LA LOTTA ALL’EVASIONE FISCALE  di Alessandra Di Giovambattista

27-03-2023

 

L’evasione fiscale (c.d. tax gap) può essere definita come il comportamento tenuto dai contribuenti in violazione delle leggi in materia fiscale, quindi nel campo delle imposte, tasse e contributi. L’evasione produce un divario tra imposte e contributi che vengono realmente incassati dalle amministrazioni finanziarie e quelli che si sarebbero incassati qualora i contribuenti avessero adempiuto in modo perfetto e spontaneo alla normativa fiscale e contributiva esistente. L’evasione si ravvisa ogni volta che si attua una condotta che utilizza metodi illegali volti a ridurre o eliminare il prelievo fiscale e contributivo; l’occultamento può riguardare sia gli imponibili sia l’imposta. Nel caso degli imponibili l’evasione si realizza attraverso la mancata dichiarazione di una parte o di tutto il reddito imponibile (es. omissione di fatturazione per lavoro autonomo o mancata emissione di scontrini fiscali oppure sotto dichiarazione dei ricavi mediante artifici contabili), oppure attraverso l’aumento fittizio di costi deducibili (mediante spostamenti di costi tra esercizi diversi o passaggio di costi da una natura ad un’altra diversamente tassati dal fisco: es: costi d’esercizio rispetto ai costi ammortizzabili). Nel caso dell’imposta può verificarsi l’evasione quando in presenza di aliquote contributive differenti rispetto alle diverse tipologie di redditi si dichiara il reddito per intero ma lo si fa transitare da una categoria più tassata ad un’altra meno percossa, al fine di alleggerire il carico fiscale. La casistica della frode fiscale è invece riconducibile a situazioni in cui dietro un’apparente regolarità si celano espedienti volti a ridurre la base imponibile; il classico esempio è l’inserimento in contabilità di fatture d’acquisto false. Per contrastare tali fenomeni evasivi, che nel nostro Paese si presentano in forma molto rilevante rispetto agli altri paesi europei, i vari governi hanno cercato, mediante l’emanazione di specifiche disposizioni normative, di far emergere la base imponibile, di aumentare l’adesione spontanea agli obblighi tributari, di potenziare il contrasto all’evasione fiscale.
Nella recente nota stampa del 9 marzo 2023 l’Agenzia delle entrate-Riscossione ha annunciato che l’attività di contrasto all’evasione fiscale nel 2022 ha portato ad un livello di recupero di gettito che non si era mai registrato prima: in particolare nel 2022 tale attività ha permesso un recupero di 20,2 miliari di euro. Di questi, 19 mld di euro derivano dalle ordinarie attività di controllo sui versamenti effettuati mediante F24, dall’invio delle lettere di compliance (ossia lettere per stimolare i contribuenti ad adempiere spontaneamente), dalle cartelle di pagamento inviate dall’agenzia delle entrate-riscossione. Gli incassi derivanti dalle misure straordinarie (cioè: pace fiscale e rottamazioni) rappresentano il restante 1,2 mld di euro di maggior gettito. Nel 2022 si è avuta anche una notevole attività anti-frode che ha permesso all’Erario di bloccare 9,5 mld di euro tra crediti, bonus e rimborsi non spettanti.
Gli effetti dell’evasione fiscale sul sistema economico sono diversi; essi sono tanto più aspri quanto più il fenomeno è esteso e si distinguono in danni economico finanziari e danni sociali. Quelli economico finanziari riguardano il mancato gettito per lo Stato che può pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi di politica economica; in tal modo l’Erario si vede costretto a ricercare altri mezzi finanziari per far fronte ai propri impegni e spesso incrementa le aliquote al punto da rendere davvero pesante il carico fiscale (il rapporto tra le entrate fiscali ed reddito prodotto nel Paese misura la pressione fiscale). I danni di natura sociale sono riconducibili all’alterazione del carico tributario fra i cittadini in quanto l’onere fiscale tende a ricadere su determinate categorie di contribuenti, più onesti o quantomeno impossibilitati ad evadere (es. i lavoratori dipendenti), e ciò genera ripercussioni sull’equità sociale.
Si evidenzia che più è elevata la pressione fiscale, più alta sarà la tendenza ad evadere; per contro maggiore è il rischio di essere sottoposto ad accertamenti fiscali con addebito di sanzioni ed interessi – fino ad arrivare alla reclusione in caso di reati tributari – minore sarà la propensione ad evadere. Al fine di arginare il fenomeno sarebbe auspicabile un sistema tributario equo con controlli mirati ed efficienti della pubblica amministrazione nonché un atteggiamento di conflitto di interessi tra i diversi operatori economici (ad es. consentire al contribuente di detrarre determinate spese induce alla richiesta di apposita documentazione fiscale, come fatture e scontrini fiscali, che impediscono l’occultamento di base imponibile da parte dei prestatori di opera, percettori dei redditi stessi).
Secondo la relazione presentata dal MEF sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva per l’anno 2022 risulta che nel periodo compreso tra il 2015 ed il 2019 il tax gap è diminuito di circa 6,9 mld di euro, così come anche la propensione all’evasione si è ridotta di circa 2,7 punti di percentuale. Pertanto in valori assoluti si scende sotto la soglia dei 100 mld di euro di evasione fiscale e contributiva per il 2019 in cui il dato è pari a circa 99,2 mld di euro di cui 86,5 di mancate entrate tributarie e 12,7 mld di euro di mancate entrate contributive. La citata relazione afferma che viene “confermata la tendenza alla contrazione dell’economia sommersa e dell’evasione fiscale nel medio periodo, a beneficio dell’efficienza e dell’equità dell’intero sistema economico con conseguenti impatti positivi sulla finanza pubblica”. Nella relazione si evidenzia anche che la propensione all’evasione è molto alta tra i percettori di reddito di lavoro autonomo ed impresa; essa si attesta su una percentuale del 68,7%; segue il tax gap per il versamento di IMU e TASI per il 25,1%; quello a titolo di IRES per il 23,7% , seguito da quello dell’IVA e dell’IRAP pari rispettivamente al 19,3% ed al 17,8%.
La letteratura e l’esperienza economica evidenziano che i livelli e l’andamento dell’evasione dipendono da un insieme di fattori tra i quali le strategie di prevenzione e contrasto dell’evasione a cui concorrono diversi soggetti appartenenti alla pubblica amministrazione, tra cui: l’Agenzia delle entrate, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, la Guardia di Finanza, le Regioni e gli Enti territoriali, l’Ispettorato nazionale del lavoro (INL), l’Inps e l’Inail.
Nell’ambito della riduzione del fenomeno dell’evasione fiscale rientrano anche le finalità poste dall’attuazione del Next Generation EU (NGEU). Tra gli obiettivi quantitativi sottoposti a monitoraggio per tutta la fase di attuazione del PNRR, nell’ambito delle misure correlate alla “Riforma dell’Amministrazione fiscale” è stata inclusa la “Riduzione del tax gap". L’obiettivo prevede che la propensione all'evasione, calcolata per tutte le imposte ad esclusione dell'IMU e delle accise, si riduca, nel 2024, del 15% rispetto al valore di riferimento del 2019 riportato nella Relazione aggiornata dal Governo nel 2021. È poi previsto un controllo intermedio che assicurerà che la medesima "propensione all'evasione" si riduca, nel 2023, del 5% del valore di riferimento del 2019. Pertanto, l’indicatore considerato dal PNRR come valore di riferimento per accertare il raggiungimento degli obiettivi è rappresentato dalla propensione al gap per tutte le imposte al netto delle imposte immobiliari e delle accise. L’obiettivo quantitativo previsto nel PNRR è ambizioso: la propensione al gap dovrà ridursi almeno al 15,8% entro il 2024, con una flessione di 2,8 punti percentuali rispetto al valore di riferimento.

Numero Registrazione Testata: 202/2015 2 Dicembre 2015 Editore: ONG Africanpeople - C.F.: 97788610588
Direttore Scientifico: Ing. Maurizio Scarponi
ISSN : 2283-5041

24h PRESS AGENCY AFRICANPEOPLE

AFRICANPEOPLE NEWS

SILK STREET
AFRICANPEOPLE O.N.G.


sabato 8 aprile 2023

 

Ore 16,00


APN publisher
presenta

"Poesie d’Africa"
a cura di Claudia Polveroni

 

Programma

• ore 16:00 introduzione della serata a cura del Presidente della ong Africanpeople, ing. Maurizio Scarponi

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Intervengono:

• dott.ssa Claudia Polveroni, presenta il progetto letterario “Poesie d’Africa”
• Piero Marsili accompagna con il piano la presentazione delle poesie
• prof. ssa Katia Ranieri
• Emanuela Scarponi, giornalista, conclude i lavori.

 

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Segue apericena ore 18,30

sono aperte le iscrizioni   

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Alessandra Di Giovambattista

LO STATUTO DEI CONTRIBUENTI: REGOLE RIMASTE SULLA CARTA

 10-03-2023

La legge n. 212 del 27 luglio 2000 ha introdotto lo statuto dei diritti del contribuente con il quale si è voluto dare attuazione agli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione al fine di garantire i principi di democraticità e trasparenza su cui dovrebbero basarsi i rapporti tra il Fisco ed i cittadini contribuenti. In via generale si ricorda che i contribuenti possono: contestare nel merito le richieste del Fisco che si considerano errate proponendo un’istanza di autotutela presentata entro i termini previsti; utilizzare lo strumento del ravvedimento operoso quando ci si accorge di aver commesso degli errori; evitare le liti fiscali utilizzando gli strumenti a disposizione ossia l’acquiescenza, l’accertamento con adesione, la conciliazione, il reclamo e la mediazione; tutelare la propria posizione giuridica presentando ricorso alle Commissioni Tributarie.

L’articolo 1 della suddetta legge, specifica che le disposizioni contenute nello statuto costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. In via generale si vuol sottolineare che lo statuto, tra le norme più pregnanti, stabilisce che le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo ed in più le norme fiscali non possono prevedere adempimenti in capo ai soggetti prima che siano decorsi sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della nuova normativa.

Nello statuto sono stabiliti i diritti che il contribuente può far valere nei confronti degli uffici finanziari; in particolare l’amministrazione:deve assicurare la conoscenza delle leggi e delle disposizioni amministrative in materia, anche dandone pubblicazione sul proprio sito web; deve garantire che il contribuente conosca gli atti a lui destinati provvedendo a notificarli nel luogo del suo effettivo domicilio; al fine di assicurare chiarezza e trasparenza, deve motivare gli atti di accertamento o di liquidazione dei tributi - indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione - che vengono inviati ai contribuenti, corredandoli anche di copia degli eventuali ulteriori atti che vengono richiamati nell’accertamento o nella richiesta di liquidazione dei tributi;deve garantire che i rapporti con il contribuente siano improntati ai principi della collaborazione, della correttezza e della buona fede; la tutela del legittimo affidamento è un principio generale riconosciuto dalla giurisprudenza domestica ed anche da quella comunitaria, con la finalità di tutelare il contribuente che si comporta in buona fede deve consentire al contribuente di poter esercitare il diritto di compensazione che permette di estinguere il proprio debito tributario utilizzando crediti vantati verso il Fisco; garantisce il diritto di interpello su fattispecie concrete e personali del contribuente; in alcuni casi, in particolare quando vi sono obiettive condizioni di incertezza normativa, il contribuente prima di decidere come comportarsi può chiedere un parere all’amministrazione finanziaria la quale può rispondere entro un determinato periodo di tempo, oltre il quale vale il silenzio assenso, nel qual caso l’amministrazione si conforma all’ipotesi di applicazione normativa proposta dal contribuente; deve svolgere gli accessi, le ispezioni e le verifiche fiscali sulla base di esigenze effettive di controllo, al fine di arrecare il minor disagio allo svolgimento delle attività del contribuente. Vengono posti dei limiti alla permanenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria presso la sede del soggetto sottoposto a verifica fiscale la quale deve essere svolta durante l’orario ordinario di esercizio dell’attività. Per garantire poi il principio della cooperazione tra amministrazione finanziaria e contribuenti, al termine della verifica fiscale viene redatto il processo verbale di chiusura delle operazioni e di esso viene data copia al contribuente per consentirgli di comunicare osservazioni e richieste che saranno sottoposte al vaglio degli uffici finanziari;ha istituito il Garante del contribuente, un organo autonomo ed indipendente a cui è affidato il compito di vigilare ed assicurare l’attuazione sostanziale delle regole e dei principi contenuti nello Statuto dei diritti del contribuente al fine di tutelarlo e difenderne i diritti. Esso ha sede presso ogni direzione regionale dell’Agenzia delle entrate e viene interessato direttamente dai contribuenti che lamentino disfunzioni, irregolarità, scorrettezze o anomalie nello svolgimento degli atti amministrativi; in tali casi chiede chiarimenti agli uffici competenti e può anche inviare raccomandazioni ai dirigenti degli uffici finanziari per tutelare i contribuenti e per migliorare il servizio tributario, può inoltre vigilare sul corretto svolgimento delle verifiche fiscali. Il Garante in ragione delle segnalazioni ricevute e delle attività svolte presenta una relazione semestrale al Ministro dell’Economia e delle finanze.

Questi in generale gli obiettivi ed i contenuti dello Statuto dei contribuenti; però a ben vedere finora lo statuto è stato spesso disatteso introducendo specifiche deroghe nelle varie leggi di natura fiscale che si sono succedute nel tempo. Purtroppo ciò rende ancora più distante e critico l’approccio del cittadino nei confronti degli uffici finanziari, percepiti sempre più come espressione di luoghi di ricerca affannosa di risorse finanziarie a discapito del contribuente che spesso si vede soggiogato da normative sempre più complicate e farraginose. Infatti a circa venti anni dall’introduzione dello Statuto la sua portata innovativa non è stata di fatto calata nella realtà legislativa al fine di provare a riportare il rapporto tra Fisco e contribuenti in condizioni di effettiva parità. La legislazione tributaria è ormai pensata, ma forse lo è stata sempre, per recuperare gettito e risorse finanziarie, trascurando i diritti sanciti dallo Statuto, e in questo modo il contribuente si sente sempre più vessato ed avulso da un sistema che lo rende suddito e non cittadino.

Le amministrazioni pubbliche sembrano non ascoltare le effettive esigenze e soprattutto non è assolutamente chiaro e trasparente il rapporto tra risorse introitate dall’Erario e servizi ricevuti dai contribuenti; anzi spesso chi più contribuisce meno riceve e purtroppo in un Paese con forte evasione ed elusione fiscale il rapporto tra capacità contributiva ed effettivo livello di ricchezza del soggetto si perde, creando disparità e frizioni sociali peraltro alimentate da coloro che desiderano comunque rimanere in quella zona grigia in cui sembra che i controlli del fisco non riescano ad arrivare. Sempre più forte è il malcontento da parte dei contribuenti che hanno perso la fiducia nello Stato che continua a legiferare in modo confuso e caotico, con mille sovrapposizioni di leggi e decreti che modificano convulsamente ogni istituto fiscale e non riescono a premiare chi costantemente fa il proprio dovere.

Anzi le innumerevoli rottamazioni ed i vari strumenti di deflazione del contenzioso (veri e propri condoni celati da affermazioni finanziarie inverosimili per le quali quando incassi denaro dal condono hai un maggior gettito…. Senza però dire quanto in realtà è la differenza tra quanto avresti dovuto incassare e quanto realmente incassi per effetto della pace fiscale: in termini finanziari in realtà si ha una perdita netta secca) agevolano coloro che per i motivi più disparati non pagano il dovuto: oggi il riscosso da attività di accertamento è pari a circa l’8%.... Ciò vuol dire che di 100 euro accertati il fisco incassa solo 8 euro. Mi domando che tipo di atteggiamento dovrebbe avere il contribuente, spesso lavoratore dipendente, che paga fino all’ultimo centesimo e che magari ha un livello di ISEE che non gli dà diritto a nessuna prestazione sociale, laddove l’evasore non solo gode dei benefici assistenziali, perché ha un livello di ISEE bassissimo, ma usufruisce anche di sconti e condoni?

Ovviamente tutto ciò è permesso specialmente dalla fumosa legislazione fiscale che permette sempre una scappatoia a chi può pagare i migliori tributaristi. L’ordinamento fiscale è tutt’altro che semplice e lineare, essendo composto da numerose leggi, decreti legislativi, decreti legge e decreti del presidente della repubblica, affiancato da circolari ministeriali che dovrebbero aiutare a comprendere la portata normativa; ma spesso non è così, per cui oggi sui siti degli uffici finanziari - spesso non aggiornati - ci sono anche le FAQ (cioè le domande più frequenti che i contribuenti presentano al fisco e che dimostrano chiaramente la misura del caos applicativo). Di fatto manca un testo che racchiuda tutte le norme di natura fiscale, alla stregua del Codice civile o del Codice penale: sarebbe cosa buona e giusta esporre con chiarezza i principi che informano il sistema tributario, e qui intendo ricordare che la semplicità e la chiarezza della norma rappresentano delle caratteristiche fondamentali, per la scienza delle finanze, che le disposizioni fiscali dovrebbero avere per garantire l’effettiva compliance tra erario e contribuenti.  

Infatti, lo Statuto del contribuente prevede che le leggi e gli altri atti aventi forza di legge che contengono disposizioni tributarie devono menzionare l’oggetto nel titolo, in modo da agevolarne l’identificazione, e che i richiami di altre disposizioni in materia tributaria devono indicare anche il contenuto sintetico della norma alla quale si intende fare rinvio. Ad oggi tutto ciò risulta una pia illusione. Basti pensare, ad esempio, che alcune volte per trovare la scadenza effettiva di una disposizione non è sufficiente basarsi sulla norma principale ma occorre andare a scorrere tutte le modificazione che si sono succedute nel tempo per tentare di capire l’effettiva scadenza; tacendo poi la frequente situazione che si verifica con l’emanazione dei decreti legge in cui dal testo originario a quello effettivo si incorre in periodi transitori di applicazione di disposizioni fiscali valide per sole poche settimane.

Concludo dicendo che l’ignoranza, creata ad arte, e l’atteggiamento di far sentire incapace il contribuente, ripaga sempre una classe politica ed amministrativa sempre meno professionale e sempre più interessata ai propri stretti e personali interessi che però tutti noi paghiamo, profumatamente, ogni giorno.

 

 

 

IL GREEN DEAL: E’ TUTTO ORO QUELLO CHE LUCCICA? di ALESSANDRA DI GIOVAMBATTISTA 

 

28-02-2023

In via generale occorre sottolineare che la UE ha predisposto le misure in risposta all'IRA (Inflaction reduction act) statunitense che ha destinato uno stanziamento di circa 370 miliardi di dollari in favore delle produzioni basate sull’energia ed il clima; il pacchetto statunitense prevede forti sgravi fiscali sia per le imprese che produrranno negli USA sia per i consumatori che acquisteranno auto elettriche. Notizie recenti ci informano che la BMW intende investire circa 2 miliardi di dollari nella Carolina del Sud, così come ENEL che ha dichiarato di voler costruire una fabbrica di celle fotovoltaiche negli USA. Così la UE ha deciso di muoversi, però lo sta facendo sia in ritardo sia in modo disorganico ed individualista in quanto sembra voler garantire gli interessi delle singole nazioni e non già dell’Unione europea. Vediamo i perché di tale affermazione.
a) Uno dei pilastri che prevede l’allentamento dei vincoli sugli aiuti di Stato si basa sulla facilitazione dei finanziamenti pubblici verso i settori vocati alla sostenibilità; in tal modo però si favoriscono le nazioni europee che presentano i bilanci statali più solidi a discapito di quelli che hanno un rapporto debito/PIL molto più marcato (come l’Italia, dove è anche molto forte la pressione fiscale), i quali avrebbero limitazioni nelle politiche di finanziamento e non potrebbero concedere aiuti alle imprese nazionali. Infatti l’uso delle risorse già messe disposizione implicherà, per i paesi con alte esposizioni debitorie, il riposizionamento dei finanziamenti a favore delle attività produttive sostenibili, ma probabilmente a discapito del welfare, con possibili ricadute negative sul livello socio-culturale delle Nazioni più vulnerabili. Per evitare ciò, sarebbe opportuno rivedere le modalità e gli importi previsti dal PNRR o pensare alla creazione di un fondo sovrano comunitario finalizzato a tali finanziamenti; ma a tali ipotesi sono contrari Paesi come Germania, Olanda, Danimarca, Svezia e Finlandia, che non hanno un elevato tasso di indebitamento e che non sono quindi favorevoli ad un incremento del debito pubblico a livello UE. Quindi i citati Paesi, insieme alla Francia spingono per un allentamento del quadro di aiuti di stato per i settori green, ma senza prevedere ulteriori risorse che possano coadiuvare i paesi con situazioni finanziarie più complesse. Per una maggiore riflessione sul punto, si consideri che dei 672 miliardi di euro in aiuti di stato che la Commissione ha approvato nel 2022 alla Germania è stato assegnato il 53 per cento, alla Francia il 24 per cento ed all’Italia il solo 7 per cento; va da sé che il restante 16 per cento è stato redistribuito tra le altre 24 nazioni delle 27 che aderiscono all’UE.
b) Si aggiunga che i ministri dell’economia di Germania e Francia di recente si sono recati a Washington con l’intenzione, secondo le loro dichiarazioni, di difendere le condizioni di concorrenza leale tra Stati Uniti e UE. Sono partiti con l’intento di chiedere che gli Stati Uniti estendano agli alleati europei i sussidi garantiti alle aziende statunitensi, canadesi e messicane che producono tecnologie pulite. L’unico vero problema è capire se i due rappresentanti della UE (che dovrebbero essere andati in questa veste) agiranno per ottenere risultati positivi per tutti i paesi comunitari: la situazione economica va affrontata di comune accordo, diversamente si snatureranno le finalità dell’Unione Europea e potrebbero crearsi delle frizioni tra Paesi membri. L’aspetto importante in questo momento è cercare forme di collaborazione con gli Stati Uniti che dovrebbero includere i prodotti europei nei loro mercati; l’Italia rappresenta in Europa la terza economia, dopo la Germania e la Spagna, che si regge sull’export – quasi il 35 per cento del nostro PIL è rivolto alle esportazioni - e posizioni protezionistiche di certo non aiuterebbero. In più per problemi storici non siamo mai stati un Paese colonizzatore (se non per breve tempo), a differenza di molti altri paesi europei, come la Francia (dove ancora vige il diritto di signoraggio sul franco africano), che possono ancora far valere diritti sulle ex colonie, sia come investitori sia come acquirenti di materie prime. Solo in via incidentale si vuol sottolineare che la Libia, una delle ex colonie italiane, fu destabilizzata dalla Francia la quale decise, con l’aiuto degli USA, di sovvertire il governo di Gheddafi solo perché - tra le altre cose - egli aveva iniziato a pensare di liberare l’Africa dal franco africano e creare una moneta unica africana. Quella fu una dimostrazione di forza neocolonialista non giustificata, che ha incrementato l’instabilità nell’area mediterranea, con la conseguenza - così come è emerso anche nell’intervento del Prof. Gianluigi Rossi durante l’incontro in tema di cambiamenti climatici, organizzato dall’ONG Africanpeople, e che si è tenuto nella sede dell’UNAR di Roma il 12 febbraio c.a, - che oggi sia la Francia che l’Italia sono estromessi dalle trattative per la Libia, laddove invece sono presenti Turchia e Russia.
c) Il programma economico predisposto dalla UE non sembra affrontare in modo approfondito il problema dei Paesi africani e della salvaguardia delle loro ricchezze - compresa la protezione della cultura, dell’ambiente e della natura - che dovrebbero in primis essere utilizzate dai nativi; è di questi ultimi giorni l’appello fatto dal Papa nel suo viaggio apostolico in Congo ed in Sud Sudan: “giù le mani dall’Africa”. Nel piano del Green Deal si legge solo un velato impegno allo sviluppo di accordi con i Paesi africani per facilitare l’attrazione e l’espansione degli investimenti, con un’attenzione all’ambiente ed ai diritti del lavoro; in tutto ciò non viene però specificato se gli investimenti saranno per l’interesse di tutti o ad esclusivo vantaggio dell’Europa e dei soliti paesi ex-colonialisti. In più parti si è parlato di un “Piano Marshall” per l’Africa, per il suo sviluppo; sempre il Prof. Rossi, nel citato convegno ha sottolineato l’inadeguatezza della definizione - in prima battuta perché l’Africa è un continente con opportunità e risorse del tutto diverse da quelle dell’Europa post bellica - alla quale bisognerebbe sostituire quella di un “Piano Mattei” dove deve prevalere un atteggiamento di partenariato tra Europa ed Africa in cui sarà necessario un atteggiamento di condivisione di risorse e di rispetto culturale ed umano tra Nazioni; in tale contesto sarebbe auspicabile anche il coinvolgimento dell’Unione Africana (UA).
d) Oltre agli accordi con gli USA, c’è da ricordare che la partita si dovrà giocare anche con la Cina: quest’ultima assegna ingenti risorse alle proprie industrie che ormai fanno breccia, indisturbate, in tutti i paesi del mondo. Per contro le imprese europee incontrano notevoli difficoltà ad accedere al mercato cinese e a far rispettare il diritto di proprietà intellettuale. Inoltre la Cina è ormai già presente in Africa ed ha il diritto di sfruttamento di molte delle miniere di materie prime e non solo: da ormai 20 anni è entrata nel tessuto socio-economico africano senza che l’Europa si interessasse minimamente al problema. Prevedere ora un Club delle materie prime, senza pensare alla presenza cinese ed eventualmente allo sviluppo di forme di cooperazione con la Cina, potrebbe risultare dannoso ed inopportuno: un testa a testa contro questo colosso economico - finanziario vedrebbe certamente capitolare l’Europa.
e) Altro rischio si può intravedere nella richiesta da parte della Commissione di applicare rapidamente ed in modo automatico il regolamento (AFIR); in generale sembra che si trascuri il ruolo fondamentale della normativa, già esistente a protezione dell’ambiente, che deve essere posta alla base delle scelte di investimento delle aziende. La deregolamentazione in un settore nuovo può essere nociva in quanto può incentivare nuove forme di reati in ambito di transizione verde, lasciando spazio alla malavita e alla corruzione che, non più assoggettate a controlli e a norme stringenti, potrebbero aggirare i paletti della legalità.
f) Ulteriore spunto di riflessione va ricercato nelle politiche che vertono sul miglioramento delle competenze umane, con lo scopo di creare posti di lavoro di qualità e ben retribuiti, influendo specialmente sull’istruzione; in questo contesto il timore si volge verso il controllo - attraverso gli indicatori dell’offerta e della domanda di competenze nei settori rilevanti per la transizione ecologica nonché dei finanziamenti pubblici e privati dirottati verso tali settori - delle scelte dei cittadini in ambito didattico e professionale. Occorre garantire la libertà di scelta del tipo di istruzione e di professione che i soggetti vorranno svolgere, in quanto, nel momento in cui si dirottano risorse verso un settore, a parità di condizioni, c’è sempre un altro settore che ne soffre le conseguenze negative per effetto dei definanziamenti. Non ultimo sarà indispensabile garantire la giusta retribuzione per qualsiasi attività svolta, nonché la libertà di didattica e di istruzione: saremo ancora liberi di scegliere cosa fare, cosa studiare, cosa insegnare? Oppure si dovranno studiare solo materie tecnico scientifiche a scapito delle materie umanistiche che formano l’animo dell’uomo e ne esaltano le corde della sensibilità e dell’interiorità, oggi così tanto trascurate?
g) Altra attenzione va posta sul problema dei finanziamenti: il Piano più volte richiama sia quelli pubblici, sia quelli privati; in ogni caso l’interesse ritorna solo in capo al cittadino in quanto le risorse pubbliche provengono dall’imposizione fiscale pagata dai contribuenti, mentre quelle private dal risparmio dei singoli. Fatta tale precisazione l’obiettivo del mercato unico dei capitali, contenuto in uno dei quattro pilastri del green deal, è quello di voler raggiungere la mobilitazione dei capitali privati per ottenere un mercato più dinamico e competitivo a livello mondiale, nel breve e medio termine. In tal senso si vuole:
• creare un punto unico di accesso europeo (ESAP) per gli investitori al fine di ottenere informazioni pubbliche di natura finanziaria e in tema di sostenibilità delle imprese;
• riesaminare il regolamento sui fondi di investimento europei a lungo termine (ELTIF) per facilitare gli investimenti anche da parte dei piccoli investitori verso quelli a lungo termine;
• riesaminare la direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA) per armonizzare le norme che consentono ai fondi di concedere prestiti alle aziende;
• riesaminare il regolamento sui mercati degli strumenti finanziari (MIFIR) per migliorare la trasparenza delle informazioni sulle negoziazioni e per agevolare gli investitori.
Così come presentata sembra essere una risposta adeguata alle sfide future di incrementi e diversificazioni dei capitali che le aziende potrebbero utilizzare in progetti di sviluppo e ricerca a favore delle economie sostenibili, con un’attenzione particolare verso le piccole e medie imprese che più di tutte soffrono di carenza di finanziamenti. Secondo uno studio della commissione europea tra il 2008 ed il 2013 le imprese presenti sul territorio europeo avrebbero potuto beneficiare di ulteriori 90 milioni di euro di risorse finanziarie se il mercato dei capitali unico in Europa fosse stato più efficiente. Tuttavia uno dei punti di criticità nell’indirizzare risorse finanziarie verso le realtà aziendali è nel trade off tra le scelte/interessi dei managers e quelle dei proprietari/imprenditori, e più in generale di tutti gli stakeholders dell’azienda interessati al perdurare nel tempo della stessa. Infatti le attuali forme di governance aziendali, il più delle volte, vedono ai vertici dei managers che sono scollati dalla proprietà e con un occhio attento alla conferma e alla persistenza nel tempo della loro presenza e dei loro benefici all’interno dell’azienda. Già Adam Smith, che non poteva conoscere le dinamiche delle grandi società per azioni dei nostri tempi, scriveva: “Essendo (i manager ndr) i gestori del denaro altrui invece che del proprio, non ci si può attendere che essi lo sorveglino con la stessa ansiosa vigilanza con la quale i soci [in un’impresa gestita dai proprietari] solitamente sorvegliano il proprio denaro (…) Negligenza e prodigalità, pertanto, finiscono sempre per prevalere, bene o male, nella gestione degli affari di una tale società.” Questa separazione si trova più spesso nelle grandi società con azionariato diffuso in cui i proprietari, non riuscendo a coordinarsi tra loro a causa di interessi eterogenei, non riescono più ad influire direttamente sulle scelte dei managers, e pertanto non ne controllano più le decisioni. Gli azionisti/investitori hanno a cuore essenzialmente la massimizzazione dei profitti che rappresenta la quota di reddito a loro destinata (che si traduce nei dividendi) e che può rappresentare una modalità attraverso la quale i managers riescono a farsi riconfermare nel tempo aldilà delle reali performance aziendali. Infatti si assiste spesso a situazioni in cui nell’intento di voler garantire un elevato dividendo le aziende riducono gli investimenti e la forza lavoro, generando così disoccupazione, riduzione dei salari e minore sviluppo aziendale. Tale problematica viene ulteriormente amplificata se gli investimenti vengono finanziati con capitale di debito e non già mediante autofinanziamento: tale situazione indebolisce la struttura economico finanziaria della società e le conferisce rigidità, compromettendo la sua capacità di sopravvivenza sul mercato. Pertanto sarebbe utile conoscere ed approfondire le metodologie che l’Unione dei Mercati dei Capitali, all’interno della UE, utilizzerebbe al fine di incoraggiare gli investimenti e stimolare gli investitori privati a concedere finanziamenti soddisfacendo interessi che, andando aldilà del pagamento dei dividendi, riguardino tutti gli stakeholders.
h) Occorre poi sottolineare la delicatezza della questione riguardante il notevole volume di risparmio che gli italiani detengono, rispetto alla media dei paesi UE e del resto del mondo, e che dovrebbe confluire sul mercato unico a favore di tutte le aziende europee, indistintamente. Per la Commissione europea i mercati dei capitali ampi e integrati faciliteranno la ripresa dell’Ue, assicurando che le imprese, in particolare le piccole e medie imprese, abbiano accesso a fonti di finanziamento e che i risparmiatori europei aumentino la fiducia negli investimenti per il loro futuro. In questo ambito l’attenzione va posta su un problema che andrebbe preventivamente risolto ed arginato: il probabile deflusso di risorse finanziarie dall’Italia verso aziende europee, molto probabilmente tedesche, francesi, olandesi, spagnole, depotenziando ancora di più le aziende italiane, essenzialmente piccole e medie imprese, poco forti sui mercati rispetto ai competitor europei citati. In tale contesto bisognerà evitare scenari di disomogeneità e squilibrio, con possibili conflitti interni alla UE ed ulteriore allargamento delle disuguaglianze dove i forti saranno sempre più forti e compatti ed i deboli sempre più deboli ed isolati.
Si ha come la sensazione che nel futuro dovremo assistere ad una “dittatura del green” dove massimo sarà il controllo della maggioranza delle persone a vantaggio della libertà di pochi, definiti non inquinanti. Occorre che la programmazione aziendale abbia uno sguardo sul lungo periodo, che vada ben oltre i 10 anni, e che arrivi a coprire anche 50, 60 anni; prendo da qui lo spunto per un breve ma significativo esempio, che vuole essere anche una provocazione: oggi chi monta i pannelli fotovoltaici è green e sostenibile, ma quando tra 20 anni dovrà dismettere l’impianto e le celle fotovoltaiche, diventerà immediatamente inquinante!