IL LIVELLO DI POVERTÀ DOPO LA PANDEMIA DA COVID-19

di Alessandra Di Giovambattista

 

Prima dell’avvento della pandemia causata dalla malattia Covid - 19, di cui ancora si sa molto poco, l’economia mondiale nel biennio 2017-2018 era cresciuta - utilizzando come riferimento il valore del prodotto interno lordo (PIL) - in media del +3% annuo, con punte che in Cina hanno superato il +5%, e negli USA il +2,3%. Successivamente alla crisi sanitaria, utilizzando i dati diramati dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) il 26 gennaio 2021, la contrazione del PIL nell’anno 2020 si è attestata intorno al - 3,5%. E’ sicuramente uno degli eventi che più hanno scosso il mondo dal punto di vista sociale, sanitario ed economico negli ultimi 40 anni, e le conseguenze le risentiremo ancora per diverso tempo, specialmente dal punto di vista umano e psicologico e si presenteranno in maniera eterogenea a seconda delle situazioni e della solidità economico/sociale antecedenti la pandemia e le modalità di contrasto implementate. L’impatto negativo della recessione del 2020 ha interessato quasi tutti gli Stati del mondo, lasciando solo la Cina con una crescita dimezzata, ma con il segno comunque positivo (+2,3%).

Tra gli effetti del periodo post Covid - 19 si è riscontrato anche un aumento della tendenza sperequativa della distribuzione della ricchezza; infatti le 500 persone più ricche al mondo, secondo l’indice Bloomberg Billioners, hanno incrementato i propri patrimoni del 31% in più rispetto al 2019, facendo arrivare le proprie ricchezze ad un valore di 7.600 miliardi di dollari (pari ad una volta e mezzo il PIL del Giappone); in particolare quattro dei cinque personaggi più facoltosi al mondo sono statunitensi e sono proprietari delle principali aziende tecnologiche, mentre il quinto  è europeo ed è nel campo dei prodotti del lusso (moda e prodotti enologici). Nell’ordine si trovano: Elon R. Musk (marchio Tesla), Jeff Bezos (marchio Amazon), Bill Gates (marchio Microsoft), Bernard Arnault (marchi Luis Vuitton e Moët Hennessy), infine Mark Zuckerberg (marchio Facebook). Si è evidenziato che il tasso di crescita del loro patrimonio è il più elevato degli ultimi 8 anni, cioè da quando è stato costruito l’indice suddetto.

Nel senso opposto la Banca Mondiale nel suo monitoraggio della povertà globale ha rilevato che la popolazione in condizioni di estrema povertà è diminuita in modo continuativo, ed ha subito una consistente riduzione negli ultimi decenni passando dal 60,1% del 1970, al 9,2% del 2017. Tuttavia la crisi pandemica ha interrotto questo trend migliorativo innescando un’inversione di tendenza; infatti gli effetti del post COVID19 si sono sentiti specialmente sulle fasce più povere e deboli della popolazione ed hanno colpito le nazioni più vulnerabili, con ciò aumentando il rischio di incremento delle disuguaglianze. Dopo vent’anni la riduzione del numero di persone in povertà estrema si è arrestata e tra le possibili indicazioni volte ad aiutare le economie più fragili vi è il sostegno finanziario internazionale ed il progresso delle campagne di vaccinazione finalizzati alla creazione dei presupposti per uscire dalla crisi, ridurre l’incertezza economica e tornare alla crescita. Prima della COVID19 l’unico aumento della povertà era stato indotto dalla crisi finanziaria asiatica di fine millennio che aveva incrementato la povertà di 18 milioni di persone nel 1997 e di altri 47 milioni nel 1998; successivamente, dal 1999 al 2019 il numero di persone che vivevano in estrema povertà nel mondo è diminuito, sempre secondo le statistiche della Banca Mondiale, di oltre 1 miliardo di persone, con una media di circa 50 milioni l’anno. Pertanto la Banca Mondiale sottolinea che parte del successo nella lotta alla povertà raggiunto negli ultimi decenni, potrebbe essere del tutto annullato dagli effetti della pandemia da COVID19, anche perché gli effetti negativi si trascineranno anche negli anni successivi al 2020, nonostante la ripresa economica che, a onor del vero, non ha rispettato le percentuali attese e sperate. Il timore è che, se da un lato, l’economia lentamente inizierà a riprendere la crescita, dall’altro il numero di poveri continuerà ad aumentare, a testimonianza del carattere non inclusivo e strettamente egoistico delle dinamiche che governano l’economia globalizzata, fortemente neoliberiste. Oltre agli strascichi derivanti dalla pandemia ci si attende un incremento della soglia di povertà anche per effetto dei cambiamenti climatici e dagli effetti derivanti dai conflitti presenti in diverse aree del mondo (essenzialmente medio Oriente e Nord Africa). Molti dei nuovi poveri sono poi concentrati in contesti urbani dove è presente un accentuato accentramento, come le bidonville e le favelas e sono sottooccupati, non regolarmente denunciati agli organi preposti al controllo ed alla regolamentazione del lavoro, e spesso assoldati dalla malavita e pertanto non raggiungibili dagli ammortizzatori sociali esistenti.

In termini di zone geografiche più interessate dall’aumento della povertà si trovano i paesi già caratterizzati da una elevata quota di poveri, tuttavia il fenomeno dell’incremento, nel corso del 2020, ha interessato anche una parte dei paesi a reddito intermedio, nei quali, una percentuale di popolazione è scesa al di sotto della soglia di povertà estrema. Tale fenomeno è stato letto con attenzione e si è osservato che gli effetti della crisi economico-sociale, hanno inciso maggiormente nei paesi in fase di sviluppo (America Latina con il -7,2%, India con il -8%, ASEAN-5, cioè: Indonesia, Thailandia, Malesia, Filippine e Vietnam con il -3,7%) e più integrati nel sistema economico globale, rispetto a quelli meno sviluppati, ancorati ancora a sistemi e modelli economici più localizzati e tradizionali (si pensi ai paesi dell’Africa sub-Sahariana con economia basata su agricoltura familiare di sussistenza che hanno fatto registrare un -2,6%). Ciò potrebbe spiegarsi, a modesto parere, considerando che laddove l’economia globalizzata può avere il potere di catalizzare e far crescere tutti i paesi in essa integrati, anche se a ritmi differenti, essa ha anche il potere di trascinare più rapidamente gli stessi paesi verso la crisi economica, finendo per amplificare le fluttuazioni e le distorsioni del mercato a causa dell’attuale modello di capitalismo estremo che vede i sistemi economici legati in modo esasperato ed esclusivo all’aspetto finanziario. Questa caratteristica conferisce un maggior grado di incertezza circa i modi ed i tempi in cui le economie più fragili riusciranno ad uscire dalla crisi e ad invertire il trend di crescita della povertà. Quindi una delle conclusioni dell’osservazione porta ad affermare che la crisi economica dovuta alla pandemia ha colpito maggiormente i Paesi integrati e interconnessi nel sistema economico globalizzato, in particolare quelli dell’Asia meridionale e del Sud est asiatico, in via di sviluppo e a reddito intermedio, laddove per i paesi a reddito elevato la percentuale di crescita dei poveri scivolati sotto la soglia di povertà è oscillata dallo 0,6%, all’1,3% (sempre secondo le stime della Banca Mondiale).

Se è ormai consolidato che la crisi post pandemica da COVID-19 ha fatto crescere il tasso di povertà, tuttavia c’è anche da evidenziare che la stessa Banca Mondiale aveva già rilevato un rallentamento del trend di riduzione dello  stesso indicatore di povertà anche prima della pandemia. Questo ci induce a ritenere verosimile che in tutte le economie sia presente comunque una percentuale fisiologica di soggetti in povertà, così come nelle stesse società è presente un tasso fisiologico di disoccupazione (tasso naturale di disoccupazione) ed un tasso di inflazione (al di sotto del quale non sarebbe mai bene scendere, che si attesta al 2%, secondo stime della Bce).

Il Fondo monetario internazionale, in un report del 29 ottobre del 2020, ha invece posto in risalto come l’impatto della crisi economica derivante dalla pandemia abbia aggravato la dinamica delle disuguaglianze, un trend già in atto da diversi decenni a seguito delle politiche neoliberiste ormai presenti nei paesi più sviluppati. In esso si legge che la crisi da COVID19 colpirà soprattutto i lavoratori più vulnerabili e le donne; nelle aree delle economie potenti e consolidate la disparità della distribuzione del reddito fra le fasce sociali subirà un aumento (di circa il 6%) ma gli effetti peggiori si avranno nei paesi a più basso reddito, cioè quelli meno sviluppati.

Un paese solido dal punto di vista economico e sociale, deve presentare un grado di inclusione sociale e di benessere che tenga conto della riduzione della povertà e delle disuguaglianze di reddito; l’obiettivo è quello che viene stimato con l’indicatore della prosperità condivisa che, dopo la pandemia, ha visto ridurre il suo livello. Le motivazioni di tale trend negativo risiedono, a modesto avviso, nel grado di incertezza e di paura generato dalla crisi sanitaria che ha implicato anche un aggravamento del sentimento di egoismo e di attenzione al proprio esclusivo particolare, allontanandosi così da uno schema di benessere condiviso e di altruismo. L’attenzione verso il più debole ed il più fragile, oltre a rappresentare uno dei principi cardine di un sentire religioso e morale, di fatto dovrebbe essere percepita anche come obiettivo razionale che dovrebbe interessare tutta la collettività; perché quando si è in situazioni di difficoltà e di incertezza chiudersi in ambiti egoistici, dove non si è portati a collaborare e ad aiutare, non può che incrementare il rischio che ognuno di noi possa scivolare, da un momento all’altro e nella più completa solitudine e disinteresse, nella profondità della soglia di povertà estrema e di indigenza. Ulteriore riflesso socio politico derivante dal principio individualistico ed egoistico è l’affievolimento ed il depotenziamento dei principi su cui si basa il sistema politico democratico. Tutto questo potrebbe tradursi in instabilità sociale che non potrà far altro che incrementare il rischio di povertà economica, umana e spirituale, e la paura, in una sorta di spirale verso il basso, fino a degenerare e ad aprire le porte verso forme di totalitarismo e di schiavitù.

Una visione solidaristica, che però purtroppo confligge con lo schema attuale dove si preferisce un modello di governo economico oligarchico ed un modello politico monocratico, potrebbe portare all’inclusione ed alla condivisione della ricchezza ed al benessere della maggior parte delle persone. Con molta umiltà forse bisognerebbe riconoscere che ognuno ha diritto al suo, che ognuno ha un posto nell’ambiente in cui vive e che forse molti dovrebbero smettere di comportarsi come super potenti con diritto di vita e di morte sulla maggior parte della popolazione mondiale e sull’ambiente visto solo come una riserva di beni produttivi da sfruttare, oggi e subito, e non anche da condividere, specialmente con le generazioni future.