Critica nei confronti della "Negritudine"

Soyinka, proseguendo in quel periodo la sua critica sul ruolo dell'artista nell'Africa moderna, si pone in contrasto anche con tutto quel movimento culturale che aveva avuto origine nel quartiere latino di Parigi all'epoca delle lotte indipendentiste in Africa e il cui fondatore, Senghor, diventerà presidente della repubblica del Senegal, Soyinka condanna infatti tale corrente ideologica-letteraria, detta della "Negritudine", che proprio nella acritica glorificazione di un passato, identificato con l'immagine "coloniale" del "bon sauvage", ritrovava l'essenza negra.

Questa dottrina, elaborata come pensiero filosofico da Senghor e dal martinicano Aime Cesaire negli anni '40 alla Sorbona, mal si adatta al pensiero più moderno e populista di Soyinka mentre tale dottrina si confronta infatti con le tecniche e, più in generale, con la mentalità globale del mondo occidentale, la dottrina soyinkiana rifiuta il paragone, attestandosi su posizioni completamente nuove ed ancorate profondamente nella filosofia africana» Mentre la "Negrìtudine" si preoccupa di rispondere alle accuse della cultura europea, trovandosi a"combattere" in campo avversario, Soyinka non accetta alcuna discussione di stampo tipicamente occidentale, riportando la disputa in terra africana. A proposito di tale posizione, è fondamentale la frase chiarificatrice dello stesso Soyinka:

"A tiger does not shout its tigritude, it acts it", da "The Writer in an African State", in Transition 

Mentre quindi la Negritudine cercava una definizione collettiva dell'identità dell'uomo nero, Soyinka ribadisce l'importanza delle culture locali (in primis la cultura yoruba), considerate non dal punto di vista esclusivamente emozionale ed anti-intellettuale, ma ben coscienti della propria dignità e della propria tradizione, cioè intellettualmente capaci. Soyinka rifiuta quindi l'immagine di Senghor che,desideroso"di affermare la sua africanità in terra europea, finisce invece per "sbiancarsi" gradualmente. Il concetto base di tale rifiuto, tipicamente radicale e rivoluzionario, permette a Soyinka di concepire l'Africa come un continente completamente autonomo, dove la colonizzazione appare solo come un momento storicamente determinato che è necessario superare. Anche per questo, quindi, egli si scontra con la "Negritudine" che, implicitamente, vede invece l'indipendenza nazionale come il giusto riconoscimento per l'apprendimento di schemi e di modi di vita tipicamente occidentali.  

In altre parole ed in un contesto socio-politico più ampio si produce, tra Soyinka e Senghor, uno scontro che deriva dal diverso modo di affrontare il problema coloniale delle due "superpotenze" dominanti nel mondo africano, la Francia e l'Inghilterra. Mentre l'una,infatti,col suo enorme bagaglio storico, filosofico e religioso, cerca di conquistare profondamente il mondo africano, inculcando le proprie idee fino a radicarle completamente nelle nazioni domi_ nate, l'altra non si propone,consapevole della propria superiorità, lo stesso risultato finale, permettendo così il mantenimento di quella carica nazionale e di quella capacità intellettuale insite in ogni popolo africano. Proseguendo ancora sul tema della "Negritudine", è opportuno ricordare un'affermazione particolarmente significativa di Soyinka:

"la Negritudine, successivamente, è diventata un tema fine a se stesso, ed i seguaci vi si sono adagia-ti senza dare spazio alla vera creatività artistica. Bisogna quindi lasciare tale retroterra, per dare una ritrovata immagine letteraria africana  (1), Tuttavia, quando si parla di immagine letteraria afri-cana, bisogna sottolineare che il problema è molto complesso e riguarda lo stesso termine di "letteratura", proveniente dà "lettera",; intesa come segno scrittoC2). Infatti, l'unica tradizione culturale scritta africana è quella dei Suahili e degli Hausa, che si era sviluppata sotto la spinta islamica. Da sempre, l'arte letteraria africana e  caratterizzata da una tradizione orale, e si manifesta quindi in forme diverse nel rispetto

(1), da "From a Common Back Cloth, di Wole Soyinka, in The American Scholar, voi. 32, giugno 1963,pag. 387-396, New York.

(2), da "Le solide radici yoruba di una cultura cosmo-polita" in II Mattino, 17.11.1986, di Toscano, M.

dei suoi modi di produzione e di fruizione, che sono molto più collettivi e diretti se paragonati alle tecniche della letteratura scritta, nota come letteratura d'elite, espressione del potere politico e religioso. E' pertanto l'avventura coloniale che diffonde la scrittura a caratteri latini e che fa sorgere letterature in lingua francese, inglese o locale. In conclusione, data la complessità della situazione culturale africana, e la varietà dei modelli e delle forme adottate, spontanee o imposte che siano, Soyinka ribadisce che gli scrittori africani devono operare contro la Negritudine. In tale ottica Soyinka volge la sua ironia verso i più comuni canoni estetici della critica occidentale, che si accosta alla produzione africana con un atteggiamento che egli definisce "tarzanismo" (1).

(1), da "From a Common Back Cloth, di Wole Soyinka, in The  American Scholar, voi. 32, giugno 1963, pag. 387-396, New York.

Il nostro autore afferma infatti di non credere nella creazione artificiale di un'estetica, perché all'in-terno di ogni cultura è già inserita un'estetica le-gata all'organizzazione di quella stessa cultura e quindi inseparabile da essa.

I critici occidentali sono incapaci di esaminare le culture africane, perché sono portati ad analizzarle secondo schemi e somiglianze con le culture occidentali; in ogni modo, essi non debbono far perdere di vista la specificità africana, I nostri critici sono incapaci di giudicale un'originale opera africana, perché ragionano in base ad analogie. On romanzo, secondo loro, assomiglia a Kafka, a Joyce, o a Proust; in sostanza, essi vedono nella produzione letteraria africana un frutto derivato dal mondo europeo.

   Tale critica giunge a definire "europei" gli scrittori africani, che si esprimono con vocaboli tipicamente occidentali, come aeroplano, bicicletta o treno; e giunge altresì a "consigliare" gli stessi africani di usare un linguaggio più propriamente indigeno, con equivalenti termini "folcloristici" ed "hollywoodiani" come "uccello di ferro", "cavallo d'acciaio" o "serpente fumante" (1). Si dimostra così la tendenza a giudicare un'opera non in "base ai contenuti, ma in "base all'uso dei termini linguistici, che invece sono considerati da Soyinka come semplice "involucro" struttura esterna in cui il contenuto viene forzato" (2).A proposito del contenuto e del suo significato più profondamente filosofico, Soyinka si rifà quella che egli chiama la "memoria muta", che è "più antica della memoria parlata ed ancor più della memoria"scritta" (3). Quest'ultima frase rivela, nello stesso tempo, la grandezza spirituale di Soyinka e della sua cultura.(1), da " Wole Soyinka: romanziere, poeta e drammaturgo nigeriano" di Vivan Itala in II Messaggero, 17.10.1986.

(2) da "Il mago della pioggia", di Vivan Itala,in _I1 Messaggero, 18.10.1986. (3), da "Tante Memorie", di Costantini C, in II Messaggero, 18.10

    In contrapposisione alla superficialità della critica occidentale nei confronti dell'Africa, considerata ancora come "la foresta di Tarzan, di Jein e di Cita, all'ombra del Kilimangiaro!". Per concludere comunque la discussione su questo "basilare argomento, ritengo giusto e doveroso ascoltare le parole, dure ma chiarissime, dello stesso Soyinka: Negritude was a creation by and for a small a small élite.The search for a ratial identity was conducted by and for a minuscle minority of uprooted individuals, not merely in Paris "but in the metropolis of French colonies.At the same time through the real Afric among the real populace of the african world would have revealed that these millions had never at any time had cause to question the existence of their Negritude. La negritudine fu una creazione di una sparuta élite destinata alla stessa élite.La ricerca di un'identità razziale fu condotta da e per una minuscola minoranza di individui sradicati, non solo di Parigi, ma nelle metropoli delle colonie francesi.Allo stesso tempo,fra la vera popolazione del mondo africano si sarebbe rivelato che questi milioni di persone non avevano mai assolutamente avuto motivi di porre in discussione l'esistenza della propria negritudine.

Emanuela Scarponi