08-09-2019

                                                           Prigionia e sue ripercussioni sull'evoluzione della personalità artistica di Soyinka



      Nel 1967, Soyinka si trova a Londra, per la pubblicazione della raccolta di poesie Idanre and other Tales: in cui sono comprese poesie giovanili e poesie più mature apparse in precedenza in riviste e antologie come Encounter, Ibadan, Black Orpheus, Modem Poetry from Africa.
Nell'estate dello stesso anno viene nominato presidente del "Drama Department and the Arts Theatre" dell'Università di Ibadan; ma alcune settimane dopo la nomina, è nuovamente arrestato per essersi opposto alla soluzione militare della situazione biafrana. Da questo momento egli vive confinato in cella d'isolamento per due anni nel corso dei quali riesce a comporre alcune poesie, che giungono miracolosamente ad un amico londinese.
      Le poesie, raccolte nel '69 e nel '72 in Poems from Prison e A Shuttle in the Crypt, sono dominate da una simbologia tragica, con scene di morte, massacri, olocausti privi di ogni significato. La realtà nigeriana con i suoi orrori, le sue assurde violenze, si presenta alla mente del poeta come un giardino di cadaveri: “Da una lontana spiaggia gridano, dove sono finiti tutti i fiori? Io non lo so. qui i giardini mostrano solchi silenziosi e nudi”.
Rilasciato agli inizi del 1970, Soyinka costituisce una nuova compagnia teatrale, "The Theatre Arts Company", con cui inaugura la stagione statunitense.
È proprio a Watford, nel Connecticut, che rappresenta, infatti, la nuova commedia Madmen and Specialists. Quest'ultimo impegno teatrale, che vede trattata la figura messianica in modo meno protagonistico, si basa su un tema portante estremamente profondo, qual è infatti quello dell'”erosion of humanity in a well-organized, tightly controlled, authoritarian society".
     Queste parole rivelano ancora di più la ormai globale visione del mondo contemporaneo che ha Soyinka, e la sua grande capacità di capire i meccanismi che sono alla base del moderno sistema economico e sociale della nostra civilizzazione. L'opera rappresenta anche un'evoluzione della drammaturgia di Soyinka, poiché l'artista ha ormai acquisito una profonda consapevolezza dello strumento teatrale, che domina con sicura padronanza.
Ma è nel 1972 che appare il diario-documento The Man Died (Notes from Prison), in cui lo scrittore ripercorre con voce sardonica e luttuosa gli anni di detenzione. Il titolo del libro nasce da un suggerimento occasionale. Soyinka stava compiendo delle ricerche su un amico di Londra, quando ricevette un telegramma che ne annunciava in modo laconico la morte;
      A cable bearing the very simple words: The Man Died.I was struck first by the phrasing. It sounded weird, yet familiar(...) I heard the sound in man different voices from the past and from the future. It seemed to me that this really is the social condition of tyranny (,..); This evening I recognize in it the only title for this book. I address this book to the people to whom I belong, not to the new élite, not to the broad stratum of privileged slaves who prop up the marble palaces of today's tyrants, SOYINKA, Wole, The Man Died, Londra, 1973, pg.5-15. (Traduzione di Itala Vivan).
“Un telegramma con questa parola semplicissima: L'uomo è morto. Fui colpito per la prima cosa dal modo della frase. Mi suonava strana ed allo stesso tempo familiare (...). Udii il suono di molte voci diverse, provenienti dal passato e dal futuro. Mi parve che questa fosse realmente la condizione sociale della tirannia (…); Stasera ho conosciuto in questa frase l'unico titolo per questo libro.... Dedico questo libro al popolo cui appartengo, non alla nuova élite, non a quello ampio strato di schiavi privilegiati che erigono i palazzi marmorei degli odierni tiranni).
      Cosi Itala Vivan commenta la scelta del titolo: "E' importante notare come lo stesso Soyinka dichiari di avere riconosciuto, nel testo del telegramma, il titolo del libro. Conoscere è appunto riconoscere, è riportare a se stesso e alla propria interezza di uomo la verità e la talora sconvolgente difficoltà dell'esperienza. Nello stupore attonito e meraviglioso del riconoscimento, l'esperienza viene estratta dal gran fiume del divenire e collocata in un ordine diverso, che appartiene alla storia dell'uomo".
Ma il brano non si spiega tutto soltanto nel titolo; in esso compare anche una memoria personale degli anni passati nella cella di isolamento, in compagnia della sola "morte", sempre vicina e pronta a balzare su di lui. E’ un brano, quindi, che rivela in maniera ancor più profonda la sensibilità dell'artista, la sua sofferenza ed il suo dolore in quei giorni di morte, vinti dalla fede nella sua convinzione e dal disprezzo non solo per i despoti, ma anche per "quell'ampio strato di schiavi privilegiati che erigono i palazzi marmorei degli odierni tiranni.
    La stessa denuncia dell'ottusa brutalità della tirannia compare nel romanzo di Soyinka Season of Anomy, apparso nel'73. Quest'opera narrativa risulta costruita su strutture archetipe e densa di echi mitici; in uno scenario di morte e di stragi, il "viaggio" del protagonista Ofeyi, in cerca della donna amata Iriyise, si muta in una simbolica ricerca della vita. Irìyise è, infatti, il principio femminile rigenerativo, la Madre Terra. Ma la vita è negata e Ofeyi ritrova la donna morente in un cerchio infernale di lebbrosi e dementi, ultimi testimoni dell'assurdità della guerra.
    Nel 1976 è l'opera saggistica Myth, literature and African World, in cui Soyinka analizza i miti della cultura madre e commenta la recente produzione letteraria africana. Dal 1970 in poi, Soyinka ha viaggiato molto, facendo però sempre riferimento alla Nigeria.
Tra i suoi numerosi viaggi, egli ha avuto la possibilità di visitare anche l'Italia, e precisamente Firenze dove, nel giugno del 1977 è stato intervistato dal giornalista Pietro Petrucci per conto de La Repubblica. Alla domanda su quale fosse oggi 'in Africa la condizione dell'uomo di cultura, ha risposto ribadendo le posizioni già delineate in occasione della Conferenza di Stoccolma del 1967:"Bisogna tener conto che tutti gli artisti africani contemporanei sono venuti su in seno alla classe dirigente, sono fra coloro che hanno combattuto per l'indipendenza e dopo averla ottenuta, l'hanno gestita (..,). Questo matrimonio fra gli intellettuali e gli altri (politici, sindacalisti, militari) ha resistito durante le prime due stagioni della cultura africana moderna - quella dominata dalla lotta al colonialismo e quella dell'entusiasmo per l'indipendenza. Insieme alla terza stagione, quella delle delusioni succedute all'alzabandiera, è venuto il divorzio (...).
      L'Africa oggi è teatro di una furibonda lotta per il potere (...), è un'atmosfera pesante che tende ad emarginare l'intelligenza, la ragione, le idee. Il disimpegno non è nemmeno pensabile. A chi tenta di emarginarci dobbiamo rispondere denunciando l'arroganza, l'ignoranza, l'intolleranza. Appare evidente che, con queste parole, Soyinka non si limita soltanto a riaffermare i concetti di Stoccolma; a dieci anni di distanza, infatti, egli ha di fronte il quadro drammaticamente chiaro e disperato di un'Africa martoriata dalle lotte per la spartizione di un potere inesistente. Infatti, accanto alle più diverse ideologie di guerra, continuamente in lotta, sopravvive una popolazione stanca, povera, che conta migliaia di morti di fame ogni giorno e cerca solo un momento di pace e di stabilità per sollevarsi da quell'ignoranza e da quel sottosviluppo endemico che la attanagliano è dunque questa la voce di Soyinka; è questa la voce di un uomo che rifiuta il disimpegno, la stanchezza, la delusione e la paura, e che continua a combattere contro l'arroganza e l'intolleranza di tutti coloro che ancora oggi, per ingiustificati motivi economici e politici, fanno dell'Africa una terra di conquista e di morte.
Emanuela Scarponi