Le comunità energetiche: un fenomeno recente?

di Alessandra Di Giovambattista

 

Un argomento di attualità, ancora però sconosciuto ai più, riguarda le comunità energetiche rinnovabili (CER). In particolare con il termine CER si indica un gruppo di soggetti che si organizzano per produrre e condividere localmente l'energia prodotta da fonti rinnovabili. Quindi rappresenta una vera e propria comunità costituita da enti privati, singoli cittadini, associazioni ed enti pubblici che decidono di associarsi per produrre sul loro territorio energia derivante da fonti rinnovabili (per esempio fotovoltaico ed eolico), per poi condividerla tra loro.

A Roma, la prima CER, chiamata “Le vele” è stata individuata grazie alla collaborazione tra l’Istituto Leonarda Vaccari – grazie alla sensibilità e disponibilità della nipote della fondatrice, oggi presidente dell’istituto - che si occupa di riabilitazione psico-fisica e integrazione didattica e sociale delle persone diversamente abili, la Federconsumatori Lazio ed il Municipio Roma I centro; essa si concretizza in un impianto da 90KW che produrrà circa 120 mila KWH.

Nel progetto si evidenzia che lo scopo, oltre al beneficio ambientale, è quello di finanziare, con i risparmi ottenuti dalla produzione di energia rinnovabile e con i proventi derivanti dagli incentivi, interventi sociali a favore delle persone presenti nella comunità del Municipio e che si trovano in difficoltà e specifici progetti rivolti ai pazienti dell’istituto per rafforzare la politica di assistenza e recupero. Si noti che l’Istituto Leonarda Vaccari è stato premiato per ben quattro volte con la Medaglia d’Oro al merito della Sanità pubblica.

Se questa può sembrare un’innovazione in realtà, facendo un salto indietro nella storia, vediamo che le origini di questo nuovo mondo sono da ricercare nelle "vecchie" cooperative energetiche. Un tempo, alla fine dell'Ottocento, l'elettricità veniva prodotta da piccole centrali costruite nei pressi delle fabbriche e quella in eccesso era data al vicinato. All'epoca nessuno le chiamava comunità energetiche, perché non esistevano ancora le reti centralizzate di distribuzione. Era semplicemente la forma più diffusa di distribuzione dell’energia. Così nacquero le prime cooperative; regolate da una legge del Regno d’Italia era permesso ai soci di produrre e distribuire energia. Così queste cooperative gestivano centrali idroelettriche ed i soci, privati, industrie, enti pubblici locali, beneficiavano dell’energia prodotta. Alcune di queste realtà sopravvivono ancora oggi nel nord Italia - fra le altre a Brunico, Dobbiaco, Prato allo Stelvio, Funes, dove nessuno ha sottoscritto contratti con distributori nazionali in quanto l’energia prodotta in loco è a prezzi molto bassi, essendosi anche aggiunte, oltre all’idroelettrico, forme di produzione di energia rinnovabile quali il fotovoltaico e l’eolico – mentre nel nord Europa, ed in particolare in Germania, Belgio e Danimarca, tali organizzazioni sono sopravvissute e si sono diffuse. Sono proprio queste realtà, ed il modello che incarnano, che hanno ispirato l'idea delle comunità energetiche vere e proprie a partire dal 2010.

Ricordiamo inoltre che negli anni novanta in Italia sono nate le grandi concessionarie di distribuzione separate dalla produzione; tuttavia alle cooperative storiche è stato permesso di continuare ad operare, forse perché in nord Europa sono tanto diffuse e di grandi dimensioni. Tuttavia è ancora vietato fondarne di nuove. Il fenomeno dell’accentramento in grandi reti nazionali, secondo Brian Janous, general manager di Microsoft, era un processo inevitabile, in quanto l’unico a garantire una distribuzione a bassi costi finalizzata all’uso da parte di tutti e un servizio il più omogeneo possibile. Tali obiettivi previsti per l’energia elettrica, ora si vogliono raggiungere anche nel traffico dei dati, attività che sta curando Microsoft; tuttavia poiché la distribuzione elettrica sta incrementando l’energia solare ed eolica, si sta puntando l’attenzione sul ruolo determinante delle batterie per immagazzinarla e dell’intelligenza artificiale per gestirne al meglio consumi, picchi e potenza di calcolo.

Le comunità energetiche di cui parliamo oggi arrivano venti anni dopo, anche grazie all’avvento dei pannelli solari, con l’idea nata dal basso nelle associazioni ambientaliste e dalla federazione europea delle cooperative Rescooop. 

Ma è solo nel 2018 che viene impressa una spinta sostanziale, con la direttiva europea che sancisce il diritto all'autoconsumo energetico approvata per bloccare iniziative dei singoli stati contro il fotovoltaico. Nel 2015, infatti, il governo spagnolo di Mariano Rajoy, del Partito Popolare, aveva pubblicato il Regio Decreto 900/2015, con il quale si applicavano una serie di complicazioni amministrative, tasse e sovrattasse alle installazioni di rinnovabili per proprio consumo (venne battezzata la "tassa sul sole"). Di qui l'articolo 21 della direttiva europea (UE) 2018/2001 che dà potere ai consumatori consentendo loro un autoconsumo "senza restrizioni indebite e di essere remunerati per l'elettricità che immettono nella rete". Le fonti rinnovabili, come il fotovoltaico e l’eolico, che per loro natura si prestano poco alla centralizzazione e molto di più alla produzione e all’uso locale, hanno fatto tornare a guardare con favore alla produzione e condivisione dell’energia nel modo delle vecchie cooperative energetiche.

La citata Direttiva UE 2018/2001 dispone che gli Stati membri provvedono collettivamente a far sì che nel 2030, la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia dell’Unione sia almeno pari al 32% e la quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti sia almeno pari al 14% del consumo finale in tale settore. Ogni stato membro deve fissare i contributi nazionali per conseguire collettivamente l’obiettivo vincolante del 2030 ognuno nell’ambito dei propri piani nazionali integrati per l’energia ed il clima-PNIEC. Gli obiettivi del piano che nello specifico dovrà conseguire l’Italia entro il 2030 riguardano: il raggiungimento di una percentuale di energia da fonti rinnovabili nei consumi finali lordi pari al 30%; una quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti pari al 22% dei consumi finali lordi (bisogna tener presente l’obiettivo complessivo UE si attesta sul 14%) che dovrà essere garantita dai fornitori di carburante. La direttiva regola anche i principi ed i criteri per disciplinare: il sostegno finanziario all’energia elettrica da fonti rinnovabili, l’autoconsumo dell’energia elettrica prodotta dalle rinnovabili, l’uso di tale energia nel settore del riscaldamento e raffrescamento e nel settore dei trasporti, la cooperazione tra gli stati membri e paesi terzi su progetti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, la garanzia di origine dell’energia, le procedure amministrative per agevolare le fonti rinnovabili, l’informazione e la formazione su di esse. La direttiva in argomento fissa anche i criteri di sostenibilità e di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra per i biocarburanti, i bioliquidi ed i combustibili da biomassa.

Gli stati membri sono stati obbligati a recepire nel diritto nazionale la direttiva entro il 30 giugno 2021 ed è entrata in vigore il 1 luglio dello stesso anno.

Chiariti questi primi aspetti cerchiamo di muovere i primi passi nel mondo delle comunità energetiche rinnovabili, approfondendo alcuni aspetti. Intanto le CER sono un modello di produzione e consumo nate per la gestione dell’energia da fonti rinnovabili. La normativa esistente ha cercato di favorire due modelli di costituzione di tali comunità: le CER vere e proprie, ed i gruppi di autoconsumo collettivo (AC). In ambedue le tipologie troviamo la partecipazione di soggetti diversi ed il decentramento della produzione con la finalità di generare e consumare autonomamente, nello stesso sito, energia elettrica derivante da fonti rinnovabili. Nella gran parte dei casi questo è possibile attraverso l’utilizzo di impianti fotovoltaici che possono essere installati da uno o più partecipanti alla Comunità Energetica, con una serie di benefici economici, sociali e ambientali che ricadono su tutti gli aderenti e sulla collettività. Nello specifico le CER possono essere di diverse tipologie in ragione della fonte di energia utilizzata. Nella gran parte dei casi, si basano sul fotovoltaico e sull’unione di più prosumer, cioè produttori-auto consumatori di energia, e di consumer che all’interno delle CER trovano il modo più efficace di impiegare l’energia elettrica. La costituzione delle CER è strettamente collegata alla figura del prosumer: sarà centrale l’auto produzione di energia e l’autoconsumo per soddisfare prima di tutto il proprio fabbisogno energetico. Sono pertanto delle reti virtuali tra più unità produttive e di consumo siano quest’ultime persone fisiche private, aziende, edifici pubblici o di culto, condomini; in tal modo si individua un’isola di produzione/consumo in un ambito territoriale ben definito.

Le due configurazioni presentano le seguenti caratteristiche: le CER sono rappresentate solitamente da un condominio, ma anche da parrocchie o scuole, trattate come un unico soggetto che condivide l’energia prodotta dal proprio impianto fotovoltaico anche con le singole abitazioni che lo compongono, mentre le AC sono definite come una più ampia associazione di soggetti, produttori e consumatori geograficamente vicini in modo da poter unire più impianti di energie rinnovabili (essenzialmente fotovoltaico). La direttiva UE specifica le caratteristiche principali delle “comunità di energia rinnovabile”: devono essere un soggetto giuridico che si basa sulla partecipazione aperta e volontaria che è autonomo e soggiace a una vicinanza dei membri agli impianti di produzione. In tale modo è abbastanza evidente l’accostamento tra queste tipologie di soggetti e la realtà giuridica delle nostre cooperative. I partecipanti sono persone fisiche, piccole e medie imprese, o autorità locali comprese le amministrazioni comunali che hanno come obiettivo quello di fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità, direttamente ai partecipanti, o alle aree locali in cui operano. In questa visione, il principio di autoconsumo viene espanso ad un concetto più ampio: quello di energia condivisa. Non è più necessario, infatti, consumare l'energia nello stesso punto in cui questa è stata prodotta, ma può essere condivisa virtualmente con chi è in prossimità della produzione. Così si ottimizza l’auto consumo di ogni prosumer il quale potrà rivendere l’energia in eccesso a beneficio degli altri partecipanti alla comunità e presenti sul territorio (energia condivisa).