IL SOCIAL BUSINESS: UN NUOVO PARADIGMA DI IMPRESA

di Alessandra Di Giovambattista

 

Quando il Prof. Muhammad Yunus iniziò ad insegnare economia nell’Università di Chittagong (nel Bangladesh, suo Paese natale) era convinto di spiegare ai suoi giovani studenti delle teorie economiche che sarebbero state in grado di dare risposte e soluzioni ai problemi quotidiani che si fossero presentati ad aziende e singoli: agricoltori, professionisti, artisti, commercianti. Tuttavia, quando si prese del tempo per vedere sul campo e testare le condizioni di vita dei suoi connazionali, si accorse che ovunque guardasse c’era solo miseria. Secondo la sua testimonianza rilasciata nel suo libro “Il banchiere dei poveri” (edito da Feltrinelli, 2004), avvertiva come se stesse girando un film; la sua aula universitaria era un palcoscenico che tentava di dare risposte, ma che il più delle volte restituiva solo illusioni e teorie vacue ed inattuabili.

La realtà quotidiana si distaccava dalle fredde equazioni ed equivalenze che la scienza economica offriva, e le teorie apparivano solo dottrine infarcite di grandi e vuoti pensieri e conclusioni spesso non verificabili! Ma come è possibile che un’equazione possa andare bene per ogni società e risolvere problemi che prima di tutto sono vissuti sulla pelle di ogni singolo, unico ed irripetibile? Non si trattava di studiare l’atomo o l’andamento di un fenomeno, ma si trattava di capire le reazioni umane a certe sollecitazioni quali la povertà, l’emarginazione, la miseria, la disuguaglianza di genere, e proporre soluzioni.

Il prof. Yunus trovò la risposta, valida per l’ambiente in cui viveva, nel ripensare i presupposti per la concessione dei prestiti di modico importo a favore delle classi più povere. Quella di Yunus è stata una guerra combattuta per ricercare risposte ben oltre le mere soluzioni economiche: prima di tutto è stata una vittoria sull’emarginazione e la sudditanza delle donne rispetto al mondo maschile, una rivoluzione quindi non solo economica ma prima di tutto sociale e religiosa. Il ripristino dell’equità e della giustizia calma gli impulsi violenti che si innescano quando si è di fronte a scelte che implicano la sopravvivenza. Ecco perché le sue teorie economiche hanno meritato il premio Nobel per la pace: la pace si costruisce prima di tutto in capo ad ogni singola persona che sa di poter ricevere e dare rispetto e poter contare sulle proprie capacità, vedendosi riconosciuto il valore e la dignità del proprio lavoro che gli garantisca una vita serena ed accettabile per sé e la propria famiglia. In tal modo si esclude ogni forma di neo schiavismo che sembra potersi leggere nelle situazioni attuali se solo si guarda alle condizioni estreme in cui vivono uomini e donne dei paesi c.d. del terzo mondo. Un terzo mondo fatto di territori ricchi di materie prime che però, per assurdo, vengono sfruttate dalle nazioni potenti della terra che inquinano e inventano guerre e inducono gli abitanti autoctoni a migrare dalle proprie terre alla ricerca di maggior fortuna.

Così, in risposta alla richiesta di aiuto da un’infinità di poveri della sua Nazione, nacque la Grameen Bank - che concedeva piccoli prestiti per iniziare attività economiche, viste in un contesto economico di rispetto e di sostenibilità (il c.d. “social business”) - che riuscì a dare una spallata alla logica adottata dagli istituti di credito tradizionali che basano la concessione dei finanziamenti sul possesso di garanzie reali e personali. Sempre nel libro citato Yunus evidenzia che l’idea della sua banca è partita dall’operare al contrario rispetto a quanto facevano le banche tradizionali: i dipendenti passavano la maggior parte del loro tempo nei villaggi, conoscevano e parlavano con le persone povere e a queste proponevano determinate modalità di credito in ragione delle singole necessità e situazioni.

Questo approccio, che potrebbe tranquillamente convivere con quello delle banche tradizionali, ricorda molto l’insegnamento dell’economista E. F. Schumacher, pensatore della teoria del “Piccolo è Bello” dove occorre restituire l’economia nelle mani dell’uomo; essa deve essere al servizio delle sue necessità e non deve valere il viceversa: l’economia per l’uomo e non l’uomo per l’economia. Deve così instaurarsi una spirale virtuosa dove non esiste prevaricazione e dove tutti hanno un proprio, meritato posto. Ma una banca basata su questa nuova mentalità ha incontrato molte difficoltà; leggiamo dalle dirette parole di Yunus, tratte dal citato libro, le problematiche riscontrate: “Fin quasi dal suo nascere Grameen ha suscitato aspre controversie. Da sinistra la si accusava di far parte di un complotto americano per introdurre il capitalismo tra i poveri; si diceva che il suo vero scopo era quello di distruggere qualsiasi prospettiva di rivoluzione futura togliendo ai poveri la disperazione e la rabbia. Un professore comunista mi ha detto: “In realtà non fate altro che dare ai poveri qualche briciola di oppio, così non si lasceranno coinvolgere in questioni politiche più grandi. Con i vostri micro-niente li mettete a dormire, che stiano tranquilli e non facciano rumore. Voi uccidete il fervore rivoluzionario dei poveri, siete nemici della rivoluzione”. Da destra, i capi conservatori musulmani ci accusavano di voler distruggere la nostra cultura e la nostra religione…....Non sono un capitalista secondo la concezione semplicistica di chi ragiona in termini di sinistra e di destra, ma credo nel potere del capitale nel quadro di un’economia di mercato. Sono profondamente convinto che fare l’elemosina ai poveri non sia un gesto risolutivo; significa soltanto ignorare i loro problemi e farli volutamente incancrenire. Un povero in buona salute non vuole né ha bisogno di elemosina. Dargli un sussidio significa aumentare la sua miseria, uccidendone lo spirito d’iniziativa e togliendogli il rispetto di sé stesso. Non sono i poveri a creare la povertà, bensì le strutture sociali e le politiche da esse adottate. Se si modificano le strutture, come stiamo facendo in Bangladesh, la vita dei poveri ne sarà di conseguenza modificata. L’esperienza ci ha dimostrato che, con l’aiuto di un capitale finanziario anche limitato, i poveri sono capaci di produrre profondi cambiamenti nella loro vita.”

Quindi la banca ha rappresentato un cambio di mentalità e di pensiero che ha provocato un ripensamento anche nell’approccio al contrasto della povertà da parte delle associazioni umanitarie e delle organizzazioni internazionali, contrastando anche ogni forma di ideologia politica. Occorre partire dal concetto che ogni essere umano, anche se povero, sa svolgere un lavoro, una qualsiasi attività per la quale si sente più portato ed ha più capacità; non è necessario insegnare, a tutti i costi, un’attività nuova, voler esportare esperienze professionali e lavorative, il c.d. know how, che spesso confligge con la cultura e la tradizione della persona. Un’attività basata su tali presupposti ha un’alta probabilità di fallimento perché il lavoratore si vede proiettato in una realtà produttiva che non comprende e non sente sua, spesso si trova a produrre beni che non potrà o non vorrà mai acquistare. Il lavoratore deve poter amare il proprio lavoro, deve poter contare su un aiuto finanziario iniziale e sulle proprie forze in modo da saper contrastare i meccanismi delle insolvenze e del pagamento dei debiti.

Questo è in realtà il microcredito, così come pensato da Yunus: una piccola somma iniziale che dà la scintilla per l’avvio di un’attività economica che permette all’essere umano di poter credere ed investire su sé stesso. Lo sviluppo dal basso permette alle persone di affrancarsi da ogni forma di schiavitù e di assoggettamento e crea una spirale positiva di benessere che conduce alla pace interiore ed al rispetto. L’equità porta con sé lo sviluppo del processo di democratizzazione della società e la garanzia della tutela dei diritti umani. Il microcredito è stato così riconosciuto come una “forza liberatrice in società dove le donne, in particolare, devono lottare contro condizioni economiche e sociali repressive” (questa citazione è una parte della motivazione con cui è stato conferito il Nobel per la pace). Nello specifico gran parte della popolazione era esclusa dai circuiti economico-finanziari tradizionali; eppure in società povere bastavano davvero pochi dollari per iniziare delle attività produttive che creassero un iniziale piccolo surplus che di fatto ha permesso di sviluppare idee imprenditoriali che altrimenti non sarebbero mai state realizzate. Yunus è riuscito ad infrangere le basi economiche tradizionali del prestito fino allora conosciute per le quali non era possibile finanziare persone che non fossero state in grado di fornire adeguate garanzie di restituzione. Fatto sta che il modello finanziario di Yunus è stato esportato in altre Nazioni, a partire da quelle con un gran numero di poveri, quali il Pakistan, il Sudafrica, il Perù, ma dopo la crisi nel 2008 anche in Paesi sviluppati dove il tasso di povertà rialzava prepotentemente la testa, quali gli Stati Uniti e in Europa.

L’idea di un’impresa sostenibile, di un social business, è ora un caso didattico studiato in diverse facoltà di management, ma il valore più importante, ad essa riconducibile, è l’aver rappresentato una rivoluzione sociale che ha visto l’inizio dell’emancipazione di tante donne in società discriminanti, dove è migliorato anche il tasso di scolarizzazione dei figli, si è iniziato a garantire servizi sanitari e sociali e si è ridotto lo spazio lasciato all’integralismo religioso penalizzante specialmente per le donne. Anche nelle nostre realtà vediamo come sia difficile, per queste ultime e per i giovani, poter ottenere credito dalle banche; in tal modo si disperdono energie e si pregiudicano opportunità economiche, derivanti da idee imprenditoriali innovative, che non trovano spazio nel mercato dei capitali.

Anche in Italia è iniziato un processo di “social business” cioè di concessione di piccoli prestiti da parte di banche dedicate, come Banca Etica che collabora con Permicro, un operatore specializzato nel microcredito, che concede prestiti di modesto importo a soggetti deboli che, non avendo adeguate e sufficienti garanzie da presentare alle banche tradizionali, non potrebbero ottenere credito per iniziare una propria autonoma attività lavorativa. Nel nostro Paese sono presenti istituzioni che permettono, attraverso un percorso di finanza etica, l’inclusione sociale di soggetti (donne, giovani, spesso extra comunitari, o con ridotta capacità lavorativa o con anzianità lavorativa pregressa ma non ancora in età pensionabile, con situazioni sociali difficili) che, opportunamente seguiti e formati, vengono avviati ad intraprendere nuove piccole attività aziendali. Per soggetti si intendono sia persone fisiche sia imprese, queste ultime ovviamente di piccole dimensioni ed in una fase di inizio attività. I prestiti concedibili alle persone fisiche devono essere giustificati da motivazioni valide e meritevoli e sono per importi non superiori a 15.000 euro, rimborsabili in rate mensili per una durata che va da 1 a 6 anni; inoltre bisogna avere la cittadinanza italiana o comunque è obbligatoria la residenza, o il domicilio in Italia ed il permesso o la carta di soggiorno. Per le imprese il microcredito è dedicato a coloro che desiderano avviare o sviluppare una piccola attività imprenditoriale ma non sono soggetti c.d. affidabili dal circuito dei finanziamenti erogati dalle banche tradizionali. In tal caso l’importo massimo concedibile è di non più di 25.000 euro, rimborsabile in rate mensili di modico importo, durata dai 2 ai 6 anni, con garanzie aggiuntive da parte del Fondo di garanzia per le piccole medie imprese e del Fondo Europeo per gli investimenti. È inoltre previsto un percorso di accompagnamento per la redazione del progetto economico finanziario (c.d. business plan), per sostenere l’attività nella fase iniziale, cioè di start up, e per il monitoraggio durante tutta la durata del finanziamento.

di Alessandra Di Giovambattista