Il Festival dell'Oriente di Roma ha dedicato una giornata al Nepal nel secondo anniversario del terremoto di Kathmandu avvenuto il 25 aprile 2015. Il Festival dell'Oriente di Roma si è tenuto presso la Nuova Fiera di Roma ed ormai la sua fama è diffusa in tutta Europa. E' organizzato da Federico Nicolini, toscano.
Mercoledì 12 aprile 2017 Federico Nicolini pubblica il programma delle conferenze: tra queste con grandissima emozione leggo: Kathmandu Nepal 25 aprile 2017 Festival dell'Oriente Roma.
NEPAL KATHMANDU Martedì 25 aprile 2017 -padiglione 5 SALA 2 - i punti all'ordine del giorno sono i seguenti: ore 13-14 Promozione dello sviluppo del turismo ecosostenibile nei Paesi africani ed Orientali Saluti deI Dott. Ing. Walter Mzembi, ministro del turismo dello Zimbabwe, e candidato a UNWTO, segretario generale dell'Organizzazione mondiale del turismo, patrocinata dall'Onu. Intervengono Dott.ssa Michelina Gabriè Sanquest, ambasciatore onorario del turismo dello Zimbabwe in Italia. Presentazione del testo teatrale "Corpi, numeri...Distanze..." editore APN.- Il Mediterraneo Dott.ssa Gaia Spera, autrice. Dott.ssa Emanuela Scarponi, editrice.
Allestita poi la mostra fotografica Kathmandu, segue dalle 19:00- 20:00 la presentazione del Réportage di viaggio: "Kathmandu: la Valle incantata: Sulle orme di Buddha", di Emanuela Scarponi - editore APN.
Alla presentazione intervengono Dott. Emanuele Barrachia, giornalista, Dott. ssa Emanuela Scarponi, autrice del réportage di viaggio "Kathmandu, la valle incantata"; dalle 20:00 alle 21:00 segue la proiezione del bellissimo documentario: "Kathmandu 2015 - Before and after" di Emanuela Scarponi - montaggio e musiche di Tiziano Novelli. Editore APN. Segue la videoconferenza con Claudio Margottini, geologo ISPRA, nominato osservatore scientifico presso Ambasciata italiana di El Cairo - Egitto - ; intervista di Giuseppe Dalla Valle, presidente della Onlus Helambu Nepal di Trento per il progetto di Bremang - Nepal -.  Intervengono: Emanuele Barrachia, giornalista; che commenta i punti più salienti del réportage; Emanuela Scarponi, autrice che racconta il viaggio ed il il motivo della sua iniziativa; dalle 21:00-alle 23:00 segue il buffet. Visita della Mostra fotografica "Lungo il Gange, da Varanasi a Kathmandu" - allestimento della mostra fotografica di Maurizio Scarponi, ingegnere.
Sono intervenuti tra gli altri Cristina Catacchio, fotografa ed esperta d'Africa, autrice del libro fotografico."Kenya" pubblicato da APN; Eugenio Totti, viaggiatore, medico, volontario della Ong Africanpeoplenews, che ha arricchito il dibattito rivolgendo domande su India e Nepal, Maurizio Scarponi ha introdotto interessanti elementi di fisica quantistica nel quadro delle interpretazioni delle filosofie e religioni orientali; Roberto De Vito - regista - ha curato le fotografie della conferenza. Il progetto "Kathmandu, la Valle incantata" sarà prossimamente presentato presso l'ambasciata italiana di El Cairo.
Il Festival dell'Oriente, ricco di molteplici realtà, culture e tradizioni variegate, ha avuto luogo presso 3 dei 6 padiglioni aperti della Nuova Fiera di Roma, il 5, il 7, il 9. All'interno dei padiglioni 5 e 7 sono situate le sale conferenze 1 e 2, atte a divulgare molteplici materie e sono messe a disposizione dei conferenzieri, esperti di Oriente.
Il Festival, per addetti ai lavori, presenta comunque molte attrattive anche per i non esperti, ed ospita molteplici e meravigliosi balletti folkloristici orientali, danze e spettacoli di attori e danzatori che si esibiscono sul palco.
L'accesso agli spettacoli è gratuito. Si trascorre una giornata intera immersi nel mondo d'Oriente, con sapori, colori, tessuti, profumi, spettacoli, filosofie, totalmente differenti dai nostri. Si percepisce che è per addetti perché gli standisti parlano solo inglese e non hanno biglietti da visita o riferimenti vari. Quindi il Festival d'Oriente, tipo l'Expo, schiude una porta verso nuovi mondi, che cominciano ad aprirsi ai nostri mercati occidentali. Vi fanno da padrone Cina, India e Giappone che sovrastano la scena nello spazio antistante dell'enorme padiglione che il visitatore si trova davanti. Molti sono i visitatori ma si circola facilmente all'interno dei padiglioni, percorrendo lunghi e grandi viali, sospesi da terra, che li collegano gli uni agli altri, come in una moderna città occidentale.

l réportage, frutto d’immagini scelte e del diario di viaggio di seguito  narrato, vuol essere un tributo a Subash, la nostra guida nepalese, rimasta miracolosamente incolume con la sua famiglia e suo figlio, al terremoto di Kathmandu del 25 aprile 2015, in cui  hanno perso la vita più di 8.000 persone; alla città di Kathmandu, che resta un mito per tutti noi viaggiatori; ai musicisti ed ai danzatori nepalesi che ci hanno accompagnato durante il viaggio con  manifestazioni artistiche sacrali in un vertiginoso carosello di feste tradizionali medievali, che celebrano rituali e danze in maschera per esorcizzare i demoni del male; infine ai miei coraggiosi compagni di viaggio con i quali ho condiviso questi unici ed indimenticabili momenti; al nostro capogruppo.
              Rivisiterò la mia esperienza in queste Terre d'Oriente, cercando di meditare sugli insegnamenti di Subash ed Agit, le nostre guide locali, cogliendo il significato più profondo delle filosofie induiste  e buddhiste, concentrandomi sulle sensazioni  provate strada facendo e meditandoci su, nella consapevolezza che "pochi sono gli attimi decisivi ed importanti nell'arco di una vita". Il mio viaggio a Kathmandu tra questi, indelebile nella mia memoria, dimostra che il destino guida la nostra esistenza, indipendentemente dalla nostra volontà: "La vita scorre come l'acqua del torrente  verso il suo destino e noi uomini non possiamo fare altro che assecondarlo, pur consapevoli dei pericoli che s’intravedono all'orizzonte, delle difficoltà delle strade insinuose, strette e buie, intraprese a volte in modo inspiegabile.
Proverò a far rivivere la mia medesima esperienza di viaggio e di vita ripercorrendo secondo flash e dejàvu il percorso, traslato dalle immagini che di quel mondo surreale e di quella mia vita errante, ho scelto di conservare e che porterò per sempre vivo nel mio cuore ora che non c'è più.

SCARPONI. Ho lasciato parlare il documentario - che sarà proiettato dopo gli interventi - e le foto che credo raccontino meglio la realtà della Namibia.

Avrete capito che questo mio percorso di viaggio intellettuale, dopo aver effettuato questo viaggio fisico in Namibia nel 1995, cioè all'alba del nuovo Stato, è stato possibile solo grazie alle persone qui presenti che mi hanno aiutato a completare il mio lavoro e senza le quali non avrei potuto portare a termine questo progetto, che non solo ha avuto inizio ma sta continuando a concretizzarsi anche con grande entusiasmo da parte di tutti, visto che soprattutto i giovani sono qui a seguire questo tipo di conferenze, generalmente relegate a classi specifiche della intellighenzia italiana.

Il mio approccio a tutta questa materia ed alla vita in generale è stato sempre di tipo globale, multimediale come si presenta la mostra.

Oggi esistono vari modi di comunicazione e ne ho usati il più possibile. Il fatto che ognuno degli intervenuti lo abbia fatto in base alla propria esperienza e professionalità aiuterà sicuramente l'Africa e tutti a capire meglio le potenzialità politiche, economiche, sociali e storico-culturali di questo continente edin particolare della Namibia.

Quando ho cominciato ad affrontare queste materie nel 1985 in Italia c'erano ancora meno persone rispetto ad oggi ad interessarsene. Tra l'altro la cooperazione era down, completamente andata....Siamo nel 1987, ad un passo da Tangentopoli....In quel momento l'Italia era completamente dissestata da questo punto di vista. Adesso ci sono le Ong che, con tutti i difetti e pregi che possano presentare, danno la possibilità maggiormente ai giovani di avvicinarsi a questo settore con più facilità.

L'Africa è un continente cui molte persone sono attratte perché di fatto è per me il continente madre di tutti noi dato che dal punto di vista antropologico e paletnologico sono stati trovati i reperti dei primi uomini rinvenuti sul pianeta ad oggi. Mi riferisco alla cosiddetta Lucy, australopithecus afarensis. Questo ovviamente dimostra dove risiedono le nostre radici.

Credo che sia questo in realtà il motivo per cui molti Europei ed Occidentali in genere siano attratti dall'Africa. E' un continente talmente variopinto da tutti i punti di vista, che di fatto richiama l'attenzione di tutte le migliori menti umane, tutte le persone attente alla scienza, all'arte ma anche alla filosofia.

All'inizio ero molto preoccupata perché era molto interessata all'arte primitiva e contemporaneamente all'arte moderna e mi chiedevo il perché. Poi ho scoperto che Picasso aveva fatto qualcosa di me in Mali! Allora ho capito che non facevo altro che proseguire l'iter di alcuni Grandi che hanno aperto la strada ai posteri.

Credo che il documentario dia la possibilità di seguire maggiormente da vicino la Namibia e soprattutto la bellezza della popolazione Himba, di questi himba che all'improvviso appaiono dal nulla e che ci fanno tornare indietro nel tempo per vedere come viveva l'uomo agli albori della civiltà umana, anche se al di là delle apparenze gli Himba sono assolutamente moderni e si può comunicare con loro anche se non parlano affatto l'inglese. Ho comunicato con loro a gesti.

La iniziativa prosegue nella sala della Cassa mutua Prunas che ringrazio per l'ospitalità nella persona dell'ambasciatore Ferraris. Ringrazio la diplomazia italiana e quindi Peter Johannesen che peraltro ho incontrato nel corso di questo lavoro ed ho intervistato nel febbraio scorso. La intervista sarà anch'essa presto pubblicata.


 

SCARPONI Emanuela, menmbro onorario ordinario del'Isiao, autrice.

è davvero un onore avere una manifestazione di questo tipo.

Non mi dilungherò molto tempo con discorsi di circostanza che non sono il mio genere, ma quando questa proposta è pervenuta all'Istituto l'abbiamo accettata molto volentieri perché ci siamo trovati di fronte ad un vero e proprio atto d'amore nei confronti dell'Africa, seppur di una specifica zona. E questo rientra profondamente nelle corde di questo Istituto che voi sapete per la parte africanistica è stato fondato più di 100 anni fa e per la parte orientalistica nel 1933.

Una delle idee portanti, tipiche della cultura dell'Istituto, è quella che è alla base della conoscenza - lo diceva Giuseppe Tucci ed aveva l'autorità per dirlo - non può che esservi l'amore.

Volendone dare una interpretazione concreta devo dire che l'iniziativa si situa in un filone in cui noi crediamo moltissimo, sia per l'Africa che per l'Asia, che è quello di comprendere le culture di questi popoli, capire quali dignità esse abbiano, pari alla nostra, ed anche se diverse non per questo possono essere definite in alcun modo inferiori.

D'altro canto è proprio sulla base - passo ad un'altra linea di direzione dell'Istituto -  del riconoscimento dell'autonomia e dell'identità e della dignità di queste culture che si può uscire dalla cronaca - scusate - "nera e sentimentale" che spesso si fa sull'Africa e in parte anche sull'Asia per cui si continua a non voler vedere quanto di buono sta venendo avanti in quei continenti; vedi in particolare in Africa, ed in alcune sue parti in particolare.

E questo non lo si vuol vedere - francamente -  per ignoranza e per non avere, per esempio nel caso dell'Africa, mai saputo che sono esistititi nel passato imperi di dimensioni incredibili, popolazioni che hanno avuto forse solo la sventura di non lasciare tracce scritte e quindi sono per noi meno intellegibili ma che nondimeno hanno una identità forte e da rispettare, identità che pian piano sta traslando nella modernità.

Quindi noi crediamo profondamente che è necessario guardare alle loro tradizioni, al passato, inteso come elemento di identità per vedere come essa sta entrando prepotentemente nel mondo moderno, sempre di più presente, ed esso  costituisce per noi un interlocutore importante da qualsiasi punto di visita.

Questa è la missione dell'Istituto cui noi teniamo moltissimo e in cui crediamo fortemente

La mostra fotografica sugli Himba della Namibia è il segno da tempo auspicato dell'attenzione che l'IsIAO, erede e continuatore dell'IsMEO, presta alla civiltà africana non solo con una imponente serie di studi, ricerche e pubblicazioni, ma anche con un impegno costante nell'opera di diffusione culturale mediante mostre, convegni e manifestazioni di vario genere.

Con la mostra sugli Himba della Namibia l'Istituto intende presentare un popolo, sopravvissuto con la sua cultura, i suoi valori e le sue pratiche rituali.

Essa è stata resa possibile dalla raccolta di un significativo e ricco materiale fotografico e audiovisivo nonché note di viaggio, ad opera di Emanuela Scarponi, che ha curato anche il catalogo disponendoli in modo tale da tentare di esprimere una esperienza continuata, pluriennale, di viaggio in Namibia, intesa come occasione di transizione dialogata e consensuale: gli attori sociali sono riconosciuti in quanto tali all’interno di un mondo in rapido cambiamento e in rapporto all’osservatore proveniente dall’esterno. Risulta così che la stessa autrice del catalogo, destinato a illustrare una mostra ricca di spunti riflessivi, sia attrice all’interno di un processo di dialogo con lo “altro” e non agita dal complesso degli stereotipi occidentali relativi all’Africa.

Ringrazio il direttore generale per avermi così bene introdotto, soprattutto in riferimento alle tematiche di diretto interesse dell'Isiao ma che sono altresì oggetto della mia iniziativa.

Questo Istituto è l'unico e reale punto di riferimento per molti giovani che, attratti dagli studi di settore, intendono approfondire le relative tematiche per l'Africa e per l'Asia. E ad esso sono rimasta sempre legata, sin dagli anni dell'università e dalla stesura della mia tesi sull'Opera teatrale di Wole Soyinka, che ha segnato la mia vita definitivamente.

Questo Istituto mi ha permesso di aprire le porte di questo nuovo mondo, sconosciuto ai più, dell'Africanistica, prima dal punto di vista letterario poi geografico, storico, linguistico ed infine antropologico e mi ha trasmesso quei valori, che hanno costituito le fondamenta portanti della mia vita.

Ho sempre creduto che fosse una mia missione quella di trasmettere le conoscenze acquisite nei tanti viaggi effettuati in questo continente agli altri e così ho tentato di fare.


ho raccolto numerosi materiali audiovisivi e note di viaggio, disponendoli in modo tale da tentare dì esprimere una esperienza continuata, pluriennale, di viaggio in Namibia, intesa come occasione di transizione dialogata e consensuale: gli attori sociali sono riconosciuti in quanto tali all'interno di un mondo in rapido cambiamento e in rapporto all'osservatore proveniente dall'esterno. Risulta così che la stessa autrice del catalogo, destinato a illustrare una mostra ricca di spunti riflessivi, sia attrice all'interno di un processo di dialogo con lo "altro" e non agita dal complesso degli stereotipi occidentali relativi all'Africa.

Il complesso quadro etnico della Namibia viene qui ridato con riferimenti all'etnologia, all'archeologia, alla linguistica e alla sociologia, oltre che all'antropologia sociale e culturale. I gruppi etnici Khoi e San come pure Bantu sono descritti in prospettiva storica nelle loro interrelazioni e nelle loro relazioni con il mondo degli Europei. Ma anche il contesto geografico, ecologico, botanico ed astronomico sono illustrati in modo da offrire spunti per la comprensione della complessa cosmologia e etnogonia di queste società, spesso chiamate - talvolta correttamente, più spesso impropriamente - "popoli", "popolazioni", "genti", "culture" ecc. nei diversi tempi e a secondo dei diversi approcci scientifico-disciplinari dai precedenti viaggiatori, funzionari e studiosi dell'Africa australe.

La straordinaria ricchezza artistica di queste società -ma anche tecnologica, ovvero contestuale all'ambiente- viene presentata in stretta relazione con l'organizzazione sociale, sia essa matrilineare o patrilineare, che ne ha permesso la produzione nel passato come nel presente. Ogni donna, ogni uomo degli Himba, ad esempio, viene allora riconosciuto dall'autrice nel suo essere persona, attore sociale con i suoi ruoli e nel suo status.

E, attraverso questo riconoscimento, anche i visitatori della mostra e i lettori del catalogo sono chiamati a prendere parte all'incontro con lo "altro" e invitati a perseguire un dialogo fra personae.

 

 

 

In questo dialogo, l'uno e l'altro potranno riconoscere il "nuovo", ovvero ciò che permette una

transizione cosciente e graduale, meglio ancora consensuale.

L'Africa è qui, non più un Continente lontano. Con le sue società, i suoi visitatori, diplomatici e

uomini d'affari, professionisti e lavoratori, l'Africa è fra di noi.

La mostra organizzata presso l'Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente e il presente catalogo sono

dunque da intendersi come un omaggio in particolare alla Namibia ma anche all'Africa tutta. Un

omaggio alla sua complessità e varietà, alla sua storia e alle sue culture, al suo passato e al suo

futuro: ex Africa semper aliquid novi.

Sappiamo da tempo che la transizione è la condizione dell'essere in società. Questa condizione ci lascia rilevare ipso facto quanto nel mondo siamo attori e quanto siamo agiti. Del resto, proprio l'antropologia si occupa attraverso l'etnografia di ricercare e poi di riflettere sulle implicazioni e i significati dell'essere nel mondo e dell'esser-ci nella società. Si tratta dunque di una continua interazione e di un continuo dialogo in sintonia, seppur precaria, con 1'"altro" e con l'"alterità". Ed il primo passo verso la costruzione del dialogo è rappresentato dal viaggio e quindi dall'incontro. Ed il viaggio vale in entrambe le dimensioni: "andare lì, venire qui". Che si tratti di turisti, e meglio ancora di etnografi, o dì immigrati, proprio lo spostamento offre l'occasione di incontro, forse di conoscenza, soprattutto di dialogo.

Ex Africa semper aliquid novi: dall'Africa aspettiamoci dunque sempre novità. Ma questo "nuovo" consiste non tanto nelle favolose descrizioni di esotici e sorprendenti mondi, lontani nello spazio e nel tempo, figli delle fantasie e delle angosce di un Occidente alla ricerca di se stesso, un se stesso intravisto -più spesso costruito, proprio costruendo lo "altro"» in forma inversa e speculare nelle società altre; quanto, piuttosto, il "nuovo" consiste in ciò che accade -foriero di cambiamento- ad ognuno di noi in quanto viaggiatore, a noi in quanto membri della comunità, della società. Come esprimiamo a noi stessi l'esperienza dell'incontro? Ed una volta tornati a casa, cosa raccontiamo nella nostra società a proposito della possibilità di dialogo con lo "altro"?

Ecco, è parte costituente del viaggio, dell'incontro con altre società, svolto da professionisti o più semplicemente da appassionati, proprio il racconto dell'esperienza. Ed è parte di un impegno etico e civile che il racconto apra al dialogo, allontanandosi da stereotipi oggettivanti e, peggio ancora, reificanti l'alterità.

Questo è quanto. Ringrazio tutti per la loro partecipazione a questo evento e lascio che le immagini di questa Africa spesso dimenticata raggiungano l'anima di tutti, appagandola e arricchendola di nuove ed affascinanti sfaccettature del nostro pianeta.

 

"Ganga Mai, Madre Gange, è davanti ai nostri occhi. Impossibile non essere rapiti dal suo richiamo leggendario e struggente. Decidiamo di seguirne il corso a ritroso, come per unirci in un magico afflato al viaggio di chi, dopo avere lasciato il corpo materiale, ha affidato le proprie ceneri alle sue acque. Così, dai fumi che s'alzano dalle pire lungo i ghats di Varanasi, nei cui pressi, a Sarnath, Siddhartha, il Buddha storico, con il suo primo sermone mise in moto nel VI secolo a.C. la ruota del dharma, ci troviamo a ripercorrere un itinerario che ci condurrà lontano, alle pendici della maestosa catena himalayana.


Itinerario: Varanasi - Patna (lungo il Gange) - Bodhgaya-Vaishali - Kushinagar-Shravasti Kapilvastu - Lumbini- Chitwan National Park-Kathmandu (Patan-Bhaktapur).










PARTE I

INDICE

Sommario
Prefazione di Adriano Ottaviani Zanazzo
Introduzione

INDIA

Varanasi

Il fiume Gange

In nave

Sarnath

Ghazipur

Sasaram

Doriganj

Arrah

Ballia

Patna
In treno
Bodhgaya
Vaishali
Rajgir

Kushinagar


In corriera
Shravasti
NEPAL
Kapilvastu
Lumbini
Sauraha:
Chitwan National Park
Kathmandu
La gente
La storia del Nepal
La civiltà Malla
La Valle incantata di Kathmandu
Kathmandu, Patan e Bhaktapur
Il territorio
Il terremoto
L'Unesco
Rapporti epistolari con Subash, la guida nepalese di Kathmandu
Bibliografia

Emanuela Scarponi: “Kathmandu, la Valle incantata”
Diario di viaggio da Varanasi a Kathmandu: sulle orme di Buddha

Prefazione di Adriano Ottaviani Zanazzo
Un diario di viaggio luminoso e vivace attraverso il quale traspaiono, limpidi e freddi, gli incredibili paesaggi dell'India e del Nepal. Da Varanasi sul Gange, il fiume sacro, in India e fino a Patna, per proseguire su di un bizzarro treno dove le scimmie si affacciano a chiedere cibarie mentre cani e topi scorrazzano indisturbati entro i vagoni. E poi si raggiungono Shravasti e Lumbini, Sauraha per arrivare a Kathmandu a bordo di una vecchia corriera attraverso gli itinerari descritti dalla vivace curiosità dell'Autrice. “Ma prima di iniziare ogni giornata si pronunciano, a pieni polmoni e nella posizione del Loto, i suoni ripetuti della OM, la sillaba mantrica per eccellenza; ci si concentra sulla propria energia positiva e si espelle quella negativa”.
Proseguendo...“...Agit, la guida, ci spiega che per rivivere e comprendere il significato delle filosofie orientali si deve ripercorrere la fitta rete dei fiumi, dei sentieri e delle strade che da secoli vengono battuti da portatori, mercanti e pellegrini, nonché dalle popolazioni locali che si spostano dai villaggi alle città; dall'India al Nepal e fino in Tibet...”...“...spiega la visione sacra che gli Induisti ed i Buddhisti hanno del fiume come l'autentica strada che porta alla rinascita spirituale o alla reincarnazione...”....“...Viaggiando si scorgono dal treno antichi villaggi di capanne in legno con animali al centro dove le famiglie si raccolgono per riscaldarsi. Fa un freddo invero che non sospettavamo davvero in questa stagione, ma accogliamo anche questo disagio come una ‘prova’...". All'arrivo in Nepal si nota che il Paese è incastonato tra due imponenti pareti montuose che svettano maestose, mentre in basso resta il verde intricato delle umide giungle delle pianure indiane.


Il lettore si trova immerso nel documentario e confronta il testo con le molte immagini (accadimenti): "...Giunti al confine con il Nepal, Agit ci saluta e ci affida a Subash..."..."...Egli spiega che ora cammineremo a ritroso il cammino dell'esistenza...".
Alla fine, dopo piccoli villaggi e paesi si arriva alla Valle incantata di Kathmandu: "...l’atmosfera è nitida ma il tramonto arriva improvviso. Rientriamo in albergo; le strade sono buie e non ci sono marciapiedi ma lo spettacolo del cielo notturno è incantevole. Sembra di vivere all'epoca dei Malla, la prima civiltà nepalese...”... si prosegue con la descrizione della popolazione e della sua cultura...“...Il sorriso di questa gente attenua le situazioni più difficili perché calmi, tranquilli e amanti della pace sono i Nepalesi...”...”...Situata al centro della Valle omonima, la remota civiltà Malla, rimasta isolata per secoli dalle alte vette dell’Himalaya, ha mantenuto intatte le sue tradizioni nella Valle di Kathmandu...".
Felicità e amore, infine, emergono dai rapporti epistolari con Subash, la guida nepalese. Si evidenziano i tratti più emozionanti:"...L'edificio Kumari Chowk ospita le bambine, ritenute reincarnazioni della Dea Durga..."..."... Buddha ricerca l'illuminazione aderendo alla comunità dei Sadhu, che considera la razionalità un ostacolo..."..."...La colomba è l'anima che viaggia verso il Nirvana..."..."...In Nepal, un piccolo Paese sconosciuto ai più, terra natale di Buddha, dove si erge la montagna più alta del mondo, l'Induismo ed il Buddhismo si sono fusi in modo unico ed il sincretismo religioso ha portato all'evoluzione di forme culturali proprie che impregnano la vita delle persone...".
L'autrice conclude con queste affascinanti parole: "...Crocevia per i traffici dei mercanti da Est ad Ovest e da Sud a Nord, il Nepal ha assimilato e fatto suoi alcuni tratti della cultura di questi. Ne sono testimonianza le molteplici etnie presenti nelle valli di montagna o nelle foreste di pianura, ognuna con la sua propria lingua e cultura..."..."...le popolazioni, i loro credi e le loro tradizioni hanno dato luogo ad una cultura affascinante ed unica che resterà per sempre nella storia della civiltà umana...".

Da Varanasi a Kathmandu: Réportage di viaggio rivisitato e commentato alla luce del pensiero buddhista
di Emanuela Scarponi



L'autrice a Varanasi


Introduzione
Da 25 anni sognavo di atterrare nelle lontane terre d'Oriente, viaggio da sempre rinviato per via dei monsoni d'agosto: unica data possibile per me fine 2014-inizio 2015. E così riesco a partire durante il nostro Natale.
Il tragitto del viaggio prevede la risalita del fiume Gange e dei suoi affluenti fino a raggiungere le sue sorgenti in Nepal, situate sulle cime della catena montuosa più imponente della Terra, l'Himalaya, che conta la più alta vetta del mondo, l'Everest di 8.000 metri.
Pochi realizzano infatti che le sorgenti del Gange nascono dallo scioglimento dei ghiacciai eterni dell'Himalaya: uno scintillante blocco bianco azzurro a 3900 metri sull'Himalaya scende tumultuoso tra burroni e picchi e le acque fredde e gelide si gettano impetuose nella antica Valle di Katmandu, ai piedi delle sottostanti montagne, e formano il fiume sacro Bagmati che bagna la mitica città- Stato, campo base di tutte le spedizioni alpinistiche.
Ci troviamo nella terra delle leggende e della scienza (lo Yeti), della religione e meditazione (Induismo e Buddhismo), della natura e dell'uomo che si mescolano in un unico afflato secondo una visione globale dell'esistenza umana; laddove gli uomini lasciano traccia issando una bandierina sulle vette più alte mai raggiunte, intraprendono un viaggio per affrontare le più difficili sfide che la natura pone loro davanti come ultimo traguardo oltre l'impossibile...secondo il desiderio innato dell'Uomo di arrivare là dove nessuno è mai giunto prima per ricomporre il puzzle dell'esistenza, di cui ancora oggi non conosciamo che pochi frammenti...
Le antiche filosofie buddhiste ed induiste sono sopravvissute al disastroso terremoto dell'aprile 2015, che ha raso al suolo l'antica città-stato di Kathmandu.
Con esse, sono sopravvissuti i monaci che continuano a pregare nei monasteri isolati sulle montagne, di cui si narrano misteriose e mitiche leggende in ogni angolo del nostro Pianeta Terra.
Ancora oggi la meditazione viene praticata come modo di vita: s'incontrano lungo il cammino uomini piccoli e magri con le mani giunte, le gambe incrociate e gli occhi chiusi in posizione yoga, a meditare immobili sotto l'albero sacro della Bhodi, antico fico sacro.
Con la sola forza del pensiero - spiega il Buddhismo - i monaci in meditazione si distaccherebbero dal corpo, fuoriuscendone e viaggiando per il cosmo in un'altra dimensione, priva di barriere temporali o spaziali, confondendosi in un unicum pluridimensionale e perdendo cognizione della realtà circostante.
Oggi tutto questo viene attentamente studiato dalla fisica quantistica, che tenta di dimostrare la veridicità di questi fenomeni dal punto di vista matematico. (VEDI: Amit Goswami, Ph, D. The quantum activist; Teodorani Massimo, La mente di dio).
"The Quantum Activist" racconta la storia di un uomo, il fisico nucleare indiano Amit Goswami (professore di fisica all’Università dell’Oregon per oltre 30 anni) pioniere di questa nuova rivoluzionaria prospettiva che, sfidando le convenzioni, invita l’umanità a ripensare le proprie nozioni di esistenza e realtà.
Con un'ampiezza di pensiero paragonabile a quella di Einstein, Goswami spiega la sua visione incentrata sul potere illimitato della coscienza come terreno di formazione dell’esistente e strumento concreto di cambiamento per il genere umano.
Partendo dalle domande sollevate dagli insegnamenti religiosi della sua infanzia, Goswami cerca nel corso della sua vita le risposte nella fisica quantistica, rivelando in questo viaggio di scoperta delle leggi che regolano l’universo, le possibilità di un nuovo inaspettato incontro tra Scienza e Mistica.
"La mente di dio" di Massimo Teodorani si basa sullo studio delle religioni e delle molte filosofie che hanno dato per scontato la presenza vera ed operante di una “energia”, di un “quid, di un pleroma, di un “soffio vitale” chiamato spirito o anima (qui non facciamo differenza dei due termini spesso usati in accezioni diverse); tale essenza avrebbe doti per sopravvivere anche alla fine del proprio involucro fisico che la ospita.
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I
l réportage, frutto d’immagini scelte e del diario di viaggio di seguito narrato, vuol essere un tributo a Subash, la nostra guida nepalese, rimasta miracolosamente incolume con la sua famiglia e suo figlio al terremoto di Kathmandu del 25 aprile 2015, in cui hanno perso la vita più di 8.000 persone; alla città di Kathmandu, che resta un mito per tutti noi viaggiatori; ai musicisti ed ai danzatori nepalesi che ci hanno accompagnato durante il viaggio con manifestazioni artistiche sacrali in un vertiginoso carosello di feste tradizionali medievali, che celebrano rituali e danze in maschera per esorcizzare i demoni del male; infine ai miei coraggiosi compagni di viaggio con i quali ho condiviso questi unici ed indimenticabili momenti; al nostro capogruppo.
Rivisiterò la mia esperienza in queste Terre d'Oriente, cercando di meditare sugli insegnamenti di Subash ed Agit, le nostre guide locali, cogliendo il significato più profondo delle filosofie induiste e buddhiste, concentrandomi sulle sensazioni provate strada facendo e meditandoci su. Proverò a trasmettere i miei apprendimenti, facendo rivivere la mia medesima esperienza di viaggio e di vita ripercorrendo secondo flash e dejàvu il mio percorso, traslato dalle immagini che di quel mondo surreale e di quella mia vita errante, ho scelto di conservare e che porterò per sempre vivo nel mio cuore ora che non c'è più

CONFERENZA SU "La Namibia e i suoi popoli", tenutasi presso il Ministero degli affari esteri il 1 ottobre 2010. Sala Aldo Moro

I lavori hanno inizio alle ore 12,30.

Ambasciatore FERRARIS, ambasciatore, coordina i lavori.

Ringrazio tutti coloro che hanno inteso partecipare a questa iniziativa.

Sono presenti la senatrice Tullia Carettoni, presidente onorario dell'Istituto italo-africano e per l'Oriente; professor Gianluigi Rossi, preside della facoltà di scienze politiche dell'università La Sapienza di Roma; dottor Johannesen, console onorario della Namibia in Italia; dottor Baistrocchi, ambasciatore italiano in Namibia, dottor Tresoldi, direttore dell'Ente nazionale del turismo della Namibia in Italia; professoressa Scarponi, socio onorario ordinario dell'Isiao, promotrice della presente iniziativa.

Vorrei dare subito la parola alla senatrice Carettoni.

Tullia CARETTONI, presidente onorario dell'Isiao. Sono un po' imbarazzata da tutti i complimenti che mi sono presa: le privilège de l'age - dicono i francesi - ahimè! Sono molto contenta di essere qui e di portare a voi il saluto e l'augurio dell'Isiao.

Abbiamo ospitato questa mostra all'Isiao e ne fa fede il bel catalogo, che è costato molto impegno - ed è un ottimo lavoro - alla dottoressa Scarponi che veramente, non solamente per la bella raccolta di fotografie, ma anche per le molte notizie e le molte riflessioni che ci sono nella introduzione è un elemento veramente prezioso.

Poiché la lettura di queste considerazioni, il dibattito che voi seguirete e quello che voi sapete è già molto, mi limiterò ad una sola riflessione con un piccolo approfondimento sulla Namibia.

È una riflessione molto comune. Il mondo sta cambiando: i vecchi equilibri sono caduti, ne nascono di nuovi e nascono nuovi protagonisti. Il mondo non ha più i vecchi protagonisti ma tanti grandi nuovi protagonisti e certamente tra questi c'è il continente africano, e sicuramente alcuni suoi Stati in particolare.

È una situazione dunque molto cambiata, in un momento di grave crisi economica e politica che qualche volta è devastante: se pensiamo al rapporto in molti Paesi guerra-pace o pace-guerra, quale è, vediamo che i suoi fattori devastanti sono tuttora ed in parte in atto anche nel continente africano.

Il problema di fronte a noi è quello di vedere come si fa ad uscire da questa situazione e per quali strade il mondo può uscire da questa crisi che ormai molti dicono essere una crisi non solo mondiale, sociale e politica ma probabilmente di sistema.

Una crisi di questo peso, soprattutto se di sistema, è un guaio. I guai in generale vengono pagati sempre di più dai meno fortunati, da chi è più indietro nei processi di sviluppo. Però, vi è anche un'altra verità: molte volte dai momenti di gravissima crisi emerge un impegno diverso e nuovo di risorse, anche nuove o rinnovate - vuoi materiali, vuoi spirituali, vuoi umane - che proprio dal turbine dei cambiamenti riescono ad individuare delle strade.

Quindi sono convinta che l'atteggiamento - che deve essere sempre critico di aiuto - deve sforzarsi di addivenire ad un atteggiamento teso alla ricerca di dati positivi perché - la storia ce lo ha insegnato - molto spesso dai grandi turbamenti nascono nuovi ordinamenti, nuovi percorsi, nuove possibilità di progresso, che è il nostro obiettivo.

Come si trovano le strade? Che cosa si deve mobilitare per trovarle? Bisogna guardare quali forze sono disponibili. E le forze in Africa sono disponibili, sia per quel tanto di formazione che negli ultimi tempi è avvenuto nei Paesi africani, sia per l'età. Noi parliamo ad una popolazione straordinariamente giovane: chiunque di noi va in un Paese del Terzo Mondo o in Africa avrà l'impressione - non come me che vede due generazioni successive - di vedere tre generazioni successive perché sono popoli giovani. Dunque emergono vantaggio dell'età e nuovi passi della formazione.

Ed allora ci sono queste nuove forze a cui bisogna guardare e che bisogna mettere alla prova ed al lavoro nella misura in cui sono forze intellettuali autoctone che conoscono la realtà e vivono nel Paese. Non tutti necessariamente devono essere stati a Londra o Parigi ma conoscono la realtà del Paese e, d'altra parte, si rendono conto che bisogna tendere ad un domani tutto quanto ripensato perché vengono meno gli aiuti tradizionali che venivano dal Primo mondo, perché viene meno la necessità di operare in mancanza delle precedenti organizzazioni economiche e probabilmente - questo è un problema tutto aperto all'esame degli africani e come dirò è ciò che l'istituto cerca di fare - di certi valori, che vanno esaminati a fondo in modo di avere la capacità di vedere cosa ci sia dentro e cosa sia invece un pregiudizio nel senso di "un giudizio formato prima" in un'altra situazione sociale.

Riassumendo, la storia ci ha insegnato che si possono vivere dei momenti rivoluzionari e se si ha l'occhio, molto del filosofo, agli effetti possibili di cambiamento e di svolta vediamo che bisogna guardare seriamente a questi protagonisti, uomini e donne nuovi, che sono chiamati a percorrere strade, materiali ed ideali che hanno individuato loro e che hanno scelto loro.

Il dato di fondo è questo elemento di scelta ed individuazione che avviene in loco. Il che non vuol dire che lo si fa estraneamente dal mondo ma deve essere approfondito nel nuovo mondo. Qualcuno l'ha definita - è una citazione cui non ho pensato molto - una ventata di originalità che nasce dall'esperienza, consapevolezza e pensiero. Prima mi sono permessa di dire che da una crisi, soprattutto se sistemica, è difficilissimo uscire. E mi sono permessa di dire che i meno fortunati hanno più difficoltà.

Quindi, ecco che nasce per tutti noi credo l'esigenza di un impegno importante, soprattutto per gli Stati del continente africano e soprattutto quelli che sono all'avanguardia di guardare alla Namibia con grande attenzione, in primo luogo per le sue travagliate vicende, in secondo luogo per le sue varie complessità, anche etnica tra le altre, al fatto, come ci ha ricordato la professoressa Scarponi, che l'alba della Namibia ha una data, il 1989, più tarda delle altre albe.

Per questa ragione dobbiamo avere un'attenzione particolare. Probabilmente, anzi ne sono quasi certa anche se è molto tempo che manco dalla Namibia, ci sono le forze che in quel Paese si sono qualificate come in altre parti del mondo nei lunghi anni di lotta. Però, la lotta della Nambia - non entro in temi che non conosco a fondo - ha certamente degli aspetti particolari e diversi dalle altre lotte di liberazione. Ci sono aspetti specifici che bisogna guardare. Questo è durato molti anni.

Allora, bisogna sapere che anche questo dato - negativo, certo - deve essere guardato con un occhio - non vorrei dire ottimista - ma particolarmente interessato perché se ci troviamo nell'avvio del nuovo millennio 2000 di fronte a queste condizioni in un certo Paese, ebbene, questo Paese ha alcune caratteristiche che possono trasformarlo in un laboratorio di pensiero, forse anche in un laboratorio di sperimentazione.

Oggi siamo in un tempo in cui la tematica della diversità - che 50 anni fa era vista in un modo diverso - è diventata molto attuale. Se ne parla continuamente. E la diversità è senza dubbio un addendo sulla via, sui percorsi dello sviluppo e la salvaguardia delle identità fornisce un addendo alla crescita della civiltà.

Questo avviene attraverso incontri e scontri e noi Mediterranei abbiamo millenni di paragone e di storia di questo tipo. L'attenzione alla diversità, la salvaguardia delle identità va fatta rifiutando situazioni mutuali, cioè il rispetto di alcune cose che sono sempre state così e che corrono sempre il rischio di dare vita ad altrettante detti.

È questa complessità allora della storia generale e della liberazione, legata però a questi aspetti non nuovissimi, ma certo attuali nel dibattito che forse ci dà la possibilità di vedere per la Namibia e nella Namibia un momento di pensiero, di ricerca, di laboratorio, di idee nuove.

E mi pare che ormai un po' tutti cominciamo a capire che l'umanità trova delle vie di progresso la possibilità di fare passi in avanti quando si rivolge alle risorse nel senso di vedere come queste debbono essere liberate dai tratti comuni a vantaggio di altri e come quell'altra risorsa peculiare, che ci distingue dagli altri generi del mondo, la forza razionale, deve essere liberata avendo essa stessa una sua forza liberatoria.

Credo che ci deve essere un laboratorio che punti sui cervelli, sulla ragione degli uomini. Riusciamo a fare questo? È sbagliato, è difficile? È difficile ma questo è il terreno adatto.

Il nostro Istituto e soprattutto un gruppetto di persone un po' matte al suo interno sta facendo queste ricerche e per farle abbiamo bisogno di aiuto, di confronto e di discussione e di creare anche noi dei luoghi, dove si pensi a questa visione diversa per tutto il mondo e certamente per il continente africano che è destinato a diventare uno dei grandi protagonisti.

Allora, è lo sforzo che stiamo facendo da cinque anni in un corso di specializzazione per coloro che vogliono recarsi a lavorare in Africa e che alle nozioni che il corso deve dare spesso si aggiunge questo sforzo di riflessione e di pensiero. Ma la riflessione e il pensiero hanno bisogno anche di una cosa di cui ho parlato prima, di un incontro-scontro destinato in generale a creare la civiltà. (Applausi).

 

* * *

 

FERRARIS, ambasciatore. Ringrazio molto la senatrice Carettoni per le considerazioni molto interessanti e molto importanti svolte. Non voglio commentare perché non voglio togliere spazio agli altri.

D'altra parte la Namibia ha una storia anche tragica, la distruzione degli herero è una brutta pagina e tragica della civiltà europea, tedesca in particolare, e la Germania fa parte dell'Europa. È veramente una delle pagine peggiori di distruzione di un popolo in Africa. Anche rispetto ad altre manifestazioni colonialiste questa è stata la più feroce.

Do la parola al prof. ROSSI Gianluigi, preside della facoltà di scienze politiche dell'università degli studi "La Sapienza" di Roma.

 

ROSSI Gianluigi, preside della facoltà di scienze politiche de l'università "La Sapienza". Ringrazio l'ambasciatore Ferraris per avermi dato la parola. Dalla gente che c'è, noto che vi è in questa aula un grande interesse per la Namibia e questo mi fa molto piacere.

Vorrei esprimere un apprezzamento particolare nei riguardi sia della professoressa Scarponi sia nei confronti dell'ambasciatore Ferraris; questo per un motivo molto semplice, già sottolineato: la Namibia è un Paese lontano, non solo dal punto di vista geografico, ma in Italia di Namibia non si parla proprio. Di Africa si parla poco, ma di Namibia non si parla per niente, almeno pochissimo.

Eppure la Namibia è un Paese che presenta un grande interesse. Anzitutto non dimentichiamo la notevole consistenza territoriale della Namibia. Qui in Italia non si pensa mai al fatto che la Namibia ha una superficie pari a quasi tre volte la superficie dell'Italia. Quindi è un Paese di oltre 800.000 chilometri quadrati.

Ma bisogna anche dire che la Namibia è un Paese estremamente interessante dal punto di vista delle potenzialità economiche e di sviluppo. Tempo fa, in epoca ancora coloniale, si definì la Namibia lo "scandalo geologico" dell'Africa. La Namibia è molto ricca di minerali preziosi, alcuni si possono definire strategici, di grandissima importanza.

Ma al di là di questo, la Namibia presenta un grande interesse dal punto di vista culturale. Dal punto di vista dell'antropologia culturale è un Paese molto interessante e questo appare molto chiaro sia dalla mostra sia dalla pubblicazione che accompagna la mostra curata dalla professoressa Scarponi che qui ringrazio per questa iniziativa.

È una persona che ha molto insistito affinché questa mostra si svolgesse presso il Ministero degli affari esteri. Lo scopo è quello di far conoscere meglio questo Paese, alquanto sconosciuto in Italia, avvolto ancora nella nebbia.

Non voglio fare un lungo discorso: in quanto storico ed in particolare storico dell'Africa - in effetti la mia materia è Storia dei trattati internazionali ma insegno Storia dell'Africa del 1973, quindi mi interesso molto di Storia dell'Africa - vorrei cogliere l'occasione per riassumere molto sinteticamente la storia della Namibia in età moderna.

Indubbiamente la Namibia è entrata nell'epoca moderna in un anno preciso, nel 1884 - come ci ricorda la stessa professoressa Scarponi - cioè nel momento in cui la Germania imperiale, la Germania di Bismark nel 1884 prende possesso di questo territorio pacificamente e la Namibia diventa un protettorato tedesco, coloniale, una colonia larvata in senso stretto.

Tutto questo, però, che sto dicendo non ci autorizza a dimenticare la storia precedente della Namibia. La Namibia, al pari di altre regioni dell'Africa, in quella zona soprattutto, è stata teatro di scontri-incontri tra culture, gruppi etnici, gruppi umani nel corso di centinaia e centinaia, di millenni di storia passata; una storia certamente difficile, molto difficile da ricostruire.

Ma questo si applica a tutta la storia dell'Africa Sud-Sahariana, direi quasi tutta, con qualche eccezione interessante. La storia dell'Africa prima dell'avvento del colonialismo è molto difficile da ricostruire in relazione alla fragilità delle fonti di cui lo storico dispone. Questo vale anche per l'Africa australe e della Namibia. Però, la Namibia entra nell'era moderna con l'arrivo dei Tedeschi nel 1884. I Tedeschi sono rimasti laggiù fino al 1915, quando le truppe sudafricane occupano il territorio dell'Africa del Sud-Ovest - così si chiamava secondo i Tedeschi - South West Africa, Africa sudoccidentale.

Finita la Prima Guerra Mondiale, la Namibia viene affidata inizialmente alla Gran Bretagna sotto forma di mandato della Società delle Nazioni. La Gran Bretagna a sua volta cede il territorio, sempre comandato, all'Unione sudafricana, al Sudafrica. Nel 1920 inizia il mandato sudafricano in Namibia. Però, fu un mandato di tipo c), secondo la Carta delle Società delle Nazioni. Ci sono vari tipi di mandato. Questo fu un mandato di tipo c). Il che significa che in questo caso i poteri del Sudafrica erano particolarmente forti. L'amministrazione del Sudafrica era diretta, molto forte. In sostanza la Namibia è stata amministrata dal Sudafrica in un modo diretto, come parte integrante del territorio sudafricano a differenza di quello che è successo per tutti gli altri mandati. Quindi, dal 1920 la presenza del Sudafrica in Namibia è durata tanti anni, molti decenni, aldilà anche della fine della Seconda Guerra Mondiale.

Eppure terminata la II Guerra mondiale, quando entrò in vigore la Carta delle Nazioni Unite, e quindi cominciarono a funzionare le Nazioni Unite, la Namibia doveva essere trasformata in un sistema nuovo di amministrazione, fiduciaria, nella prospettiva della decolonizzazione e dell'indipendenza mentre il mandato di tipo C non prevedeva la decolonizzazione a quel tempo dell'Africa del Sud-Ovest. Ma il Sudafrica si è opposto sistematicamente sin dall'inizio alla richiesta delle Nazioni Unite di trasformare il mandato in un'amministrazione fiduciaria.

Il motivo è evidente: il Sudafrica non pensava minimamente di riconoscere l'indipendenza alla Namibia, di portare avanti un processo di emancipazione politica del territorio. Anzi pensava anche dopo la Seconda Guerra Mondiale di integrare la Nambia al Sudafrica.

Intanto voglio ricordare - e questo viene detto giustamente nella pubblicazione della professoressa Scarponi - che nell'economia della Namibia nel periodo in cui il Sudafrica ha controllato questo territorio si è rafforzato sempre di più il carattere coloniale dell'economia namibiana, sempre più orientata verso l'esportazione. Questa è stata una precisa politica economica del Sudafrica in Namibia.

Dunque il Sudafrica ritiene di mantenere la sua posizione dopo la Seconda Guerra Mondiale. Si arriva così al 1966, una data importante, quando l'Assemblea nazionale della Nazioni Unite revoca in una risoluzione il mandato al Sudafrica e dichiara illegale la sua amministrazione in Namibia. Questa fu una risposta alla sentenza della Corte internazionale di giustizia dell'Aja nel 1966, al termine di un procedimento intentato dalla Liberia e dalla Etiopia alla Corte dell'Aja affinché si giungesse alla illegalità della presenza sudafricana in Namibia. Invece la Corte di giustizia dichiarò in questa sentenza che il ricorso presentato dai due Paesi africani più antichi indipendenti, Etiopia e Liberia, era privo di fondamento legale.

Dunque, la Risoluzione dell'Assemblea Generale fu la risposta, una reazione a questa sentenza ma, com'è facile capire, il Sudafrica non si diede per vinto. Non diede alcun seguito a questa risoluzione. Continuò ad occupare il territorio con truppe consistenti.

Però, nel frattempo, proprio in quegli anni, viene fuori una organizzazione locale che si chiama South West African People, organizzazione del popolo dell'Africa del Sud-Ovest che comincia a battersi per l'indipendenza di questo territorio.

E' Interessante ricordare che ciò avvenne a pochi anni di distanza da quello che è passato alla storia come l'anno dell'Africa, cioè il 1960, anno in cui si registra il momento culminante della decolonizzazione dell'Africa nera, subsahariana, all'indomani della Seconda Guerra Mondiale.

Nel 1960 nascono 17 Stati nell'Africa sudsahariana, tra i quali la Nigeria: quindi è l'anniversario non solo delle Nigeria ma di altri 16 Stati africani, tutti nati nel 1960.

Questo fatto non poteva non avere una incidenza anche sulla Namibia, anche nell'Africa del Sud-Ovest; quindi nella metà degli anni '60 circa nasce la SWAPO. Uno dei grandi leader di questo movimento è stato colui che diventerà il Presidente della Repubblica della Namibia, General Vilbrun Guillaume Sam, che ho avuto il piacere di conoscere in occasione del Vertice di Nairobi nel 1981, a cena e gli dissi: ma perché avete preso le armi? Lei è la quinta essenza del pacifismo! Lui mi rispose: ma cos'altro possiamo fare di fronte alla intransigenza del Sudafrica?

Questa esperienza rientra nella storia della decolonizzazione; il ricorso alla lotta armata è quella che potremmo definire il secondo ciclo delle indipendenze africane, il salto di qualità dalla rivoluzione pacifica, dal dialogo al ricorso alla lotta armata perché non c'era nient'altro da fare.

Dunque, si forma la SWAPO e qualche anno più tardi le Nazioni Unite prendono una decisione più forte rispetto a quella del 1966. È il Consiglio di sicurezza in effetti che adotta una risoluzione, che prevede un piano preciso per l'indipendenza della Namibia: eliminazione della forze e dell'amministrazione sudafricana e svolgimento di libere elezioni sotto l'egida delle organizzazioni internazioni.

Siamo nel 1978. Anche in questo caso Il Sud Africa naturalmente non si dà per vinto. Di fatto non vi è alcun seguito e bisogna aspettare la fine della Guerra Fredda che indubbiamente ha contribuito in maniera decisiva a sbloccare la situazione.

In effetti, nel 1989 il Sud Africa accetta il Piano delle Nazione Unite per la Namibia e quindi accetta che sul territorio avvengano libere elezioni; il che avverrà nel novembre 1989, anno di importanza mondiale e anche per la Namibia: si svolgono le elezioni nel 1989 sotto la supervisione delle organizzazione delle Nazioni Unite e l'indipendenza sarà poi proclamata ufficialmente il 21 marzo 1990.

La Namibia dunque è stato l'ultimo Paese africano dell'Africa nera ad arrivare all'appuntamento della indipendenza.

Ma dalle pochissime considerazioni ricordate risulta chiaro che il percorso è stato molto complicato, molto difficile. Questo va sottolineato. Quindi l'alba del Paese arriva nel 1990.

Ma, per tornare all'iniziativa odierna, mi pare che sia dalla mostra multimediale, sia dalla pubblicazione che accompagna la mostra emerge un quadro articolato complessivo molto vivo, ricco di quella che è la realtà della Namibia dal punto di vista storico, storico-politico, economico, ma soprattutto dell'antropologia culturale in genere. Ciò rende questa iniziativa particolarmente interessante.

Voglio anche ricordare, come è stato già detto, dalla senatrice Carettoni che questa iniziativa è stata preceduta da una analoga iniziativa dalla mostra che si è tenuta nella sede dell'Istituto italiano per l'Africa e l'Oriente. Quindi, nella sede prestigiosa direi - non perché sia tanto legato all'istituto - dell'Istituto italiano per l'Africa e l'Oriente che esattamente tra i suoi scopi ha anche quello di far conoscere meglio l'Africa agli italiani. Quindi questa iniziativa rientrava in questo obiettivo. Detto questo, vi ringrazio molto per l'attenzione mostrata. (Applausi).

 

FERRARIS, ambasciatore. Ringrazio molto il professor Gianluigi Rossi per aver così chiaramente sintetizzato la storia della Namibia. E spero che tutti abbiano collocato la Namibia nella storia dell'Africa e della decolonizzazione e nella storia delle relazioni internazionali. Ciò fa dire che non sempre le sentenze del Tribunale internazionale siano giuste. Ma questa è una mia punta polemica. Do la parola al dottor Johannesen.

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JOHANNESEN. Ringrazio la senatrice Carettoni e l'ambasciatore Ferraris per avermi dato l'occasione di venire qui come rappresentante di un Paese come la Namibia, un piccolo-grande Paese, uno straordinario Paese che si trova in un mondo particolare, che è il mondo del sistema economico dell'Africa australe, l'area SADC. La Namibia è un Paese sostanzialmente diverso e a me piace, se mi permettete, ricordare che pochi giorni fa sono stato invitato a tenere una conferenza all'Università cattolica di Milano, dove il titolo della giornata era "La diversità fa la differenza". È un argomento straordinario perché un Paese così particolare come la Namibia può rientrare in una logica della differenza che fa la diversità o la diversità che fa la differenza.

Il 2010 è stato un anno straordinario per la Namibia, prima di tutto perché abbiamo celebrato il ventennale della nostra indipendenza, delle elezioni tenute nel novembre 2009 che hanno sostanzialmente confermato tutte le linee che il Governo namibiano aveva tenuto dall'indipendenza in poi.

Il Parlamento e le elezioni che vengono tenute in Namibia sono elezioni libere, trasparenti, che sono state anche oggetto di attenzione. Ma è chiaro che la Namibia non è uscita indenne della crisi globale. Abbiamo avuto dei problemi indubbiamente gravi. La crescita del nostro Prodotto Interno Lordo che per gli anni 2006-2008 è stata sempre positiva, nel 2009 purtroppo ha avuto una débacle registrando lo 0,8 per cento di caduta del PIL.

Ovviamente i problemi economici legati alla crisi economica mondiale hanno fatto sì che anche in Namibia hanno dovuto stringere un po' la cinghia ed abbiamo avuto problemi occupazionali non indifferenti nei due grandi settori strategici per il territorio namibiano, ovviamente il settore minerario e - non meno importante - il settore alimentare. Nella catena alimentare la Namibia è infatti potente economicamente in senso lato, in Europa ma anche nel resto del mondo, nel settore ittico. Mentre mi permetto di dire che la carne bovina namibiana è la migliore che si trova; è un godere del palato, se posso usare questo termine. L'economia namibiana ha dovuto risentire di questi problemi.

Andiamo avanti fino all'ultima Risoluzione del Presidente Pohamba, attuale Presidente delle Repubblica della Namibia, che ha sostituito il presidente General Vilbrun Guillaume Sam (che a me piace dire ha svolto l'incarico per due mandati più 1, ma che in effetti è stato per 3 mandati Presidente della Repubblica), nostro padre storico del Paese che ha fatto la guerra di indipendenza per venti anni.

Il Governo ha definito l'attuale programma che definiamo Millennium Gold che fa parte di un disegno strategico messo in atto quando siamo passati nel 21º secolo; tra gli argomenti strategici il Governo ha deciso di puntare su due settori, il primo dei quali è quello della sanità.

Come voi sapete, la Namibia purtroppo soffre di un problema gravissimo: i sieropositivi e la trasformazione in Aids è una delle malattie croniche del sistema. Su questo argomento mi piacerebbe dilungarmi un po'. Bisognerebbe approfondire questo tema in modo complesso e non credo che abbiamo tempo per discuterne oggi. Comunque si registrano malattie endemiche come la malaria e la tubercolosi che sono sotto all'attenzione del Governo namibiano e stiamo attenti per poter far sì che tutti in Namibia possano godere del servizio sanitario.

L'educazione è forse l'altro grande argomento strategico del Paese. Dovete immaginarvi che l'89 per cento della popolazione è capace di leggere e scrivere, che è un elevato grado di scolarizzazione in un continente come quello africano.

L'acqua purtroppo è una risorsa scarsa in Namibia. La fornitura dell'acqua potabile è un elemento essenziale per migliorare la qualità della vita della nostra gente ed alcuni progetti sono stati messi in atto per rendere l'acqua potabile a tutta popolazione anche quella rurale, quella più lontana.

Potrei raccontare della Namibia per 4 ore senza fermarmi e lo farei volentieri; però poiché non sono io e neanche la Namibia ad essere protagonista ma Emanuela Scarponi la protagonista di questa giornata, darò solo 2 dati: la Namibia è un Paese che ha un debito pubblico del 19,6 per cento di Prodotto interno lordo. Non c'è Paese africano con una situazione cosiddetta patrimoniale di questa dimensione.

Il bilancio dello Stato nel 2010 avrà un deficit del 2,8 per cento. Fino al 2009 avevamo degli attivi. Lo Stato namibiano incassava più di quello che spendeva.

Quanti Paesi possono vantare un sistema del genere? Certo, tale situazione deriva da una pubblica amministrazione che funziona, da un sistema integrato di riconciliazione culturale dove i bianchi tradizionalmente riconosciuti come colonizzatori fanno parte integrale della società. I neri hanno riconosciuto il dominio economico dei bianchi ed i bianchi riconoscono il dominio politico dei neri.

La Namibia, come voi sapete, è legata allo scenario economico sudafricano. Siamo legati mani e piedi. L'economia namibiana che è legata al rand sudafricano ovviamente trae i benefici della forza del rand sudafricano e paga anche il prezzo politico di questo.

Il futuro della Namibia è positivo. Abbiamo l'obbligo di rimanere in una società moderna, i giovani manager della Namibia sono beneducati, hanno studiato in Sudafrica, così come in Europa. Abbiamo trovato una specie di equilibrio sociale. Purtroppo, la forbice del divario tra ricchi e poveri è ancora troppo grande. Dobbiamo fare di tutto per far sì che quella forbice diminuisca. E con questo mi permetto di ringraziarvi per l'attenzione.

Racconterò volentieri della Namibia e parlerò ancora della Namibia quando vorrete. Grazie. (Applausi).

FERRARIS. Certo: il fatto che uno svedese namibiano dica in Italia che l'amministrazione pubblica della Namibia funziona bene, mi permetterebbe di fare molta ironia sull'Italia ma mi astengo. Una mia curiosità: la ferrovia che va in Sudafrica funziona ancora?

JOHANNESEN. Abbiamo allungato la linea ferroviaria da Windoeck fino al confine con l'Angola, prolungandola di oltre 600 km. Ed il viaggio di notte da Windhoeck a Swakopmund è un viaggio bellissimo. E c'è ancora il treno fino a Città del Capo.

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BAISTROCCHI, ambasciatore. Peter Johannesen è stato in Namibia da bambino ed ha avuto come istitutore Sam Guillaume. Poiché il padre si occupava di navi è andato in Namibia dove io l'ho conosciuto.

Innanzitutto scusate per questa introduzione, senza aver prima ringraziato l'ambasciatore Ferraris dell'invito, salutato la senatrice Carettoni che conosco dai tempi dell'Istituto per l'Africa e non dell'Isiao, quando l'istituto per l'Africa non era stato accorpato assieme all'Oriente; ed il professor Rossi.

Vorrei aggiungere due considerazioni all'intervento del professor Rossi, non per correggerlo - anzi, tutt'altro - ma per dare uno sguardo alla storia del Sudafrica e della Namibia.

L'inizio della guerra di liberazione avviene prima dal punto di vista ideologico, nel 1964, quando i Sudafricani vogliono imporre il sistema dell'apartheid a quella che consideravano la loro quinta Provincia ma che non annetteranno mai al loro territorio. Quindi scacciano dalla residenza i nativi.

Il secondo elemento è che il Sudafrica è arrivato finalmente a dare l'indipendenza alla Namibia, grazie soprattutto alla Guerra in Angola. Certamente la fase finale è stata la caduta del bipolarismo e dell'Unione sovietica, ma soprattutto la guerra in Angola che ha visto coinvolto da un lato Sam Guillaume e il movimento MPLA dell'Angola e da questa parte il Sudafrica aiutato dall'UNETA e dall'UNEPI. L'Angola era stata aiutata prima da Che Guevara che era andato laggiù con i guerriglieri cubani.

Il terzo elemento è che Sam Guillaume nel corso della Storia della Namibia è diventato Presidente quando le Nazioni Unite gli hanno consegnato il Paese. Quindi se la Costituzione namibiana parla di due mandati è perché alcuni hanno considerato questo un primo mandato. Mentre la maggioranza lo ha considerato come mandato temporale. Dopodiché Sam Guillaume è stato eletto due volte ed avrebbe continuato ad esserlo perché l'abitudine africana è quella di continuare per tutta la vita una volta arrivati. Soltanto che i suoi più vicini collaboratori si sono impegnati - e questo si sa poco - a fargli firmare una famosa lettera con la quale rifiutava di ripresentarsi alle elezioni. Quindi, non avendo partecipato alle ultime elezioni, è riuscito a mettere i suoi amici di battaglia, appunto Pohamba, a quel posto.

Cosa posso aggiungere della Namibia? Come diceva anche Peter Johannesen, è un Paese povero d'acqua perché ci sono solo due fiumi perenni, a Nord il Kunene, a Sud l'Orange river. Per il resto il territorio è desertico e come tale presenta anche il problema della riforma agraria.

Elemento disgregante di questa situazione è che circa il 10 per cento di politici neri di colore sono proprietari di farm. E questo in pratica ha limitato il processo di riforma agraria, che è stato violento negli altri Paesi africani.

Cosa poter aggiungere ancora? Avrei tanto da aggiungere ma penso che avendo visto il documentario ed il catalogo sulla mostra della dottoressa Scarponi molti elementi siano rilevabili.

C'è una considerazione cui vorrei dare seguito: qual è il futuro della Namibia? Ho sentito parlare di molti aspetti da parte dello svedese namibiano! Però una cosa bisogna dire: il padre della patria Sam Guillaume è sempre dietro a tutte le iniziative namibiane. Ha una scorta maggiore del Presidente, ha aiutato Pohamba ad essere rieletto senza grosse difficoltà. Proporrebbe a quanto si dice il figlio quando questi cesserà il suo secondo mandato nel 2014. Però non è detto. Ci sono anche malelingue che dicono che a più di 80 anni vorrebbe ripresentarsi.

Si è parlato solo di agricoltura e di allevamento, ma non delle ricchezze minerarie della Namibia che è il quinto produttore di uranio, nonché di diamanti.

Si poteva parlare del Pil della Namibia, del suo 20 per cento di risorse minerarie. Non si è parlato del reddito pro capite, uno dei più alti del continente africano, forse il terzo, dopo il Sud Africa che è al quarto posto, con 6.600 dollari.

Potrebbero essere affrontati una serie di altri problemi, come per esempio la caccia che in Namibia è una delle basi del sistema di vita. È una caccia selettiva. Si può andare a caccia ma bisogna uccidere gli animali maschi adulti vecchi e così si rinforza la stirpe.

Un'altro argomento di cui potremmo parlare - di cui sono personalmente interessato in questo momento e per la quale ho fatto una prima visita in Namibia facendoci l'ambasciatore - è l'arte rupestre: per la prima volta il Paese ha una stazione archeologica TwifleFontaine dichiarata patrimonio dell'umanità quattro anni fa. Ci sono una serie di luoghi sacri, soprattutto per le pitture rupestri. È stata visitata negli anni '50 ed è stata considerata il Papa della storia dell'arte rupestre. Sto parlando del Brandemberg.

Quindi vi sono argomenti di cui parlare, ma penso che adesso sia il caso di lasciare la parola alla professoressa Scarponi ed al dottor Tresoldi, e ringraziare tutti per la loro presenza.

FERRARIS. Vorrei ricordare che l'ambasciatore Baistrocchi è autore di opere insigni e di ricerche archeologiche ed artistiche di notevole livello riguardo anche ad altri Paesi africani. Vi è una biografia molto interessante. D'altronde è figlio di un altro ambasciatore, nipote di ammiraglio e Capo di Stato maggiore nella Guerra di Etiopia. Quindi discende da una famiglia illustre. Nella sua modestia non ha detto che va regolarmente in Namibia e continua ad amarla.

BAISTROCCHI, ambasciatore. Vorrei riallacciarmi a quello che la senatrice Carettoni ha detto prima. Non ho parlato di diplomazia. È meglio da un lato: hanno chiuso l'ambasciata; per il lavoro da sbrigare basterebbe un consolato. Ma il problema non è questo. È l'approccio del nostro Ministero degli affari esteri verso l'Africa.

La senatrice Carettoni ha detto che l'Africa è il continente del futuro e su questo sono perfettamente d'accordo. Basti pensare a cosa la Cina sta facendo in Africa non solo per acquisire beni e materie prime ma alle relazioni intrecciate con 54 Paesi africani. Noi invece stiamo chiudendo le nostre ambasciate.

S e vogliamo fare la politica estera che ci meritiamo di fare come nazione forse non oggi ma magari in un futuro, non si può non tenere conto dell'Africa nel nostro Ministero, nella nostra politica estera se solo pensiamo che un Paese come la Spagna sta aprendo ambasciate, seppure mini, in Africa - d'accordo, come era la miniambasciata in Namibia - ma non posso dire che la mia ambasciata in Nigeria fosse più grande quando la Nigeria è il primo Paese dell'Africa come popolazione, ricchezze e nostri interessi.

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FERRARIS. È stato meno polemico del solito l'ambasciatore Baistrocchi! Questa volta ci è andata bene!

Effettivamente il problema che lui pone è di carattere generale. Però vorrei completarlo con due considerazioni: l'uno è che la stampa italiana non si occupa dell'Africa se non quando c'è qualche catastrofe. La seconda - mi rivolgo ai giovani diplomatici qui presenti - è che andare in Africa - c'è una polemica tra l'altro sul sito intranet del Sindacato dei diplomatici del Ministero affari esteri - a fare il diplomatico non porta alcun vantaggio in carriera. Vi è poi anche una mancanza di spirito di avventura.

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BAISTROCCHI. Prima di andare in Africa sono andato a Washington, Mosca e sono stato console generale ad Hong Kong. Ho fatto poi una scelta personale di andare in Africa e sono stato ambasciatore in Ghana, Nigeria e Namibia. La mia carriera ne ha sofferto. È questo un elemento cardine anche del Ministero degli affari esteri. Deve scomparire questa mentalità e bisogna cercare soprattutto nei giovani l'avventura. Non si può andare solo a Parigi, a Londra o al massimo a Tokio ed a Pechino. Il mondo sta cambiando e l'Africa è assolutamente importante per il nostro Paese.

FERRARIS. Questo dibattito interno avviene tra diplomatici. C'è uno scambio su intranet proprio su questo argomento. In poche parole si dice: "Chi ce lo fa fare ad andare in posti scomodi e rischiosi per vederci scavalcati da chi invece è stato soltanto in Svizzera?". I più avventurosi sono andati. Questo è un problema della nostra società. Bisogna avere anche l'amore per il rischio e l'avventura. Il divertimento una volta era provocato dall'avventura ed i diplomatici hanno il vantaggio di poterlo fare in sicurezza.

Adesso dò la parola al dottor Tresoldi.

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TRESOLDI. Ringrazio per l'iniziativa l'Isiao ed Emanuela Scarponi che sicuramente aiuta nel modo più efficace a far sì che la Namibia sia conosciuta. In realtà la Namibia è un Paese, come si è detto anche prima, poco conosciuto. Per questo mi permetto di dare una piccola collocazione geografica.

La Namibia si affaccia sull'Oceano Atlantico per 1.500 chilometri di costa, confina a Nord con l'Angola, a Nord-Est con Zambia e Zimbabwe, a Est con il Botswana e a Sud con la Repubblica del Sud Africa.

La superficie del Paese è di 825.000 km², quindi pari a 2 volte e mezzo l'Italia e la densità per chilometro quadrato è impressionante: sono circa 2,43 le persone per chilometro quadrato. Facciamo giusto un paragone con l'Italia dove parliamo di duecento persone per chilometro quadrato. Mi piace pensare che se due personaggi namibiani vogliono litigare hanno già un bel da fare per andarsi a incontrare!

I motivi per un viaggio in Namibia: ho elencato una serie di motivi molto validi ma chi andrà in Namibia ne scoprirà sicuramente degli altri.

Non si va in Namibia per fare soggiorno balneare. Ho parlato prima di circa 1.500 chilometri di costa atlantica. In realtà, questa costa atlantica non è balneabile, perlomeno per i turisti italiani, a causa delle forti correnti fredde.

I motivi per andare sono sicuramente il senso di libertà della Namibia; questi spazi immensi identificabili con i due deserti che caratterizzano il territorio namibiano; il deserto del Namib, di oltre 50 milioni di anni, è uno dei più antichi del mondo e rappresenta una ecoregione di grandissimo interesse con flora e fauna costituita in gran parte da specie endemiche.

Il territorio del deserto del Namib è incluso in aree naturali protette e la più importante di queste è quella del NAMIB NAUKLUFT NATIONAL PARK che è il più grande parco di tutto il continente africano.

Il deserto del Kalahari, l'altro deserto del territorio namibiano, è parte di un immenso altopiano, parte da una altezza media di 900 metri, copre il 70 per cento del territorio del Botswana, parte dello Zimbabwe, della Namibia e del Sudafrica. Se includiamo anche le parti del bacino semiarido del deserto, arriviamo ad un'area di oltre 2 milioni e mezzo di chilometri quadrati. Quindi parliamo veramente di spazi e di territori immensi.

Altro motivo valido per un viaggio in Namibia è la flora. Sicuramente ci sono 5.000 specie di piante nel territorio namibiano, di cui 200 endemiche.

Ne descriverò due brevemente: la famosa Welwischia Mirabilis è una pianta antichissima che cresce soltanto sulla costa dell'Oceano Atlantico in Namibia e nel Sud dell'Angola. È un vero albero, anche se non sembra tale, perché è composta da una radice e da due foglie perennemente ricrescenti. Quindi sembrano due nastri contorti con una dimensione dai 2 ai 4 metri. Quando la si vede sembra un mucchio di spazzatura. In realtà, si tratta di foglie di germinazione che crescono di continuo alle estremità. Muoiono e poi si sfrangiano di nuovo.

Questa pianta è interessantissima perché si è adattata completamente alle condizioni estreme del deserto. Non soffre della mancanza di precipitazioniperché le bastano la nebbia e l'umidità proveniente dall'oceano.

Un'altra pianta endemica di grande interesse è l'albero faretra, molto interessante, che Emanuela ha fotografato e che quindi avrete visto nella presentazione, appunto chiamato così perché la parte superiore del ramo veniva tagliata dai boscimani namibiani e scavata all'interno, proprio per ricavarne una faretra per le frecce usate per la caccia.

La fauna ovviamente è un altro argomento importantissimo. Sono presenti 20 specie di antilopi, 240 tipi di mammiferi, 250 rettili, 50 tipi di anfibi, 630 specie di uccelli e naturalmente ci sono quelli che vengono definiti i grandi cinque, i Big five (il leone, il rinoceronte, il leopardo, l'elefante ed il bufalo). Questi sono particolarmente presenti e visibili nel grande Parco Etosha che sta a Nord del Paese. Questo parco è importante perché ha una superficie di 22.000 chilometri quadrati ed offre tutte le condizioni più favorevoli per l'osservazione degli animali.

Il cuore del parco è costituito da circa 5000 chilometri quadrati di conca salina, priva di vegetazione. Ciò favorisce l'avvistamento degli animali. A margine della conca si possono vedere animali selvatici che vanno ad abbeverarsi.

Alcune fondazioni namibiane sono impegnate nella conservazione dei grandi animali del Paese. Mi piace ricordare in particolare la Africat Foundation, che appunto fornisce l'assistenza agli allevatori per alleviarli dalle perdite dovute all'intrusione di predatori: dal '93 immaginate che ha salvato oltre 3.000 ghepardi e leopardi sulle aree agricole della Namibia e di questi 1000 - che hanno salvato - l' 85 per cento sono stati restituiti alla natura.

Si è parlato di geologia. La Namibia è un territorio ricchissimo di diamanti, ma anche di rame, uranio, piombo e stagno. Ma è un Paese veramente ricchissimo. Parliamo di diamanti; un dato che ritengo molto interessante in riferimento ai primi cinque mesi del 2010 è che la produzione dei diamanti in Namibia si è raddoppiata rispetto al 2009. Se l'andamento continuerà con questo ritmo per tutto il 2010, parliamo di una produzione pari a circa 1 milione e mezzo di carati in crescita del 50 per cento sul 2009 e vicina a livelli record che mi dicono essere nel 2007.

FERRARIS. Come si fa ad andare in Namibia ed a fare il turista?

TRESOLDI.

Si prende la Namib Air, ci si imbarca a Milano o a Roma per Francoforte e tutti i giorni con un volo notturno di 10 ore si arriva a Windhoeck. Costa da un minimo di 1000 euro in bassa stagione, in classe turistica, fino a 3.000 euro in business, andata e ritorno. L'aereo atterra all'aeroporto principale della Namibia di Windhoeck.

Le attrezzature alberghiere sono di vario livello: abbiamo attrezzature assolutamente lussuose, con lodge estremamente raffinati ed adatti alle esigenze più esigenti della clientela italiana fino a sistemazioni molto più spartane.

È facilissimo girare in Namibia perché c'è un buon sistema stradale.

In realtà il fly and drive è un sistema di viaggiare buono per la Namibia. Guidare inc Namibia è facile perché un Paese che non presenta difficoltà di natura politica, non ci sono tensioni sociali, quindi non c'è microcriminalità. Il viaggio in Namibia non presenta assolutamente difficoltà particolari.

Le distanze sono notevoli perché su un territorio di più di ottocentomila chilometri quadrati è necessario scegliere quel che più interessa. Ci sono pacchetti-vacanze offerte da circa 60 tour-operator italiani.

Credo che ormai la Namibia è un Paese talmente facile che la clientela italiana è sufficientemente matura per potere iniziare a crearsi il viaggio in proprio nel senso che le strutture alberghiere e ricettive sono facilmente contattabili anche dall'Italia per cui anche il viaggio, fatto secondo le esigenze dei singoli viaggiatori, è assolutamente possibile e facile.

Il trasporto aereo costa intorno ai 1.000 euro. Poi dipende dalle strutture. Però sconsiglio di rimanere una settimana in Namibia. Secondo me è troppo poco ma consiglio almeno 10,11 giorni e questo può venire a costare a seconda delle strutture tra i 1.000 ed i 2.500 euro. Perciò un viaggio in Namibia in economia può costare intorno ai 2.000 euro, e senza guardare alla borsa troppo attentamente può costare oltre 3.500. Il viaggio di nozze è esattamente il nostro target per il 2011.

Qualche notizia di natura astronomica: il cielo della Namibia è un paradiso astronomico dell'Africa, fra i più interessanti al mondo perché la limpidezza e trasparenza del cielo e dell'aria sono notevoli. È da lì che si possono vedere Alpha Centauri e la Croce del Sud. I cieli della Namibia possono essere paragonabili ad Atacama in Cile, famoso per i suoi cieli.

L'ambasciatore ha appena nominato le bellezze archeologiche di Twiflefontaine ed ha anche nominato Brandemberg. È un microcosmo eccezionale. È una massa compatta di granito, lunga 30 chilometri e larga 25 ed è antica di 120 milioni di anni, alta 2.500 metri.

Nonostante vi sia il deserto e non abbia sorgenti possiede un microclima dove è favorita la crescita degli alberi. Questo ha spinto i boscimani a prendervi ricovero e da lì hanno elaborato i loro splendidi lavori rupestri.

I Boscimani sono una delle tante etnie. In realtà sono 13 le etnie della Namibia.

Ma la specialista à la nostra Emanuela che racconterà naturalmente in modo più scientifico e più interessante delle etnie, delle lingue e delle abitudini.

FERRARIS. È molto entusiasmante. Adesso dò la parola alla professoressa Scarponi, alla quale si deve l'iniziativa.

***

SCARPONI. Ho lasciato parlare il documentario - che sarà proiettato dopo gli interventi - e le foto che credo raccontino meglio la realtà della Namibia.

Avrete capito che questo mio percorso di viaggio intellettuale, dopo aver effettuato questo viaggio fisico in Namibia nel 1995, cioè all'alba del nuovo Stato, è stato possibile solo grazie alle persone qui presenti che mi hanno aiutato a completare il mio lavoro e senza le quali non avrei potuto portare a termine questo progetto, che non solo ha avuto inizio ma sta continuando a concretizzarsi anche con grande entusiasmo da parte di tutti, visto che soprattutto i giovani sono qui a seguire questo tipo di conferenze, generalmente relegate a classi specifiche della intellighenzia italiana.

Il mio approccio a tutta questa materia ed alla vita in generale è stato sempre di tipo globale, multimediale come si presenta la mostra.

Oggi esistono vari modi di comunicazione e ne ho usati il più possibile. Il fatto che ognuno degli intervenuti lo abbia fatto in base alla propria esperienza e professionalità aiuterà sicuramente l'Africa e tutti a capire meglio le potenzialità politiche, economiche, sociali e storico-culturali di questo continente edin particolare della Namibia.

Quando ho cominciato ad affrontare queste materie nel 1985 in Italia c'erano ancora meno persone rispetto ad oggi ad interessarsene. Tra l'altro la cooperazione era down, completamente andata....Siamo nel 1987, ad un passo da Tangentopoli....In quel momento l'Italia era completamente dissestata da questo punto di vista. Adesso ci sono le Ong che, con tutti i difetti e pregi che possano presentare, danno la possibilità maggiormente ai giovani di avvicinarsi a questo settore con più facilità.

L'Africa è un continente cui molte persone sono attratte perché di fatto è per me il continente madre di tutti noi dato che dal punto di vista antropologico e paletnologico sono stati trovati i reperti dei primi uomini rinvenuti sul pianeta ad oggi. Mi riferisco alla cosiddetta Lucy, australopithecus afarensis. Questo ovviamente dimostra dove risiedono le nostre radici.

Credo che sia questo in realtà il motivo per cui molti Europei ed Occidentali in genere siano attratti dall'Africa. E' un continente talmente variopinto da tutti i punti di vista, che di fatto richiama l'attenzione di tutte le migliori menti umane, tutte le persone attente alla scienza, all'arte ma anche alla filosofia.

All'inizio ero molto preoccupata perché era molto interessata all'arte primitiva e contemporaneamente all'arte moderna e mi chiedevo il perché. Poi ho scoperto che Picasso aveva fatto qualcosa di me in Mali! Allora ho capito che non facevo altro che proseguire l'iter di alcuni Grandi che hanno aperto la strada ai posteri.

Credo che il documentario dia la possibilità di seguire maggiormente da vicino la Namibia e soprattutto la bellezza della popolazione Himba, di questi himba che all'improvviso appaiono dal nulla e che ci fanno tornare indietro nel tempo per vedere come viveva l'uomo agli albori della civiltà umana, anche se al di là delle apparenze gli Himba sono assolutamente moderni e si può comunicare con loro anche se non parlano affatto l'inglese. Ho comunicato con loro a gesti.

La iniziativa prosegue nella sala della Cassa mutua Prunas che ringrazio per l'ospitalità nella persona dell'ambasciatore Ferraris. Ringrazio la diplomazia italiana e quindi Peter Johannesen che peraltro ho incontrato nel corso di questo lavoro ed ho intervistato nel febbraio scorso. La intervista sarà anch'essa presto pubblicata.

Adesso si procederà a costituire un sito Internet definito www.africanpeople.it, su cui sarò ben lieta di accogliere il lavoro di chiunque voglia contribuire ad arricchirlo. Questo è quanto. (Applausi).

FERRARIS. Ringrazio tutti per aver partecipato ed invito caldamente tutti a seguire il documentario davvero molto interessante (Applausi).

 

Intervista al Console della Namibia, dr Petter Johannesen, concessa a Milano il 21 febbraio 2010.

Emanuela Scarponi. Buongiorno. Mi chiamo Emanuela Scarponi e sono qui per divulgare il libro sulla Namibia scritto in collaborazione dell'Isiao.

Come stanno gli Himba che non vedo dal 1995?

Console onorario della Namibia. Stanno benissimo, grazie!

Emanuela Scarponi. Un caro saluto a tutti loro! Ho tentato sempre di ricontattarli, senza riuscirci.

Colgo questa occasione per conoscere da lei l’attuale situazione politica della Namibia, con particolare riferimento al tipo di democrazia.

Console onorario della Namibia. La Namibia è indipendente da venti anni. Abbiamo appena avuto le elezioni presidenziali e parlamentari che si sono svolte assolutamente in piena trasparenza e con grande soddisfazione. Il Presidente uscente Pohamba è stato rieletto. Il partito al Governo della Swapo ha mantenuto le sue quote, cedendo una piccolissima frazione. La Namibia è una democrazia compiuta che funziona. Non ci sono problemi di carattere politico!

Emanuela Scarponi. Quanti partiti ci sono?

Console onorario della Namibia. Ci sono una decina di partiti: otto partiti importanti e due assolutamente inutili. Pero abbiamo un sistema bicamerale, di cui una è la Camera alta, suprema, paragonabile alla Camera delle Regioni tedesca, fatta di persone nominate dal Presidente. Il sistema politico namibiano non è basato su una rappresentanza maggioritaria, ma proporzionale. Pertanto sono rappresentati anche i piccolissimi partiti. Ma la Swapo è il partito pesante della Namibia, e conta il 63 per cento della popolazione.

Emanuela Scarponi. Sono rappresentati gli Himba in Parlamento?

Console onorario della Namibia. Gli Himba non sono rappresentanti in Parlamento. Noi abbiamo una distinzione di carattere politico e non etnico. Ci sono partiti politici e sicuramente gli himba votano per la Swapo come gli Herero. In Namibia non c’è una rappresentanza etnica. Dal mio punto di vista è un grande passo avanti. Il Parlamento non deve rappresentare le etnie. I partiti sono trasversali alle etnie.

Emanuela Scarponi. Vanno dalla destra alla sinistra come in Europa?

Console onorario della Namibia. Non c’è destra o sinistra. Sono partiti giovani ancora legati alla rivoluzione, alla indipendenza ed alla lotta di classe, di acquisizione dei diritti.

Emanuela Scarponi. Siete tutti felici della indipendenza della Namibia?

Console onorario della Namibia. Molti namibiani bianchi di estrazione boera avrebbero preferito rimanere parte del Sud Africa ma con l’evoluzione del Sud africa credo che adesso stanno meglio.

Emanuela Scarponi. Mi può descrivere la situazione dei bianchi in Namibia?

Console onorario della Namibia. I bianchi subiscono ancora la discriminazione della maggioranza. Questo è un problema non solo in Sud Africa ma in tutti i mondi dove i bianchi sono stati sistema di potere e dove i neri sono stati tenuti lontano dalle scelte politiche. Adesso che è il rovescio devono accettare democraticamente lo stato dell'arte dato che sono in netta minoranza, (8,10 percento).

Emanuela Scarponi. Che mi dice del sistema scolastico?

Console onorario della Namibia. Il sistema scolastico è buono. La Namibia è uno dei paesi africani con un elevatissimo grado di scolarizzazione: il 94 per cento dei bambini va a scuola.

Emanuela Scarponi. Quali lingue studiano?

Console onorario della Namibia.. Studiano l’inglese e l’afrikaans. Ci sono anche le scuole tedesche.

Emanuela Scarponi. Il bantu si studia?

Console onorario della Namibia. No. È solo una lingua orale.

Emanuela Scarponi.Che mi dice del rapporto tra bianchi e neri in Namibia?

Console onorario della Namibia. Il rapporto tra bianchi e neri in Namibia è complesso soprattutto perché adesso che i bianchi soffrono di un complesso di superiorità non solo in Africa. In secondo luogo, gli africani prescindendo dal colore sono ignavi per natura. Non c’è differenza sostanziale tra bianco e nero. Fa parte del Dna. Immaginiamo che il bianco pensi come noi in Europa. Attribuiamo loro dei meriti che non hanno perché siamo illusi. Il bianco africano è identico al nero solo che noi, siccome siamo bianchi, li vediamo con occhi diversi ma se si scava in fondo sono uguali. Hanno un livello di educazione leggermente superiore e per questo sguazzano in questa loro apparente superiorità di conoscenza. Ma il rapporto tra bianco e nero è buono. In questo momento la convivenza è civile e la riconciliazione è stata compiuta.

Emanuela Scarponi.Da quante generazioni è in Namibia?

Console onorario della Namibia. Abbiamo bianchi di origine tedesca che vivono in Namibia dal 1870-'80.

Emanuela Scarponi.Quali sono i rapporti economici e istituzionali col nostro Paese?

Console onorario della Namibia. I rapporti economici e istituzionali con l'Italia sono fin troppo pochi e modesti, a causa di tre fattori: il mercato domestico namibiano è piccolo anche se ci sono due milioni di abitanti. Abbiamo qualche poche decine di migliaia di famiglie. Pertanto il mercato interno domestico è modesto ed è difficile per un operatore internazionale globalista come quello italiano andare in Namibia perché gli costa troppo ed allora usa il tramite commerciale che si trova in Sud Africa.

Quanto alle esportazioni namibiane, siamo molto forti per il pellame. Oltre il 70 per cento delle pelli prodotte in Namibia vengono in Italia; seguono poi la carne bovina, che vorremmo esportare maggiormente, la pelle di karakul prodotto straordinario, ed infine il turismo che sta diventando un elemento dell’economia interna importantissimo e l’Italia si affaccia in competizione agli altri attori europei.

LAOS di Emanuela Scarponi

 

LAOS, ufficialmente Repubblica Popolare Democratica del Laos, è uno Stato del Sud-Est asiatico che non ha sbocco sul mare. Confina a Nord con la Cina, a Est con il Vietnam, a Sud con la Cambogia, a Ovest con la Thailandia e a Nord-Ovest con la Birmania.

Nel delicato equilibrio politico di quel tempo nella regione, dominata dalla tensione tra le potenze coloniali britannica e francese, venne coniato il termine Laos, traslitterazione che fecero i francesi della parola lao, il nome dell'etnia dominante nel Paese, quando nel 1899 venne ufficialmente istituito il Protettorato Francese del Laos.  I francesi non diedero grande importanza al Laos, che fu sostanzialmente usato come Stato cuscinetto tra i propri territori e quelli controllati dai britannici.

Il Laos mantenne una relativa tranquillità sociale e non rimase coinvolto nei drammatici conflitti che insanguinarono la vicina Cambogia.

Dopo il crollo del blocco sovietico ebbe inizio una lenta liberalizzazione economica, ma il partito unico si è mantenuto al potere concentrando la propria azione su una forte militarizzazione del Paese, pur abbandonando le rigide posizioni ideologiche dell'epoca sovietica. Vi è stato in questi anni uno sforzo del Governo per riappacificarsi con le vecchie opposizioni, tentando di integrarle nel regime.

Il turismo si è espanso notevolmente dopo l'apertura del Paese ai visitatori stranieri avvenuta negli a, passando dalle 80.000 presenze straniere del 1990, ai 4 milioni e 160 000 arrivi del 2014. Il Governo si aspetta che la voce turismo arrivi a portare 1,585 miliardi di dollari nel 2020.

Il Paese ha acquisito grande popolarità tra i turisti stranieri per lo stile di vita rilassato e allegro dei laotiani e per aver conservato aspetti tradizionali dell'Asia antica.

Tra le principali attrazioni, vi sono i patrimoni dell'umanità rappresentati dalla città di Luang Prabang e dal sito archeologico religioso di Vat Phu, la gastronomia ed i templi di Vientiane, i particolari panorami di Vang Vieng, i percorsi di trekking nelle zone popolate dalle variopinte minoranze etniche di montagna e varie altre bellezze naturali.

Dal 1992 il Paese ha aperto le frontiere al turismo e nel 1994, grazie a un finanziamento australiano, è stato costruito sul Mekong il primo ponte dell'amicizia thai-lao, che unisce Laos e Thailandia in corrispondenza di Vientiane.

È stato il primo ponte sul fiume in tutta l'Indocina e negli anni seguenti ne sono stati costruiti altri nel Paese. L'autarchico sistema di conduzione del Paese non ha rallentato l'inflazione né il progressivo crollo del kip, la valuta del Paese, fino alla fine del millennio.

Attorno al 2000 sono stati presi nuovi sostanziosi accordi commerciali con l'estero, in particolare con la Cina e la Thailandia, le cui aziende e istituzioni bancarie hanno fatto da allora grandi investimenti in Laos, contribuendo al risollevamento dell'economia e alla stabilizzazione della valuta.

Società e politica dei Kmer  di Emanuela Scarponi

Battaglia navale contro i Chăm, Bayon

Esercito Khmer in marcia, raffigurato a Bayon

 

La società era organizzata secondo una gerarchia che rifletteva il sistema delle caste indù (Varna), dove i popolani - coltivatori di riso e pescatori - costituivano la grande maggioranza della popolazione. I vasti progetti di irrigazione fornivano eccedenze di riso che potevano sostenere un gran numero di persone.  La religione di Stato era induista ma influenzata dal culto di Devaraja, elevando i re Khmer come dei in terra, attribuita all'incarnazione di Vishnu o Shiva. In politica, questo status era visto come la giustificazione divina di un la regola del re, il culto permise ai re Khmer di imbarcarsi in imponenti progetti architettonici, costruendo maestosi monumenti come Angkor Wat e Bayon per celebrare il dominio divino del re sulla terra. Il re era circondato da ministri, ufficiali di Stato, nobili, canoni, donne del palazzo e servi, tutti protetti da guardie e truppe. La capitale di Angkor e la corte reale dei Khmer sono famose per le grandi cerimonie, con molte feste e rituali che si tengono in città. Anche quando viaggiava, il re e i suoi entourage hanno creato un certo spettacolo, come descritto nel racconto di Zhou Daguan.

Dalla descrizione di Zhou Daguan di una processione reale di Indravarman III, si evince il modo di vita e tradizioni degli antichi KMER: Quando il re esce, le truppe sono a capo della sua scorta; poi vengono bandiere, striscioni e musica. Le donne del palazzo, numerate da tre a cinquecento, con indosso un panno fiorito, con i fiori nei capelli, tengono le candele nelle loro mani e formano una troupe. Anche in pieno giorno, le candele sono accese. Poi arrivano altre donne del palazzo, con l'armamentario reale fatto di oro e argento ... Poi arrivano le donne del palazzo che portano lance e scudi, con le guardie private del re. I carri trainati da capre e cavalli, tutti in oro, vengono dopo. Ministri e principi sono montati su elefanti, e di fronte a loro si possono vedere, da lontano, i loro innumerevoli ombrelli rossi. Dopo di loro vengono le mogli e le concubine del re, nei palanchini, nelle carrozze, a cavallo e sugli elefanti. Hanno più di cento parasoli, chiazzati d'oro. Dietro di loro arriva il sovrano, in piedi su un elefante, con in mano la spada sacra. Le zanne dell'elefante sono incastonate in oro.

Sul guardaroba del re Khmer, risulta che solo il sovrano può vestirsi con un disegno floreale... Intorno al collo indossa circa tre libbre di grandi perle. Ai suoi polsi, caviglie e dita ha braccialetti d'oro e anelli tutti fissati con gli occhi di gatto ... Quando esce, tiene in mano una spada d'oro.

Le dimore dei principi e dei funzionari principali hanno un layout e dimensioni completamente diversi da quelli delle persone. Tutti gli edifici periferici sono ricoperti di paglia; solo il tempio di famiglia e l'appartamento principale possono essere ricoperti di piastrelle. Il rango ufficiale di ciascuna persona determina la dimensione delle case.

Le case degli agricoltori erano situate vicino alle risaie ai margini delle città. Le pareti delle case erano fatte di bambù intrecciato, con tetti di paglia, ed erano su palafitte. Una casa era divisa in tre stanze da mura di bambù intrecciate. Una era la camera da letto dei genitori, un'altra era la camera da letto dei figli, e la più grande era la zona giorno. I figli dormivano ovunque potessero trovare spazio. La cucina era sul retro o in una stanza separata. Nobili e re vivevano nel palazzo e in case molto più grandi della città. Erano fatti degli stessi materiali delle case dei contadini, ma i tetti erano scandole di legno e avevano disegni elaborati e altre stanze.

La gente comune indossava un sampot in cui la parte anteriore era disegnata tra le gambe e fissata dietro da una cintura. Nobili e re portavano tessuti più raffinati. Le donne indossavano una striscia di stoffa per coprire il petto, mentre le donne nobili ne avevano una allungata che andava a tracolla. Uomini e donne indossavano un Krama. Oltre alle rappresentazioni della battaglia e alle conquiste militari dei re, i bassorilievi di Bayon raffigurano la banale quotidianità della gente comune Khmer, comprese scene del mercato, pescatori, macellai, persone che giocano a un gioco di scacchi, e il gioco d'azzardo durante i combattimenti di galli.

INDOCINA   di Emanuela Scarponi

L'indianizzazione del Sud-Est asiatico si riferisce alla portata storica che ha assunto la cultura dell'India ad est del subcontinente indiano. Ciò riguarda in particolar modo la diffusione dell'induismo e del buddhismo dall'India al Sud-est asiatico da parte di viaggiatori e commercianti marittimi tra il V ed il XV secolo attraverso la Via della seta. Furono inoltre introdotti nella regione sistemi di scrittura indiani. Sfera culturale indiana nel subcontinente indiano: India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka, Maldive, Nepal e Bhutan.

Paesi culturalmente legati all'India: Birmania, Thailandia, Cambogia, Laos, Vietnam, Indonesia, Malesia, Brunei e Singapore. Regioni con una significativa influenza culturale indiana: Afghanistan, Yunnan cinese, Tibet e Filippine.

 

L'Indocina è una vasta penisola dell'Asia sud-orientale, saldata largamente al continente, prominente tra il golfo del Bengala e il mar Cinese meridionale; la sua estremità meridionale si suddivide in un ampio lobo e in una lunga appendice, la Malacca, che giunge a contatto dell'arcipelago malese; nell'andamento delle due coste profondamente incise, nella snellezza delle forme, nella struttura in cui hanno gran parte i corrugamenti recenti, presenta un profondo contrasto con la forma massiccia e la struttura tabulare dell'Arabia e dell'India.

 Ha una superficie di ca. 2 milioni di km² e si estende dal 1° al 23° di latitudine nord, e fra il 93° e il 109° di longitudine est da Greenwich. Al frazionamento della sua struttura fisica corrisponde il frazionamento della vita sociale e politica, la quale, mentre ha impedito la formazione di una nazione o di uno Stato unitario, ha permesso alle minori unità di aborigeni e di antiche popolazioni di mantenersi in pieno isolamento nei distretti montuosi, nelle alte valli dei fiumi e nelle zone più fittamente forestali. Ne consegue la divisione in regioni ben individuate e la formazione di Stati numerosi e differenziati.

L'Indocina francese fu una creazione dell'amministrazione coloniale e raggruppava: - il Tonchino, l'Annam e la Cocincina, raggruppati dal 1949 nello Stato del Vietnam; - il protettorato del Laos; - il protettorato della Cambogia. Occupava quindi la parte orientale dell'Indocina e si estendeva tra la Cina a nord, il Siam ad ovest e il mar cinese meridionale ad est e a sud. L'Indocina francese, o più precisamente l'Unione indocinese, fu creata il 17 ottobre 1887 con l'istituzione del Governatore generale civile dell'Indocina. L'insieme contava circa 12 milioni di abitanti, saliti a 16,4 milioni nel 1913. La popolazione coloniale francese raggiunse l'apice nel 1940 con appena circa 34.000 individui. Il colonialismo francese fu essenzialmente di sfruttamento economico, a causa della presenza di diverse risorse naturali (soprattutto caucciù). La seconda guerra mondiale fu determinante per l'avvenire dell'Indocina francese. L'impero del Giappone, in guerra contro la Cina dal 1937, approfittò dell'invasione della Francia (giugno 1940) per lanciare un ultimatum ai Francesi. Occupò la frontiera settentrionale della regione (Tonchino) per interrompere la ferrovia fra l'Haiphong e lo Yunnan utilizzata dalle forze cinesi, mentre il resto dell'Indocina rimase sotto l'autorità di Vichy fino al 1945. Nel 1946 i Francesi, sotto l'impulso di De Gaulle, riprendono il controllo dell'Indocina in un'epoca in cui altre potenze coloniali riprendono piede nelle loro colonie asiatiche (Birmania e Malesia per la Gran Bretagna; Indonesia per i Paesi Bassi).

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