PLASTIC TAX: UNA IMPOSTA MAI ENTRATA IN VIGORE.
di Alessandra Di Giovambattista
 
Nella sua formulazione originaria l’imposta sul consumo dei manufatti in plastica con impiego singolo, cioè monouso (MACSI), c.d. plastic tax, è stata introdotta dalla legge di stabilità (legge di bilancio) per il 2020 nei commi da 634 a 658. La relazione illustrativa al provvedimento individuava come assoggettati alla nuova imposizione i manufatti in plastica con funzione di contenimento, protezione, manipolazione o consegna di beni, di qualsiasi natura, anche alimentari, includendo anche fogli e pellicole, realizzati con materie plastiche di origine sintetica e non utilizzabili più volte (per l’appunto monouso). Uniche esclusioni riguardavano i manufatti compostabili e le siringhe, che per loro natura sono necessariamente monouso.
A latere di questa nuova imposizione era poi previsto un credito d’imposta a favore delle imprese presenti nel settore delle materie plastiche per l’adeguamento tecnologico delle linee di produzione di manufatti biodegradabili e compostabili, nonché per attività di formazione del personale dipendente per acquisire o consolidare le conoscenze connesse allo sviluppo del settore. Queste ultime misure avevano l’obiettivo di sostenere piani di investimento per la conversione alla produzione di prodotti di natura compostabile secondo lo standard EN13432:2002. Con questa disposizione si provvedeva ad attuare la direttiva n. 2019/904/UE che ha come obiettivo la riduzione dell’impatto sull’ambiente dei prodotti in plastica, in particolare di quelli non riutilizzabili, caratterizzati da un ciclo di vita di breve durata, e da un inefficiente processo di riciclo. Gli Stati membri erano stati pertanto chiamati ad adeguarsi con idonee misure legislative per ridurre e per monitorare il consumo dei prodotti MACSI e per adottare e riferire i progressi compiuti in tale ambito.
Prima di continuare va fatto un approfondimento sul significato di biodegradabilità: è la caratteristica tipica delle sostanze organiche, ma anche di alcuni elementi sintetici, di essere decomposti da microorganismi presenti in natura; ciò permette di mantenere l’equilibrio biologico del pianeta. Però come già accennato tale caratteristica può essere attribuibile anche ad alcuni composti artificiali e sintetici che una volta dispersi nell’ambiente riescono facilmente a decomporsi per la presenza di microorganismi, es. batteri, in grado di trasformare le sostanze sintetiche in composti meno inquinanti e assorbibili dal terreno (in genere in tempi e modi diversi a seconda del materiale).
Tornando all’imposta sui manufatti in plastica monouso la relazione illustrativa al provvedimento istitutivo sottolineava l’uso dello strumento della leva fiscale (per  l’appunto la nuova imposta) per imprimere un’inversione di tendenza nell’uso comune dei prodotti di materiale plastico. L’obiettivo del tributo era anche quello di promuovere la progressiva riduzione della produzione e quindi del consumo di prodotti monouso in plastica attuando sia una politica di maggiore pressione fiscale nei confronti delle aziende meno virtuose e al contempo prevedere degli aiuti di natura finanziaria per far fronte ai costi delle strategie innovative e di transizione ecologica.
Questa impostazione è riconducibile anche alla politica europea finalizzata alla riduzione dell’incidenza dei prodotti in plastica - in particolare di quelli non riutilizzabili né assoggettabili a processi di riciclo i quali non contribuiscono alla riduzione della quantità di rifiuti - che derivano da linee di produzione inefficienti ed in contrasto con gli obiettivi di tutela dell’ambiente. Allo stesso tempo e con la medesima finalità, della riduzione dell’inquinamento da rifiuti di imballaggi in plastica non riciclabile, il 14 dicembre 2020 l’Unione Europea con la decisione 2020/2053 ha predisposto, per il bilancio 2021-2027, una nuova categoria di risorse proprie basata su tributi da calcolarsi in ciascuno Stato membro, con aliquota pari a 0,8 centesimi di euro per chilogrammo di plastica contenuto in imballaggi non riciclabili. Gli Stati sono stati lasciati liberi di adottare le misure più consone per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, tenendo in debito conto il c.d. principio di sussidiarietà. Quest’ultimo mira a garantire che le decisioni siano adottate, nell’ambito di una cornice di principi definita dall’unione europea, dai diversi Stati membri secondo le caratteristiche e le peculiarità tipiche di ogni nazione e territorio (regionale o locale).
Una prima analisi circa l’impatto che la plastic tax avrebbe avuto in Italia fu fornita da diverse associazioni, tra cui l’Associazione Italiana Industria Bevande Analcoliche (Assobibe), e non fu di certo positivo; si sottolineò subito che la misura avrebbe provocato solo un aumento dei prezzi (in quanto i produttori avrebbero cercato di traslare verso i consumatori il maggior carico impositivo), una riduzione dei posti di lavoro e ripercussioni di carattere negativo nel settore della plastica. In Italia il settore conta oltre 11.000 imprese con un fatturato di oltre 30 miliardi di euro; tuttavia a livello regionale la quota del 50% in termini di personale occupato è detenuta da solo tre regioni: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.
E’ per questi motivi che l’attuazione della plastic tax è stata finora oggetto di continui rinvii; infatti all’origine sarebbe dovuta entrare in vigore il primo luglio 2020; poi il decreto legge n. 34 del 2020, c.d. decreto rilancio, ne ha posticipato l’entrata in vigore al primo gennaio 2021 e successivamente al primo luglio 2021. La legge di bilancio per il 2022 ne ha ulteriormente prorogato l’applicazione al primo gennaio 2024. Infine con il comunicato stampa n. 54 del 16 ottobre 2023 il Consiglio dei Ministri ne ha deciso l’ulteriore rinvio al primo luglio 2024, così come indicato nel disegno di legge di bilancio per il 2024.
A dovere di cronaca occorre ricordare che le imposte sulla plastica in Italia avevano già fatto la loro comparse con l’imposta di fabbricazione e la sovraimposta di confine sui sacchetti di plastica (istituite nel 1988 ed abrogate nel 1993).
La proposta italiana di introdurre un’imposta sui MACSI seguiva una linea di tendenza già utilizzata da altri paesi europei; in questo senso l’OCSE in un report presentato nel 2019 sottolinea la presenza di una tassa in Belgio sugli imballaggi di posate usa e getta e sui sacchetti di plastica monouso immessi sul mercato; in Francia, Irlanda, Portogallo, Spagna e nel Regno Unito si applica, con modalità e parametri diversi, una tassa sulle quantità di sacchetti di plastica monouso prodotti; in Danimarca, paese da sempre molto attento alle questioni ambientali, si prevede il pagamento di una tassa per specifici prodotti in PVC morbido, e per tutta una serie di beni che contengono ftalati (es. tubi, rivestimenti per pavimenti e pareti, guanti, grembiuli, tute protettive, indumenti impermeabili, tovaglie, cavi, fili, grondaie, cartelline in plastica, raccoglitori, ecc).
Nel dettaglio il Regno Unito ha basato la sua imposta non sui manufatti in plastica monouso, ma sugli imballaggi di plastica prodotti o importati nello Stato per un quantitativo superiore a 10 tonnellate di prodotto plastico che avesse sostenuto l’ultimo stadio di trasformazione. In Spagna, invece, dal 1 gennaio 2023 vige un’imposta sugli imballaggi monouso, prodotti, importati o introdotti da altri Stati dell’Unione europea, contenenti plastica, sui prodotti semilavorati in plastica e sui prodotti contenenti materie plastiche destinati alla confezione finale di vendita. Da più parti si è però rilevata la difficoltà di quantificazione e di determinazione della base imponibile dell’imposta nonché la complicazione dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea per cui tali prodotti sono soggetti al regime di importazione, con aggravio di costi, mentre i passaggi degli stessi prodotti in Spagna rappresentano movimenti intra comunitari e non soffrono di aggravi di dazi per importazione. Inoltre la definizione della base imponibile è complicata perché si basa su presupposti differenti; ad esempio nel Regno Unito non rientrano tra i prodotti assoggettati alla plastic tax gli imballaggi che contengono più del 30% di plastica riciclata, pur concorrendo alla determinazione della soglia delle 10 tonnellate, mentre vi vengono assoggettati i prodotti la cui componente plastica è prevalente in peso rispetto agli altri elementi che compongono il prodotto. In Spagna, invece, la base imponibile è costituita da tutta la parte di prodotto che non è plastica riciclata, così come peraltro si conforma la nostra plastic tax. Pertanto un altro aspetto da sottolineare e da tenere in mente è rappresentato dalla difficoltà che le diverse tipologie di imposte stanno creando nella circolazione dei beni. Se la nostra imposta dovesse entrare in vigore, occorrerà tener conto di questi aspetti al fine di normare una imposta che sia di facile applicazione sia per la determinazione della base imponibile, sia per gli adempimenti amministrativi derivanti.
Questi i casi in cui in alcuni paesi europei hanno adottato la leva fiscale per cercare di contenere la produzione di materiali inquinanti e non riciclabili; a riscontro dell’efficacia di questa politica la relazione illustrativa al provvedimento di introduzione della plastic tax, ricordava che nel 2019 un altro report della Market Research Group ha quantificato, per il biennio 2017 e 2018, un decremento della produzione europea del mercato della plastica proprio per effetto di queste politiche, nonostante la produzione mondiale fosse invece costantemente aumentata. In particolare i maggiori produttori mondiali di plastica (dati del 2018), in percentuale, sono rappresentati da: paesi dell’accordo nordamericano di libero scambio tra USA, Canada e Messico, c.d. NAFTA (North Atlantic free trade Agreement) per una quota del 18%, Europa per il 17%, Cina per il 30%, Giappone per la quota del 4% ed il resto dell’Asia per il 17%.
Da queste brevi informazioni di natura statistica si comprende bene come il problema sia globale e riguardi tutti i paesi del mondo e sia però soggetto alla sensibilità di ognuno.