Veneto e della Giuliana e pertanto era naturale che avesse la più ampia autonomia politico-amministrativa ed economica nell’ambito dello Stato italiano. Nel 1947 si sviluppò anche il radicale Movimento popolare Friulano con l’intento di ottenere la più ampia autonomia dal potere politico-amministrativo italiano. Ma solo negli anni 60 si iniziò a discutere sulla creazione della Regione autonoma del Friuli-Venezia Giulia, una realtà territoriale di confine con un territorio comunista (ex Jugoslavia) che limitava lo sviluppo economico della Regione a causa della guerra fredda, e con un elevato tasso di emigrazione. In questa situazione nacquero e si consolidarono delle tendenze separatiste e anti-italiane che spinsero il governo al riconoscimento dell’autonomia speciale di questa regione.

IL VALORE DELLA CULTURA: UNO DEI MOTORI DELL’ECONOMIA ITALIANA
di Alessandra Di Giovambattista
09-12-2023
La cultura, concetto pieno di significato e riconducibile alle conoscenze, esperienze, storia, vissuto di una collettività, propulsore dello sviluppo umano, è fisicamente rappresentata e quindi resa fruibile e concreta, anche in ambito economico, dai beni culturali singoli (ogni opera d’arte) o collettivi (musei, biblioteche, pinacoteche, siti archeologici, e via dicendo) che hanno un altissimo valore, non solamente monetario. Tuttavia spesso riesce impossibile fare una stima delle opere d’arte; comunemente si usa la locuzione “non ha valore” per sottolineare l’unicità di ognuna di esse nel patrimonio dell’umanità. Ecco quindi di frequente la difficoltà di attribuire un valore ai beni che formano il patrimonio collettivo di una comunità.
Ma come viviamo oggi le nostre radici culturali? Secondo un’indagine dell’Istituto Superiore di statistica (ISTAT) gli italiani per una quota del 45,3% sono fruitori di spettacoli cinematografici, ma non tutti si recano al cinema; infatti aumenta il numero dei soggetti che vedono film via web o in TV e questa è una tendenza che si osserva da diverso tempo. Successivamente si registra una discreta propensione per la lettura, per una percentuale poco più del 41,4%, che implica però che più della metà dei soggetti, nel tempo libero, non legge neanche un libro l’anno. Seguono poi le visite presso i musei e le mostre e successivamente le visite a siti archeologici e monumenti. Il confronto con i popoli dell’Europa ci pone in netta minoranza circa le presenze a teatro, concerti e balletti classici: a fronte della nostra percentuale del 25,3% abbiamo una quota europea media del 42%, con valori pari al 32,7% in Spagna ed al 54,8% in Francia. Medesime differenze si registrano per le visite ai musei, siti archeologici e monumenti.
Ma per comprende meglio il valore della cultura possiamo essere aiutati dai contenuti di un’altra indagine individuata nel rapporto “Io sono cultura 2023”, relativo ai dati di settore registrati nel 2022, promosso dalla fondazione Symbola e da Unioncamere, in collaborazione con l’Istituto per il Credito sportivo ed il Ministero della Cultura, con il Centro studi Tagliacarne a Roma (fondazione della stessa Unioncamere) e la Fondazione Fitzcarraldo di Torino. Da tale indagine è emerso che cultura e bellezza sono aspetti ormai radicati nella società e nell’economia italiana; la forte relazione con la manifattura ha permesso di creare un robusto sodalizio produttivo: il made in Italy. Il settore culturale ha sofferto più degli altri negli anni della pandemia, ma sembra che stia rinascendo più solido anche perché ha sviluppato nuove forme di fruizione dei servizi; quindi si assiste ad una forte ripresa economica e sociale del comparto che sta creando ricchezza e posti di lavoro, confermando così il suo ruolo economico centrale.
Nell’ambito produttivo la cultura si coniuga bene con l’innovazione e la creatività che immesse nei processi produttivi manifatturieri rappresentano dei fattori che hanno contribuito al successo di molti prodotti italiani, anche ecosostenibili. In più la cultura potenzia il settore turistico e quello enogastronomico. Il rapporto viene redatto ogni anno e quantifica il peso della cultura e della creatività nell’economia nazionale. Il sistema produttivo culturale e creativo si compone di tutti gli operatori economici che producono beni e servizi di natura culturale ma anche tutto l’indotto che utilizza la cultura come fattore produttivo per accrescere il valore dei prodotti e quindi la competitività sul mercato. Nel settore riconosciamo le attività di conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico (biblioteche, emeroteche, archivi, musei) di arti visive e prestazioni artistiche (teatri, concerti, balletti) e tutto ciò che vi ruota intorno dai video giochi alla stampa, ai media radio televisivi, alla critica, all’architettura al design, alla moda.
Nel 2022 la filiera ha prodotto complessivamente un valore aggiunto pari a 95,5 miliardi di euro, in aumento del 6,8% rispetto all’anno 2021 e del 4,4% rispetto al 2019, recuperando anche i posti di lavoro che si erano persi durante il periodo della pandemia e facendo registrare un aumento del 3% rispetto ad una media nazionale dell’1,7%.
Molto interessante notare che contribuisce, in modo sostanzioso, all’incremento del valore aggiunto del settore della cultura e del suo indotto, anche il comparto dei videogiochi e dei software che rappresenta il mercato digitale delle prestazioni artistiche c.d. performing arts e delle arti visive con il quale si è creato un sodalizio con le attività di valorizzazione del patrimonio storico e artistico. A mero titolo di esempio si pensi alla realtà aumentata (AR) che permette di riprodurre attraverso appositi strumenti definiti di “realtà virtuale” - VR (virtual reality) situazioni, spettacoli ed eventi che avvenivano nell’antichità; un esempio è fornito a Roma dall’esperienza di realtà aumentata presso il Circo Massimo dove attraverso sofisticati software è possibile rivisitare il sito in tutte le sue fasi storiche e sentirsi immersi nelle varie realtà del passato.
In termini territoriali la ricerca ha evidenziato che le regioni maggiormente specializzate in beni e servizi culturali e creativi sono la Lombardia ed il Lazio; la prima genera, nel comparto, un valore aggiunto che da solo rappresenta il 27,6% dell’intera filiera, mentre la seconda, quale principale centro turistico – culturale, partecipa per il 15% all’intera produzione del settore. Ambedue le regioni mostrano, rispetto al resto d’Italia una maggiore specializzazione culturale e creativa che genera valore ed influisce positivamente sullo sviluppo del territorio, sia in termini di ricchezza sia in termini occupazionali. Subito dopo troviamo la regione Piemonte, il Friuli-Venezia Giulia, il Veneto e la Toscana. Tuttavia i migliori risultati in termini di aumento del valore aggiunto rispetto ai periodi precedenti (tra il 2019 ed il 2022) si riscontrano in Liguria, in Basilicata, in Lombardia ed in Campania. Per quanto attiene invece l’aumento di occupazione le migliori performances (per lo stesso triennio di osservazione) sono date dalla Liguria, dalla Campania e dalla Puglia; mentre le regioni Trentino-Alto Adige, Umbria e Sicilia, registrano un calo occupazionale.
È utile sottolineare che fanno parte del settore non solo le imprese private, ma anche le organizzazioni non-profit, cioè aziende che operano sul mercato senza avere come obiettivo un surplus economico (reddito positivo, cioè utile), ed i soggetti pubblici; anzi occorre evidenziare come a fronte delle molte innovazioni in atto rimanga necessario il contributo delle politiche pubbliche nazionali ed europee per cercare di superare le difficoltà finanziarie dovute ai recenti shock sanitari, inflazionistici e ai purtroppo ancora attuali conflitti in Europa e nel Medio oriente.
Dall’unione europea arrivano fondi per finanziare il programma nato per progettare futuri modi di vivere unendo arte, cultura, design, architettura, inclusione sociale, scienza e tecnologia, il c.d. New European Bauhaus (NEB). Con tale piano la comunità europea intende affrontare il problema della sostenibilità supportandolo con i concetti di estetica ed accessibilità, in una sorta di programma multidisciplinare orientato alla transizione ecologica indicata dal piano c.d. Next Generation EU; in due anni l’iniziativa ha creato una comunità attiva di soggetti in tutti gli Stati membri ed ha investito circa 106 milioni di euro per il 2023 ed il 2024. Se l’Italia riuscisse a produrre valore e lavoro nel settore culturale si favorirebbe un’economica più vicina alle necessità umane, più competitiva e più orientata al futuro, così come sostenuto anche nel manifesto di Assisi, e le ricadute si avrebbero in un aumento della domanda di “Italia” da parte dei consumatori provenienti dai diversi Paesi del mondo. In questo senso, un indicatore di gradimento e di attrattività per i visitatori del nostro Paese è la spesa sostenuta per consumi culturali che ha sfiorato i 35 miliardi di euro nel 2022, pari al 44,9% delle spesa turistica complessiva.
Il settore culturale si presenta quindi come un ambito strategico nei processi di trasformazione sostenibile dei modelli di sviluppo per i quali l’Italia si è impegnata a livello internazionale sottoscrivendo l’agenda ONU per il 2030 e a livello europeo con l’adesione al “Green deal” e al citato programma Next Generation EU. Gli impegni sottoscritti in Europa vengono calati nei singoli piani nazionali di ripresa e resilienza (c.d. PNRR) presentati dai differenti Paesi; si vede come la leva culturale stia progressivamente aumentando il peso nelle scelte economiche e in particolare nel comparto turistico nel rispetto della sostenibilità sul territorio e del territorio, della innovazione, del benessere individuale e collettivo e della integrazione e inclusione sociale. Il nostro Governo ha destinato al comparto risorse per circa 6,68 miliardi di euro identificando la missione “digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo”; si comprende come le politiche pubbliche intendano incentivare un settore trainante per tutta l’economia nazionale, dove il marchio made in Italy gioca un ruolo fondamentale per la ripresa ed il rafforzamento del tessuto economico. In tal senso si pensi che il solo turismo rappresenta il 12% circa del PIL nazionale.
Gli obiettivi inclusi nel PNRR sono riconducibili alla sostenibilità ambientale ed alla tutela del patrimonio paesaggistico e culturale e le politiche di sviluppo coinvolgono anche le politiche occupazionali in quanto i settori del turismo e della cultura sono tra quelli che registrano una grande forza lavoro in ambito giovanile e femminile e quindi anche in tal senso riescono a cogliere gli obiettivi generazionali e di genere contenuti nel PNRR. Gli investimenti nel settore della cultura individuati nel piano di ripresa e resilienza riguarderanno tutti i siti culturali delle grandi aree metropolitane cercando anche di rigenerare aree abbandonate e periferiche, inoltre non trascureranno i piccoli borghi e le aree rurali, per creare una domanda di esperienze nuove e più legate alla terra ed alla tradizione popolare, così come terranno in debito conto il patrimonio turistico culturale delle isole minori che rimangono sempre troppo al margine delle politiche di sviluppo economico. Anche le misure contenute nella politica di coesione europea per il periodo 2021-2027 si mostrano particolarmente sensibili ai temi della cultura indicando come obiettivo specifico quello del rafforzamento del turismo sostenibile e a sfondo culturale al fine di raggiungere un più elevato livello di sviluppo economico, di inclusione e di innovazione sociale.
Il messaggio che occorre far passare è che siamo una popolazione fortunata, perché godiamo di infinita bellezza: artistica, territoriale, umana, ma non possiamo vivere di ricordi e di rendita, occorre ripensare modelli economico-culturali nuovi e ripensarci come fruitori, consumatori di cultura. Su tutto però sarà sempre indispensabile, anche con l’aiuto delle istituzioni scolastiche, continuare a nutrire l’amore e la passione per tutti gli ambiti culturali che hanno sempre caratterizzato le anime dei nostri grandi antenati italici.

 

Il 21 dicembre AfricanPeople ong dedicherà questa giornata a due eventi femminili, improntati sulla lotta contro la violenza sulla donna.
La nostra ong e solita affrontare tematiche inerenti il continente africano, e quest’oggi ospiterà la mostra di caratttere ktmnernazionele della associazione il tempo delle done e, che ricomprende opere d’arte - fotografie e dipinti / di donne di differenti paesi che sono approdate in Italia.
Sono madrina dell’evento e quindi ho pensato opportuno ospitarle nella autorevole sede dell’Unar che ci accoglie tutti, indipendentemente dal sesso, dalla coloraizone della pelle, o dalla religione.
Ebbene sì: africnapeoplenews ospiterà il 21 dicembre le vincitrici del concorso indetto da questa associazione a cura di Rita Valenzuela che oltre che ritrattista ha curato questo concorso e quindi interverrà per presentare le vincitrici concorrenti presenti con le loro opere su cavalletto.
Successivamente io, presidente della ong AfricanPeople, interverrò per parlare della donna in Italia ed in Africa.
In Italia, paese ormai moderno e civile, le donne sono tutelate dalla costituzione e sono considerate almeno apparentemente uguali agli uomini in tutto e per tutto.
Ed io direi che ci stiamo riuscendo edo ad importci con le nostre capacità intelletto sensibilità e forza di carattere.
Purtroppo ancora in verità il mondo è molto maschilista e purtroppo le stesse donne che vanno a rappresentare il mondo
Femminile sono ancora il risultato di una selezione artificiale tipo quota rosa che a solo sentirne parlare fa venire i brividi.
Ma se non si fa così si rischia di perdere punti. Quindi tra il meno ed il peggio forse è il caso ancora di scegliere la strada di leggi che regolamentano la scelta in base al sesso.
E così in politica avviene lo stesso fenomeno.
La rappresentanza politica e nella maggior parte dei casi rappresentata da maschi, uomini. E poche sono le donne. He riescono ad imporsi.
Le ultime di passate generazioni contano la presenza della ormai storica Emma bonino.
Insomma le donne che possono far lustro al nostro paese sono davvero poche.
Si contano sulle dita di una mano.
E così andando avanti la situazione sociale dal punto ddo vista sociologico continua a peggiorare sembrerebbe.
Uno di questi fenomeni è rappresentato dal femmknicidio sempre più frequente nella nostra società.
E ben si, si sente molto parlare di questi fenomeni, ultimi dei quali è rappresentato da Giulia, la laureanda padovana, che viene uccisa a colpi d coltello dal fidanzato geloso e impaurito dalla sua laurea, e dal fatto che sarebbe fuggita da lui.
Purtroppo spesso si parla anche di stampa sbagliata. Cioè i mass media ancora oggi utilizzano termini non appropriati per descrivere questi accadimenti, specie quando si deve descrivere l’uomo che ha commesso il delitto.
Quindi l’educazione ancora deve dare molto in tal senso.
Ancora oggi in tutti gli strati sociali la situazione è alle solite.
Le donne vengono ancora considerate un passo indietro rispetto agli uomini. E vengono considerate ancora come oggetto.
Ebbene sì, troppo ancora deve essere fatto perché le donne si sentano libere di muoversi e di coniugare ckn serenita la carriera con la famiglia, con i figli, insomma tutti quegli adempimenti tipici del sesso femminile.
Siamo qui per rappresentare donne all’avanguardia che nno. Hanno potuto fare a meno di esprimere la propria femminilità attraverso l’arte.
Grazie Rita per intervenire
Grazie Emanuela per intervenire
Grazie Lily Scarponi per intervenire
Il potere economico e il primo mezzo di sussistenza che permette alle donne di liberalizzarli dal proprio entourage.
In Africa il problema della donna e diversificato a seconda dei passi.
Ad esempio in Namibia e nel sud dell’Africa le popolazioni himba sono popolazioni femminsite dove la donna svolge il ruolo di discendenza della famiglia.
Ma nel paesi più a nord di stampo musulmano la purtroppo la donna subisce lo stesso trattamento dei paesi musulmani del medio oriente dove la donna di fatto non conta alcunché e viene trattata davvero come un oggetto.
Ho avuto modo in Egitto di fotografarmi insmee ad una donna col burka per vicinanza psicologica e fisica… sedeva vicino a me. Era del lontano Bahrein. E mi ha offerto con la sua teiera del deserto arabico caffè e liquirizia.
Un vero incanto, sogno di una notte desertica del medio oriente
Eppure suo marito era la’ col suo furbante, calmo, al suo posto di fronte alle due mogli.
Eh si altri mondi lontani che cozzano con noi, col il mondo occidentale che di fatto impedisce il connubio con più donne allo stesso momento.
Eh si
Mondo che si incontrano e si scontrano proprio in questi giorni, dove palestinesi ed israeliani rappresentano il mondo dei musulmani e quello degli occidentali, per lo più cristiani.
Ma le donne vengono uccise anche dai musulmani wiando non obbediscono. Un esempio di brutale violenza è stata l’uccisione della giovane del Bangladesh che ha rifiutato di contrarre un matrimonio organizzato dalla famiglia nel suo paese d’origine a cui aveva preferito un ragazzo musulmano come lei ma che viveva in Italia.
Sempre protagonista di scena macabre resta la donna, nella sua essenza femminile, cancellata a colpi di ascia e violenze inaudite per non rispettare la legge degli uomini. (Mutilazioni genitali ad esempio).
E noi siamo qui a ribadire ancora una volta che così non deve e non può essere. E chiediamo un inasprimento delle pene per chi si fa fautore di tali crimini umani.
Grazie a tutti

Emanuela Scarponi